Il giorno della mia fiducia alla Camera vidi un’immagine del giudice ucciso: “L’uomo a cui dovevo il mio impegno politico era lì nel momento più significativo”

(di Antonella Mascali – ilfattoquotidiano.it) – Se Giovanni Falcone, sulla separazione delle carriere, viene usato dal centrodestra per propagandare la riforma, strumentalizzando interventi giuridici di 35 anni fa, non ha potuto fare altrettanto con Paolo Borsellino, che ha rilasciato un anno prima di essere ucciso un’intervista contro la separazione delle carriere di pm e giudici che non lascia spazio a fake news.

Ma Giorgia Meloni deve aver rimosso le parole del magistrato. Eppure per legittimare se stessa e il suo governo, ripete come un mantra che la sua azione politica è ispirata a Borsellino, “un esempio”. A giugno, all’inaugurazione a Montecitorio della teca con la borsa mezzo bruciata di Borsellino, recuperata dopo la strage, Meloni addirittura si spinge a dire che il magistrato quasi quasi l’ha benedetta dall’alto dei cieli per il suo ruolo da presidente del Consiglio. Ha raccontato che il giorno in cui è andata alla Camera per chiedere la fiducia da premier incaricata, s’è imbattuta in una gigantografia di Borsellino (c’era una mostra) e ha pensato: “La persona alla quale dovevo il mio impegno politico era lì nel momento più significativo”. Ma nel momento della firma, insieme al ministro Carlo Nordio, della riforma costituzionale, ha tradito il pensiero del suo “mentore”. Nell’intervista a Samarcanda, Borsellino, il 23 maggio 1991, è categorico: “Separare le carriere significa spezzare l’unità della magistratura. Il magistrato requirente deve poter svolgere la sua funzione senza dover rendere conto al potere politico“. E in una lettera privata, Borsellino definisce la separazione “un cavallo di Troia per disarticolare la forza unitaria dell’azione giudiziaria”.

In realtà non era per la separazione delle carriere neppure Falcone, come hanno sempre testimoniato colleghi e amici del magistrato, che il centrodestra, in particolare il ministro Nordio, non esita a tirare per la giacchetta da morto. Ma Falcone era per la separazione delle funzioni non delle carriere. Basta contestualizzare i suoi interventi, siamo tra il 1989 e inizio 1992, a cavallo tra il vecchio e il nuovo Codice di procedura penale, per comprendere – se si vuole – che Falcone era per un ordinamento giudiziario unico. Temeva, quello sì, un pm sotto il governo di turno. E lo disse in un’intervista a Repubblica, il 25 gennaio 1992, quattro mesi e due giorni prima di essere ammazzato insieme alla moglie Francesca Morvillo, magistrata, e cinque agenti di scorta: “Una separazione delle carriere può andar bene se resta garantita l’autonomia e l’indipendenza del pubblico ministero. Ma temo che si voglia, attraverso questa separazione, subordinare la magistratura inquirente all’esecutivo. Questo è inaccettabile“. Una dichiarazione che fa, probabilmente, perché aveva compreso che interventi precedenti, quando ancora c’erano pubblici ministeri e giudici istruttori con funzioni mischiate, potessero essere strumentalizzati. Il suo timore lo aveva confidato a colleghi di allora in privato. Falcone voleva che il pm dovesse indagare ma che avesse il potere di eseguire “solo il fermo”, mentre gli altri provvedimenti dovevano essere decisi da un giudice terzo. Così aveva detto a un convegno a Palermo, già nel 1984. È questo il senso dell’intervista a Mario Pirani, del 3 ottobre 1991, su Repubblica, proprio in merito al nuovo codice Vassalli: “Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pm che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’obbiettivo. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di paragiudice”. E ancora: “ Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri. Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come… desideroso di porre il pm sotto il controllo dell’esecutivo”. Ma Falcone più che altro era concentrato sulla necessità di pm specializzati nella lotta alla mafia. Aveva in mente la Procura nazionale antimafia. Era dovuto andare via dalla Procura di Palermo, dove era stato messo all’angolo dal procuratore Pietro Giammanco ed era andato al ministero della Giustizia perché sperava che da quella postazione potesse agire. Ed è in quel periodo che teme strumentalizzazioni della sua posizione ed esprime i suoi timori in merito alla separazione delle carriere. Piero Grasso, ex procuratore nazionale antimafia, amico del magistrato, ha sbottato: “Falcone si sta rivoltando nella tomba. Lo sport più diffuso è quello di attribuire a Falcone dopo la sua morte idee che non lo avevano nemmeno sfiorato”. Anche l’ex procuratore di Torino, Armando Spataro, che ha conosciuto bene Falcone, smonta la propaganda governativa con il nome di Falcone. Nel libro Loro dicono, noi diciamo scritto con Gustavo Zagrebelsky e Francesco Pallante (Laterza) sottolinea che “in innumerevoli occasioni Falcone aveva spiegato di non condividere la necessità di separare le carriere giudicanti e requirenti all’interno della magistratura”. Alfredo Morvillo, magistrato e fratello di Francesca, ha parlato al Fatto di “mistificazione. Carlo Nordio deve lasciar riposare in pace i morti”. Le frasi di Falcone, ha proseguito Morvillo, sono state “decontestualizzate… Giovanni per quattro volte fu pretore, giudice, pm, procuratore aggiunto e poi magistrato fuori ruolo al ministero. Lo stesso ha fatto Paolo Borsellino“. Eppure, osserva Morvillo, “quando il ministro parla di concorso esterno, di intercettazioni o di 41-bis, si guarda bene dal citare Falcone: come mai? Forse perché in realtà tra le posizioni di Nordio e quelle di Giovanni c’è un abisso”.