(di Luca De Carolis e Lorenzo Giarelli – ilfattoquotidiano.it) – Non sono tanto le dimissioni da vicepresidente, ormai quasi annunciate dopo giorni di malumori e messaggi anche a mezzo stampa. Quel che il Movimento 5 Stelle e Chiara Appendino si portano a casa dal Consiglio nazionale di un sabato d’ottobre sono soprattutto sette ore di discussione accesa, addirittura un “processo a Chiara” come dicono sgranando gli occhi i più vicini all’ex sindaca di Torino. Che da ieri non è più vicepresidente del Movimento, “la mia casa politica”, come dice in serata confermando che la sua battaglia sarà da dentro, ma in polemica con una linea “autoassolutoria” dopo il tonfo alle regionali e soprattutto “troppo schiacciata” sul Partito democratico. Però sul merito e sul metodo Giuseppe Conte si arrabbia, e con lui diversi big.

La riunione inizia intorno alle 10. Conte fa una lunga premessa, divagando sull’imminente, cruciale, impegno in Campania a fine novembre. Poi l’ex premier si rivolge ad Appendino, da giorni sui giornali perché martedì sera, durante l’assemblea congiunta dei gruppi, aveva messo sul tavolo le proprie dimissioni. È a quel punto che Appendino conferma l’intenzione di lasciare (in serata arriverà la lettera formale): “Io ci metto la faccia”, scandisce, quasi come sfida. E torna il nodo dell’alleanza col Pd: “Il problema non è l’alleanza – è il ragionamento di Appendino – ma la postura, come ci stiamo in questa alleanza”. Un tema di subalternità, dunque.

Appendino contesta persino la marcata vicinanza al dirigente dem Goffredo Bettini. È uno dei tanti punti su cui inizia uno scambio duro che va avanti per ore: “A Bettini dovremmo fare un monumento – è la replica stizzita di Conte – perché ci ha introdotto in certi ambienti”. Il leader dice di “rispettare” la posizione dell’ormai ex vice, ma di non capirla: “Nelle proposte siamo radicali – ripete – sul posizionamento politico c’è stata una costituente e abbiamo fatto votare gli iscritti”. Riferimento anche alla Toscana, forse il più sanguinoso degli accordi col Pd. “E poi – aggiunge – dove saremmo stati subalterni ai dem?”. E ricorda la linea opposta al Pd sulle armi, soprattutto in Europa.

In molti rimproverano ad Appendino di aver provocato la bufera a ridosso di sfide delicate come la Campania e la Puglia, altri le citano il deludente 6% del M5S nella corsa solitaria (ispirata da Appendino) alle regionali in Piemonte. Ricciardi le ricorda che nel vecchio Movimento con una condanna in via definitiva – quella per gli incidenti in piazza San Carlo a Torino – “saresti rimasta tagliata fuori”.

C’è anche un duello con Taverna, che sulla Stampa l’aveva richiamata a “confrontarsi nelle sedi opportune”: “Questi temi li ho sempre sollevati in assemblea – è la tesi di Appendino – Siete voi che mi avete risposto in massa sui giornali”. La vicaria, insieme a Conte, promette un’indagine interna sulle soffiate alla stampa, ma tiene il punto: “La sede opportuna era questa, il Consiglio”.

Alessandra Maiorino per due volte prova a convincere l’ex sindaca a ritirare le dimissioni e Conte a non accoglierle. Ma non è aria: Appendino rimette il mandato. Lasciando tra i contiani il sospetto che ora si metta alla finestra confidando in altri inciampi elettorali per presentarsi poi come alternativa al presidente. Ipotesi che i più vicini ad Appendino respingono, negando calcoli opportunistici. In serata è l’ex sindaca a ribadire sui social concetti già espressi in assemblea, ovvero la vocazione anti-sistema e la fedeltà al Movimento: “Il M5S è e resterà sempre la mia casa. Ma dobbiamo cambiare rotta, è in gioco la nostra comunità. Credo nel progetto dei progressisti indipendenti, ma la nostra spinta radicale sembra essersi esaurita, troppo preoccupati da accordi di palazzo”. Poi la promessa: “Io ci sarò”. Di certo un pensiero in più, per il Movimento che nelle urne non può più sbagliare.