La distanza con Forza Italia sul “timbro” di Berlusconi alla riforma. Scintille tra il ministro Nordio e il presidente La Russa

(di Lorenzo De Cicco – repubblica.it) – «È quasi un assist». Nella cerchia di Giorgia Meloni c’è chi racconta così la decisione della Corte dei conti sul ponte sullo Stretto, caro soprattutto a Matteo Salvini. Perché da giorni la premier lavora con i fedelissimi al leitmotiv attorno a cui imperniare la campagna referendaria per la separazione delle carriere, che sarà votata stamattina al Senato, per la quarta e ultima lettura. Il ritornello, il messaggio da far passare, confidano dall’entourage della premier, sarebbe questo: i giudici bloccano il Paese.
Il ponte non si fa? Colpa dei magistrati. I centri in Albania? Bloccati dalle toghe. Meloni è intenzionata a puntare tutte le fiches sulla mala giustizia. Ha letto, in queste settimane, alcuni sondaggi interni. Il tema è molto sentito, soprattutto nel centrodestra. E dentro FdI si sono fatti l’idea che la chiave giusta per vincere la partita del referendum sia questa: raccontare inefficienze e storture (o presunte tali) della magistratura. «Non la vendetta dei Berlusconi», confida un colonnello di via della Scrofa. Quella è la lettura politica che vuole dare Forza Italia, che difatti ieri chiedeva a tutto il partito, da Nord a Sud, di istituire una «Giornata della giustizia negata» per il 21 novembre, anniversario dell’avviso di garanzia a Berlusconi nel ‘94. FI intende raccontare il «dramma» vissuto dall’ex Cavaliere e cerca «testimonial di casi emblematici», si legge nella lettera firmata da Antonio Tajani. Visioni diverse tra soci di governo, che sottotraccia stanno venendo a galla.
Prova ne è il balletto sulle piazze per celebrare la riforma, l’unica che la coalizione riuscirà a portare a dama entro le Politiche: il premierato procede a rilento, il secondo passaggio parlamentare non è stato calendarizzato nemmeno per novembre, slitterà all’anno prossimo. Gli azzurri hanno già annunciato la loro adunata: oggi a piazza Navona, invitate alcune «vittime di errori giudiziari». FdI ancora non ha sciolto il nodo. Sui cellulari dei senatori è arrivato ieri un Whatsapp di preallerta: tutti convocati per mezzogiorno. Ma dove? «Seguiranno aggiornamenti». C’è chi spinge per trasformare piazza Navona, a cui si aggregherà la Lega, in una manifestazione unitaria; altri invece premono per un rapido flash mob autonomo, a San Luigi dei Francesi, sotto al Senato. Tajani non ci sarà: è in trasferta in Niger. Matteo Salvini si presenterà in aula, al momento del voto, in quanto senatore. E Meloni? I suoi la raccontano «tentata» dal blitz a Palazzo Madama, anche se non è la sua Camera di appartenenza. Sarebbe un modo per «metterci la faccia», soprattutto dopo la sentenza di ieri della magistratura contabile, che il centrodestra intende riformare al pari di quella ordinaria: si è appena concluso l’iter in commissione a Palazzo Madama.
Archiviato il voto di oggi, il centrodestra chiederà per primo la conta, il referendum, presentando le firme di un quinto dei parlamentari. Un modo per giocare d’anticipo su chi avversa la legge. E anche per provare a indirizzare il quesito. Nonostante i sondaggi, qualche preoccupazione c’è sulla riuscita dell’operazione nelle urne. «A differenza di Renzi, Meloni non ha mai detto che se perde il referendum lascia la politica», metteva le mani avanti ieri il capo dell’organizzazione di FdI, Giovanni Donzelli. Nel frattempo il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, dopo avere bollato il dibattito parlamentare dell’opposizione come «litania petulante», replicava a Ignazio La Russa, secondo il quale «forse il gioco» della riforma «non valeva la candela». Per il Guardasigilli invece sì, «vale un candelabro…». Contro-replica di La Russa: «Sia il governo sia i magistrati danno tutti troppa importanza a questa modifica». Schermaglie. Ma anche il presidente del Senato insiste sul nodo vero: dal voto, previsto dopo Pasqua, non dipenderanno le sorti dell’esecutivo. «Meloni è assolutamente contraria a legare il proprio consenso a un qualsivoglia referendum».
Come i ladri di Pisa… fan finta di bisticciarsi ma il progetto della distruzione della costituzione e dell’italia continua!E il popolino ? si il popolino …..ronf,ronf. zzzzz.zzz.. gne,gne,gneeeee…!
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eeee…qquesta mattina sambuca ha dato il meglio di sè su telemeloni!
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QUANDO L’ASSURDITA’ SFIORA IL CRIMINE
TIMOSTENE
Traditi, Derubati, Presi in Giro: Il Volto Autoritario di Questo Governo
Un miliardo. Un miliardo di euro speso per costruire centri di detenzione in Albania che restano vuoti, mentre gli ospedali chiudono i reparti e le scuole crollano a pezzi. Un miliardo sottratto ai cittadini italiani per un progetto vergognoso, nato solo per alimentare la paura e nascondere il fallimento più totale. Soldi gettati nel vuoto come il delirio del ponte sullo Stretto, monumento all’egomania di Salvini, naufragato prima ancora di nascere, fuori da ogni regola, da ogni minima logica. E come sempre, quando tutto si schianta, la colpa sarebbe della Corte dei conti, dei giudici, dell’Europa, di chiunque tranne loro.
Ma la beffa più crudele? L’immigrazione continua ad aumentare. Proprio loro, che hanno fatto della lotta ai migranti il loro cavallo di battaglia, la loro ossessione quotidiana, il loro mantra elettorale. Hanno urlato “blocco navale”, hanno promesso “fermeremo le partenze”, hanno sparato slogan su slogan. E oggi? Gli sbarchi sono aumentati. I porti sono pieni. Ma loro continuano a urlare, a puntare il dito, a fare propaganda sui cadaveri in mare, mentre i numeri li smentiscono, giorno dopo giorno. Il loro nemico numero uno cresce sotto i loro occhi, ma a loro interessa solo lo spettacolo, la sceneggiata, il teatrino dell’odio che alimenta il consenso.
Intanto Tajani tenta di regalare milioni alle società di telecomunicazioni, ma viene fermato. Malan prova a cancellare le norme che impediscono pubblicità sessiste, omofobe, razziste, e anche lui viene stoppato. Non per dignità, non per vergogna. Per pura convenienza politica. Le accise sulla benzina? Restano tutte. Il taglio del cuneo fiscale? Una presa in giro da pochi euro. Il bonus da mille euro con un clic, promesso solennemente da Meloni? Mai visto. Solo parole vuote, slogan da comizio, e un popolo che si scopre ogni giorno più povero, più stanco, più tradito, più umiliato.
Le pensioni minime? Aumentate di tre euro al mese. Tre. Euro. L’insulto fatto legge. Mentre a loro stessi, ministri e sottosegretari, cercavano di regalare oltre 7.000 euro al mese di aumento. Settemila. Non tre. Settemila euro in più ogni mese per chi già guadagna profumatamente, mentre agli anziani che hanno lavorato una vita vengono concessi tre euro, il prezzo di un caffè, come se fosse un favore. Solo dopo giorni di polemiche hanno fatto marcia indietro, forzati dalla vergogna mediatica, non certo dalla coscienza. Ma il messaggio è chiaro: per loro migliaia di euro, per i pensionati le briciole.
La sanità pubblica? Agonizzante, con liste d’attesa infinite e pronto soccorso al collasso. La scuola? Abbandonata, con insegnanti pagati una miseria e edifici che cadono a pezzi. Ma i soldi per l’Albania, quelli sì, c’erano. I soldi per alzarsi lo stipendio, quelli non mancano mai. I soldi per i condoni fiscali agli amici, sempre disponibili.
E poi c’è la giustizia. Stanno smantellando tutto, pezzo per pezzo, con un disegno lucido e spietato. Cancellano le norme che punirebbero i colletti bianchi, impongono l’obbligo di preavviso per arresti e perquisizioni, così chi deve scappare ha tutto il tempo per farlo. Inaspriscono le leggi sugli sfratti, colpiscono chi non ha voce, chi non ha nulla. Proteggono chi comanda, chi ruba, chi corrompe.
Mentono senza vergogna, senza ritegno, senza limite. Dicono che la libertà di stampa migliora, mentre l’Italia precipita nelle classifiche internazionali. Dicono che le retribuzioni crescono, mentre i salari reali crollano del dieci per cento e l’inflazione divora gli stipendi. Dicono che il Paese riparte, mentre ci trascinano indietro di cinquant’anni, verso un’Italia fatta di padroni e servi, di sudditi e potenti.
E non è incompetenza. Non è dilettantismo. È un progetto preciso, calcolato, feroce. Stanno eliminando ogni garanzia costituzionale, ogni contrappeso istituzionale, ogni spazio di controllo democratico. Vogliono un potere assoluto che non risponda a nessuno, un governo che non conosca limiti, un Paese dove la verità sia solo quella che serve a loro, dove il dissenso sia reato e la critica tradimento.
La riforma sulla separazione delle carriere che stanno per approvare non è giustizia. È impunità legalizzata. È l’ennesimo tassello di un’architettura autoritaria, costruita per proteggere se stessi e i propri sodali dalle inchieste, dai processi, dalla legge. È l’ultimo passo verso un’Italia che non è più libera, ma sottomessa. Dove chi governa non deve più temere nulla: né la magistratura, né i giornalisti, né la verità.
Solo noi, cittadini traditi, derubati e presi in giro, possiamo ancora fermarli. Prima che sia troppo tardi.
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Vivi …sempre in gamba!
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