Al di là dei numeri sbandierati, la manovra dell’esecutivo non segna alcuna inversione di rotta per il Ssn. Non c’è un rilancio progressivo del Fondo sanitario nazionale (Fsn)

(Nino Cartabellotta – editorialedomani.it) – «Mai nessun governo ha messo così tanti soldi sulla sanità». Uno slogan che riecheggia più volte nelle aule parlamentari e nel dibattito pubblico, un leitmotiv di esponenti dell’esecutivo e, soprattutto, della presidente Meloni. Eppure, a fronte dei trionfali proclami, la sanità pubblica arretra. I sondaggi confermano che la salute è una delle principali preoccupazioni degli italiani e le testimonianze di pazienti e professionisti sanitari raccontano di un Servizio sanitario nazionale (Ssn) sempre più in affanno.
Crisi sanitaria
I numeri confermano impietosamente la crisi: nel 2024 la spesa delle famiglie ha superato i 41 miliardi di euro e 5,8 milioni di persone hanno rinunciato almeno a una prestazione sanitaria, proprio quegli indigenti a cui la Repubblica deve garantire cure gratuite. In questo scenario, il simbolo più evidente della crisi è il decreto liste di attesa: il vessillo del ministro Schillaci è ormai una bandiera ammainata a mezz’asta. Nonostante il suo impegno, dopo 16 mesi non si registra alcun beneficio concreto per i pazienti: la piattaforma nazionale è impantanata e due decreti attuativi non hanno mai visto la luce.
Certo, la crisi del Ssn non si deve solo alla scarsità di risorse, ma servono anche coraggiose riforme. Tuttavia, la radice del problema resta il sottofinanziamento cronico: un impoverimento che ha progressivamente demotivato il personale sanitario, ormai stanco di lavorare in trincea e sempre meno attratto da quel Ssn che un tempo era il fiore all’occhiello del paese.
Al di là dei numeri sbandierati, la manovra 2026 non segna alcuna inversione di rotta per il Ssn. Non c’è un rilancio progressivo del Fondo sanitario nazionale (Fsn): siamo di fronte all’ennesima illusione contabile di cifre altisonanti abilmente combinate. L’estrema frammentazione di misure e investimenti sembra poi più finalizzata a non scontentare nessuno che a porre le basi per il rilancio della sanità pubblica.
La manovra 2026 assegna complessivamente ben 7,7 miliardi di euro alla sanità: 2,4 miliardi nel 2026, 2,65 miliardi nel 2027 e 2,65 miliardi nel 2028. Sommando le risorse già stanziate dalle precedenti manovre, il Fsn raggiungerà 143,1 miliardi di euro nel 2026, 144,1 nel 2027 e 145 nel 2028. Cifre apparentemente imponenti, che abbagliano l’opinione pubblica, ma che cambiano volto se rapportate al Pil: la quota di ricchezza nazionale destinata alla sanità sale dal 6,04 per cento del 2025 al 6,16 per cento del 2026, per poi ridursi al 6,05 per cento nel 2027 e al 5,93 per cento nel 2028.
I tagli invisibili
Ed è proprio qui che emergono i tagli invisibili del governo Meloni nel periodo 2023-2026. È vero che il Fsn è aumentato di ben 19,6 miliardi di euro in quattro anni, cifra mai raggiunta da nessun esecutivo. Ma nello stesso periodo la quota di Pil destinata alla sanità è scesa dal 6,3 per cento del 2022 a poco più del 6 per cento, determinando una perdita di 17,7 miliardi di euro, pari all’intero valore di questa finanziaria.
Le regioni si trovano così intrappolate tra le risorse assegnate dalla Manovra e le previsioni di spesa sanitaria del Documento Programmatico di Finanza Pubblica, pari al 6,4 per cento del Pil per gli anni 2025, 2027 e 2028 e 6,5 per cento per il 2026. Un gap pari a 6,8 miliardi di euro nel 2026, 7,6 nel 2027 e 10,7 nel 2028.
Così lo stato viene meno ad una competenza esclusiva affidate dalla Riforma del Titolo V della Costituzione: assegnare le risorse necessarie per rendere esigibili i Livelli Essenziali di Assistenza definiti. Con i bilanci sempre più in rosso, le regioni non riusciranno infatti a colmare questo buco con risorse proprie e si troveranno davanti a un bivio per evitare il Piano di rientro: tagliare i servizi o alzare le imposte. Due strade in cui il “pedaggio” sarà ancora una volta a carico di cittadini e pazienti.
Al di là delle cifre, la realtà è più cruda: alla sanità pubblica non viene destinato quello che serve, ma solo ciò che avanza. Un avanzo contabile, non un investimento per la salute individuale e collettiva. E ogni confronto con il passato su chi abbia tagliato di più o investito di meno diventa sterile.
Oggi la crisi del Ssn non intacca solo l’inalienabile diritto costituzionale alla tutela della salute, ma mina la coesione sociale e la tenuta democratica del paese. Ecco, perché sarebbe più onesto ammettere che i fondi sono insufficienti, invece di insistere sulla narrazione degli “investimenti record”. Perché di record, ormai, restano solo i tempi di attesa, le disuguaglianze di accesso alle cure, la spesa a carico dei cittadini e le rinunce alle prestazioni sanitarie.
altro che affossare:
L’Italia si appresta ad inviare il 12° pacchetto di aiuti militari all’Ucraina!!!!
mentre il ZEZE con la sua impresa di produzione di droni, ha appalti per un miliardo di dollari pagati in anticipo.
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