La tratta. Criminali e terroristi fanno shopping

(di Nicola Borzi – ilfattoquotidiano.it) – L’Ucraina è un colabrodo senza precedenti: dall’inizio dell’invasione russa a febbraio 2022 Kiev si è vista rubare o ha smarrito 491.426 armi da fuoco. La cifra è aumentata di oltre l’80% da settembre 2024. Tra le armi scomparse figurano soprattutto fucili d’assalto (oltre 149 mila, tra i quali 99 mila Ak47 Kalashnikov), fucili da caccia (oltre 135 mila), carabine, pistole (21 mila casse di pistole Makarov), ma anche mitragliatrici e lanciagranate. Lo riferisce un rapporto del ministero degli Interni ucraino ripreso da testate locali e da Analisi Difesa. Secondo Kiev la stragrande maggioranza dei casi (94%) riguarda smarrimenti: le armi erano state distribuite anche ai civili delle milizie popolari, ma molte sono finite al mercato nero, in mano a criminalità organizzata e terroristi. Ma alcune forniture dall’Occidente sarebbero state rivendute di nascosto ad altri Paesi, tra corruzione e contratti militari opachi.
Più della metà delle armi mancanti è di fabbricazione estera (58%), solo 17% è stata prodotta in Ucraina e il resto è di origine ignota. Le regioni con più armi scomparse sono Kiev (78.500), Donetsk, Mykolaiv e Zaporizhzhia. ma in giro ci sarebbero dai 2 ai 5 milioni le armi da fuoco non dichiarate in Ucraina, secondo il vice ministro degli Interni ucraino Bohdan Drapyatyi.
Kiev sostiene di aver intensificato gli sforzi per contrastare i traffico di armi, con controlli alle frontiere, tracciamento e registrazione in un database nazionale, coinvolgendo l’Osce, la Ue e la polizia svedese. Tra i piani c’è una strategia nazionale per il controllo delle armi leggere di piccolo calibro (Salw) per migliorare la gestione delle scorte, prevenire il contrabbando e aumentare la sicurezza.
Ma secondo un rapporto di luglio dell’Ufficio dell’Onu contro la droga e il crimine organizzato (Unodc), a quasi quattro anni dall’invasione russa i gruppi criminali in Ucraina stanno adattando i loro modelli di business e cercano di inserirsi nel commercio di armi rubate o smarrite al fronte. Intanto aumentano i sequestri di armi e la violenza tra i civili. L’Unodc ha sottolineato l’importanza di monitorare la situazione. Uno dei timori è legato alle nuove tecnologie: sebbene al momento non vi siano prove dell’uso di droni militari, il rapporto rileva che i droni civili e i componenti stampati in 3D per la guerra potrebbero alimentare nuovi mercati illeciti.
Intanto i servizi segreti e la polizia ucraini aumentano i controlli. Secondo un rapporto del 2023 dell’Ispettore generale del Pentagono, all’inizio della guerra criminali, volontari e trafficanti di armi rubarono materiale fornito dall’Occidente alle forze ucraine, ma molti altri questi furti in seguito sono stati sventati e l’equipaggiamento recuperato. Tra le ultime operazioni contro questi traffici, a gennaio 2025 la polizia di Kiev ha effettuato quasi 700 perquisizioni, arrestando 22 sospetti e segnalandone altri 38, con ingenti sequestri di fucili d’assalto, mitragliatrici, granate, lanciagranate, munizioni e contante. A settembre 2024 nella regione di Kiev sono state sequestrate armi e centinaia di proiettili per lanciagranate per un valore di circa 40 mila euro. Nell’agosto precedente a Leopoli era stata smantellata un’organizzazione di trafficanti con la confisca di 72 pistole, 20 fucili d’assalto, 29 granate e quasi 49 mila munizioni. Da allora, l’Ucraina ha implementato sistemi di tracciamento e inventario più rigorosi per le armi fornite dall’estero, inclusi database accessibili ai funzionari dell’ambasciata Usa e misure di sicurezza rafforzate per lo stoccaggio, magazzini segreti in costante videosorveglianza, numeri di serie registrati.
I furti o la perdita di armi in un Paese in guerra non sono una novità. Basti pensare che tra il 2010 e il 2019 l’esercito statunitense ha perso o si è visto rubate circa 1.900 armi da fuoco, sia negli States che all’estero, anche in fronti caldi come Afghanistan e Libano. Ma mezzo milione di armi sparite sono un’enormità e un gigantesco problema di sicurezza globale.
Ordini miliardari: pure se arriva la pace sarà economia di guerra
Europa Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia: l’investimento in armi sosterrà la produzione per anni: con tanti saluti al Welfare

(di Gianni Dragoni – ilfattoquotidiano.it) – Più armi, più posti di lavoro. L’impennata prevista delle spese militari in Europa spinge le industrie ad accelerare i piani di aumento della produzione messi a punto in seguito alla guerra Russia-Ucraina. Il settore va verso un boom dell’occupazione, molte aziende dicono di avere difficoltà a trovare le competenze necessarie. La crescita più forte è in Germania, seguono Francia e Gran Bretagna. L’Italia pesa meno, ma cresce anch’essa.
Rheinmetall, l’industria degli armamenti terrestri che ha avuto il boom maggiore in questi anni, punta ad assumere 30 mila persone nei prossimi tre anni, ha detto l’ad Armin Papperger in un’intervista ad Handelsblatt. Rheinmetall ha 9,8 miliardi di ricavi annui e 40 mila addetti, ha fabbriche anche in Ucraina, dai carri armati si sta estendendo al settore aeronautico, d’intesa con Lockheed produrrà droni connessi con i cacciabombardieri F-35. Rheinmetall sta acquisendo la divisione navale militare Nvl dal gruppo Lürssen. Ha avuto il primo ordine per fornire un satellite all’Esercito tedesco in orbita terrestre bassa, il piano è di consegnarne 40 in due anni.
Una potenza “terra mare cielo” penetrata anche in Italia, attraverso la joint venture paritetica con Leonardo per produrre 280 carri armati e 1.050 veicoli cingolati di fanteria per l’Esercito italiano. I due partner si spartiranno il 50% ciascuno dei ricavi e del lavoro. Andrà in Italia anche un’ulteriore fetta del 10% della commessa a Rheinmetall Italia. L’ad, Alessandro Ercolani, ha dichiarato al Sole 24 Ore che lo stabilimento di Roma sulla via Tiburtina nei prossimi cinque anni verrà raddoppiato. “Stimiamo per lo stabilimento romano ricavi a 500 milioni nel 2026, erano 100 nel 2021. Per quanto riguarda l’occupazione, solo per i programmi terrestri con Leonardo la stima è di assumere 2.000 persone in 5 anni. Avremo invece bisogno di 500-1.000 persone nel triennio per il polo di Roma”, ha detto l’Ad di Rheinmetall Italia.
L’impegno politico, assunto anche dal governo Meloni, ad aumentare la spesa militare dei paesi Nato dal 2% al 5% del Pil entro il 2035 darà un ulteriore impulso alla spesa per le armi, che verrà finanziata con tagli alla spesa sociale e aumento del debito pubblico. Va precisato che l’asticella ufficiale è stata portata al 5% per soddisfare il presidente americano Donald Trump, mentre la spesa militare effettiva dovrà crescere al 3,5% del Pil. Sarà sempre uno sforzo enorme rispetto al livello attuale, l’Italia spende circa l’1,5% del Pil: il 3,5% ci costerebbe 40 miliardi in più all’anno.
Uno studio di Oliver Wyman (Ow) rileva che l’aumento al 5% del Pil “rappresenta essenzialmente un raddoppio del contributo europeo alla Nato, passando da 400 miliardi di euro all’anno a oltre 800 miliardi di euro entro il 2030”. “L’espansione della difesa europea richiede più che semplici risorse finanziarie, sarebbe necessaria un’espansione della capacità produttiva interna su una scala mai vista dalla fine della Seconda guerra mondiale”.
Lo studio, spiega Roberto Scaramella, partner di Ow e capo dell’Aerospazio e Difesa per l’Europa, indica che “il settore della difesa richiederà oltre 250.000 ingegneri e tecnici qualificati aggiuntivi in Europa (oltre il 25% del totale attuale) nei prossimi cinque anni per far fronte all’attuale arretrato del settore e alla crescente domanda del mercato”.
Il gruppo Leonardo nel piano industriale ha previsto 6-7 mila assunzioni tra il 2026 e il 2028. Impetuosa la crescita nei missili. La società europea Mbda, di cui Leonardo ha il 25%, gli altri soci sono Bae Systems e Airbus, dal 2019 a oggi ha aumentato i dipendenti del 50% e prevede per quest’anno 1.900 assunzioni. Mbda Italia ha assunto 400 persone l’anno scorso e ne prevede 300 quest’anno, nei prossimi anni è prevista un’ulteriore espansione per “coprire” un portafoglio ordini che a fine 2024 era di 6,5 miliardi, oltre il doppio rispetto ai 3 miliardi del 2020.
Per l’altro colosso pubblico, Fincantieri, il militare incide per quasi il 30% del fatturato. L’aumento della produzione porterà i cantieri ibridi, Palermo e Castellammare di Stabia, a essere totalmente dedicati al militare. L’azienda spiega che non c’è un impatto immediato nell’aumento dei posti di lavoro, tuttavia c’è già stata una crescita complessiva del gruppo, un migliaio di assunzioni quest’anno, altrettante nel 2024.
Il sindacato fa notare che “il piano Rearm Europe sottrae risorse al welfare per destinarle alla difesa senza una politica industriale che accompagni la crescita, oggi il 60% della spesa militare è al di fuori dell’Ue, in particolare negli Usa”, dice Simone Marinelli, coordinatore nazionale aerospazio della Fiom-Cgil. “Quanto a Leonardo, se cresce anche in Italia è un fatto positivo, però vorremmo che Leonardo crescesse anche nel civile, perché nel Sud ha stabilimenti soprattutto nel civile. Sappiamo che Leonardo voleva fare un passo di lato nelle aerostrutture, a Grottaglie. Non possiamo sperare nella guerra per avere lavoro”.
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“Non possiamo sperare nella guerra per avere lavoro”.
Parole di puro buonsenso, sacrosante.
Infatti la domanda che mi pongo è: che ne sarà di tutti questi posti di lavoro quando questa corsa al riarmo finirà? O si continua all’infinito o, altrimenti, le assunzioni di oggi sono solo la parte precedente dei licenziamenti di domani.
Sul piano macroeconomico, la crescita della spesa militare ha effetti solo apparentemente positivi.
Nel breve periodo, aumenta la domanda aggregata: più investimenti pubblici, più occupazione, produzione, innovazione tecnologica (soprattutto in settori avanzati come droni, satelliti, missili).
Questo genera un effetto keynesiano positivo sul PIL.
Nel medio-lungo periodo, però, il moltiplicatore della spesa militare è più basso di quello della spesa civile.
Un euro speso in istruzione o infrastrutture civili crea più crescita diffusa di un euro speso in armi, che ha filiere più ristrette e meno ricadute sociali.
Inoltre, finanziare un aumento di 40 miliardi annui di spesa militare può spingere il debito pubblico sopra i limiti di sostenibilità (specie se non ci sono riforme o crescita corrispondente).
Il Rischio è di sacrificare la stabilità fiscale e sociale per esigenze di sicurezza imposte dall’esterno.
Infine, se la spesa viene finanziata a debito, si innesca un effetto di “crowding out”: meno capitale disponibile per altri investimenti produttivi o innovativi (sanità, transizione verde, ricerca civile).
L’impegno politico, assunto anche dal governo Meloni, ad aumentare la spesa militare dei paesi Nato dal 2% al 5% del Pil entro il 2035 darà un ulteriore impulso alla spesa per le armi, che verrà finanziata con tagli alla spesa sociale e aumento del debito pubblico.
È certo che la spesa militare crescerà.
È invece solo un’ipotesi ,per ora plausibile, non certa, che venga finanziata con tagli al welfare o nuovo debito.
Scegliere tra tagli ed aumento del debito è come decidere se morire con un colpo di pistola o uno di fucile.
In effetti, da un punto di vista sociale ed economico, scegliere tra tagliare il welfare o aumentare il debito significa decidere chi paga il prezzo del riarmo: nel primo caso, lo pagano i cittadini più vulnerabili (meno servizi, meno sanità, meno istruzione); nel secondo, lo pagano le generazioni future, che si troveranno un debito maggiore e minori margini di manovra economica.
Generazioni future di cui all’italiano medio non è mai fregata una mazza ( su questi pixel l’elenco è lungo).
In entrambi i casi, la società nel suo complesso si impoverisce, anche se in modo diverso.
Il mio dubbio nasce dal fatto che per finanziare il riarmo c’è però un terzo scenario, più difficile ma non impossibile ( in un paese normale): riformare la spesa e la fiscalità in modo da finanziare parte della difesa senza colpire né il welfare né il debito.
Ridurre spese inefficienti o sussidi a settori in declino e riforma della fiscalità ( es. revisione degli estimi catastali), accompagnandolo con misure serie contro l’elusione e l’evasione fiscale.
Dicevo appunto: in un paese normale.
Ma qui la normalità è da tempo fuori bilancio.
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Ottima analisi. Sintetizzo, come mi sono trovato a dire recentemente, che non si deve parlare di investimenti in armi. un investimento è una spesa oggi per avere un ritorno nel futuro. I soldi nell’educazione sono un investimento, i soldi nelle infrastrutture possono essere un investimento, i soldi nella sanità e nella prevenzione sono un investimento (il ritorno è la miglior qualità e la maggior durata della vita). L’acquisto di armamenti è il contrario di un investimento e il vantaggio presente è effimero. In futuro quelle armi saranno obsolete, e per giustificare un nuovo acquisto bisognerà usarle. E quindi ci saranno altre Ucraine, altri morti innocenti per arricchire uno sparuto gruppo di avidi senza i quali il mondo sarebbe migliore.
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L’acquisto di armamenti è il contrario di un investimento e il vantaggio presente è effimero. In futuro quelle armi saranno obsolete, e per giustificare un nuovo acquisto bisognerà usarle. E quindi ci saranno altre Ucraine, altri morti innocenti per arricchire uno sparuto gruppo di avidi senza i quali il mondo sarebbe migliore.
Quasi 100 anni fa Rodolfo De Angelis si pose la stessa domanda:
”Dica un pò se lei lo sa, dei terribili armamenti questo mondo che farà, se domani, puta caso, questa guerra non si fa?
”che volete che vi dica? Ne faranno dei balocchi per la gioia dei marmocchi”
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Infatti la domanda che mi pongo è: che ne sarà di tutti questi posti di lavoro quando questa corsa al riarmo finirà? O si continua all’infinito o, altrimenti, le assunzioni di oggi sono solo la parte precedente dei licenziamenti di domani.
Che domande.
Lo spazio è ancora piuttosto vuoto.
Fincantieri+ Leonardo =
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Tutto come previsto dagli specialisti del settore . Non c’era bisogno della zingara del resto per predire come sarebbero andate le cose nel paese più corrotto d’Europa . Ma i nostri governanti predicatori di valori occidentali irrinunciabili hanno preso due piccioni con una fava : accontentato le lobby delle armi e fatti felici i ladri trafficanti di esse .Bingo !
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“Kiev è un colabrodo: in tre anni e mezzo spariti dall’Ucraina mezzo milione di mitra, fucili, pistole”.
Secondo me stanno tutte in cantina da Sparvy.
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Un paio di mitragliatrici in saldo pensavo di comprarmele, magari anche un lanciagranate non sarebbe male visti i tempi che corrono. Dove si trovano? Te le spediscono anche a casa? Un carro armato no perchè la manutenzione costa un sacco per non parlare dei pezzi di ricambio.
Poi prenderei anche qualche drone per non essere obsoleto.
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