La manovra ha svelato un asse di ferro tra la premier e il ministro. È solo una suggestione, ma la voce gira (e spaventa) Lega e FdI. Così si traslerebbe, salendo l’ultimo gradino del cursus honorum della politica, il tandem più solido del governo

(Giulia Merlo – editorialedomani.it) – La strada è ancora lunga – forse una riforma elettorale, certamente le elezioni politiche e poi quelle del capo dello stato – ma un’ipotesi sta seminando il germe della paura tra le file di Fratelli d’Italia e della Lega.

Si tratta solo di una voce, ma, ripetuta di bocca in bocca, sta assumendo la concretezza di qualcosa di cui come minimo si è discusso nelle sedi che contano davvero. Le tappe sono le seguenti: alle prossime elezioni politiche, al più tardi nel 2027, l’egemonia di Giorgia Meloni sarà ancora più consolidata; in questa legislatura la riforma del presidenzialismo è stata di fatto accantonata, ma verrà ripresa appena possibile, con un testo più simile a quello delle origini rispetto al pasticcio oggi in discussione; poi nel 2029 si eleggerà il nuovo presidente della Repubblica.

Il tandem

E allora ecco l’ipotesi: Meloni continuerà a palazzo Chigi fino al 2029, poi – sostenuta da una maggioranza di centrodestra solida – si sposterà al Quirinale, per diventare anche la prima donna presidente della Repubblica. Tanto meglio se con la riforma del presidenzialismo già approvata. Fin qui nulla di nuovo rispetto alle voci già note, anche se la diretta interessata ha sempre glissato sulle sue ambizioni future, rimanendo ben ancorata nel presente a palazzo Chigi.

Il passo avanti di cui si è cominciato a sussurrare, però, riguarda il nome del successore a capo del governo nel caso di un suo passaggio al Colle: Giancarlo Giorgetti, gran custode dei conti del governo Meloni, uomo-macchina dell’ultima finanziaria draconiana in egual modo su tutti i ministeri, compresi quelli leghisti.

Ecco dunque l’idea per il 2029: Meloni al Quirinale, Giorgetti a palazzo Chigi. Così si traslerebbe, salendo l’ultimo gradino del cursus honorum della politica, il tandem più solido di questo governo.

Non è un mistero che l’asse tra Meloni e Giorgetti sia esclusivo e viaggi ben al di sopra dei rispettivi partiti. I due si sentono, si fidano l’una dell’altro e si stimano. Meloni apprezza i suoi giudizi prudenti, e Giorgetti non è considerato più in quota leghista, ma in quota tecnica: capace di scontentare i suoi compagni di partito in virtù di un disegno più grande portato avanti di concerto con la premier. Dei ministri è quello con il maggiore standing, colui che non ha bisogno dell’ombrello di Palazzo Chigi per avere autorevolezza.

I timori

Proprio questo feeling, ormai evidente a chiunque si intenda di rapporti politici, è ciò che sta impensierendo soprattutto i ranghi leghisti. Dentro via Bellerio nessuno si sogna di mettere in discussione la fedeltà di Giorgetti ad Alberto da Giussano, ma sta crescendo la consapevolezza di come il suo ruolo defilato nel partito possa nascondere altri progetti.

Lo stesso si percepisce anche a via della Scrofa. Nel caso in cui la suggestione del passaggio di consegne nel 2029 fosse verosimile, c’è la consapevolezza che nessuno dentro Fratelli d’Italia potrebbe fermarla. Meloni è madre e padrona del partito, e i suoi disegni non si discutono, anche perché a oggi (ma nemmeno nell’immediato futuro) non esistono leadership, né figure, alternative alla sua. Unico dubbio: senza una riforma del presidenzialismo per ora del tutto fuori portata, il Quirinale sarebbe un buen retiro anticipato per una leader ancora politicamente giovane.

Le fonti interne al governo che hanno condiviso questa suggestione infatti predicano cautela: si tratta di chiacchiere e poco più. Chiacchiere che però hanno una radice di fondamento se non altro per il mondo da cui provengono. Poi, come ben sa soprattutto Meloni, la politica è una bestia imprevedibile, e i progetti così a lungo termine sono scritti sull’acqua.

Certo è che, quanto più questa voce serpeggia, tanto più genera nervosismo nei due attuali vicepremier. Soprattutto in quello il cui futuro è più politicamente in bilico. Matteo Salvini, nervosissimo in vista di questa manovra di bilancio, è sempre più all’attacco a testa bassa contro le banche, contro il collega Antonio Tajani e anche contro i tagli al suo ministero voluti dal Mef. Gli strali di Lega e Forza Italia sono piovuti addosso alla ragioniera generale dello stato, Daria Perrotta – sulla carta ideatrice della sforbiciata ai budget dei dicasteri – ma a difenderla è immediatamente intervenuto proprio Giorgetti: «Ho piena fiducia in chi lavora con me».

Del resto, quando è stata nominata, ad agosto 2024, ha ricevuto la benedizione anche del vertice del Cnel Renato Brunetta, attento conoscitore del deep state: «La donna giusta al posto giusto, al momento giusto». E chissà che anche il suo profilo non venga tenuto in considerazione in chiave futura.

Certo, la pazza idea Meloni-Giorgetti in tandem al Quirinale-palazzo Chigi rimane appunto questo: suggestione per alcuni, paura per altri, smentita categoricamente dai rispettivi entourage. Eppure, in questo momento, nessun impedimento politico si sta frapponendo tra la premier e il suo bis al governo e dunque nemmeno tra lei e la sua voglia di pensare in grande. Tanto, per ora, non costa nulla.