(di Silvia Truzzi – ilfattoquotidiano.it) – Domenica, mentre Tel Aviv aspettava il ritorno degli ostaggi e la Cnn spiegava che dal cessate il fuoco gli ospedali di Gaza registravano oltre 300 morti, la sede del Cnel a Roma ospitava una giornata di riflessione su Europa e Medio Oriente, organizzata dall’Ucei. Ce ne siamo fatti un’idea leggendo sul Corriere la sintesi dell’intervento del professor Galli della Loggia, da cui apprendiamo intanto che “la democrazia liberale che abbiamo conosciuto nella sua espansione vittoriosa del Novecento, si è costruita anche grazie a tre nessi decisivi con l’ebraismo: il socialismo, l’affare Dreyfus e la Shoah. Senza uno o l’altro di questi tre fattori la vicenda della democrazia in Europa non è pensabile”. Per fortuna il professore si è cautelato con l’avverbio che gli ha consentito di tralasciare, per esempio, la Rivoluzione francese o il principio della divisione dei poteri che sta alla base del costituzionalismo (la lista di tutto ciò che ha contribuito all’espansione della democrazia e non ha nessi decisivi con l’ebraismo sarebbe lunga). Comunque, spiega il professore, è a causa dell’identificazione tra l’ebraismo e i nostri valori che abbiamo considerato ogni attacco all’ebraismo un attacco a noi. Non è più così: dal 7 ottobre di due anni fa, “una superficiale e breve solidarietà” con le vittime “è stata sovrastata ben presto dal clamore volto a condannare la ‘sproporzione’ della reazione di Israele e con essa il nuovo mostro, il sionismo”. Quei 67 mila morti se la saranno cercata: erano tutti di Hamas, bambini compresi. Del resto – l’ hanno spiegato più volte i ministri israeliani – sono “animali umani”: ogni volta che sono stati bombardati ospedali, ogni volta che sono stati uccisi giornalisti, c’era qualcuno di Hamas nei paraggi. Insomma, la solidarietà per le vittime della macelleria del 7 ottobre è durata poco, decine di migliaia di persone si sono scoperte pronte “a sottoscrivere qualsiasi slogan, fino a quello più delirante dell’accusa di genocidio” (accusa sostenuta da giuristi e intellettuali, anche israeliani). Va così: se “free from the river to the sea” è uno slogan in un corteo pro Palestina è inaccettabile, se è la politica di Israele nei Territori occupati è tutto a posto.

Cosa avrà fatto cambiare il vento della solidarietà? Un rapporto dell’Ispi (non di Hamas) analizza l’andamento della mortalità dopo l’offensiva a Gaza: la risposta militare di Tel Aviv ha provocato oltre 6 mila morti al mese nei primi tre mesi; poi è seguita una seconda fase di relativa “stabilizzazione”, con circa mille-duemila vittime al mese. Dall’estate di quest’anno il bilancio è tornato pesantissimo: luglio e settembre sono stati i mesi più sanguinosi, con circa 4 mila morti, “diretta conseguenza delle operazioni di terra e degli incessanti bombardamenti nella Striscia”. Il professor Della Loggia prosegue con una disamina sul “progressismo”, causa di tutti i mali della democrazia (i soliti comunisti senza dio e senza famiglia) e poi cita la storica Diana Pinto, quando dice “ci siamo abituati a pensare che gli israeliani sono dei Bianchi europei che si comportano male in un quartiere esotico e violento, che almeno in linea di principio dovrebbero conformarsi alle regole che vigono da noi”. Ma la democrazia liberale non era impensabile senza l’ebraismo? Ah no, c’è stato il progressismo debosciato che ha sciolto i legami. Poi “accade che un branco di lupi feroci entri in quel quartiere seminando la strage. E che ne segua una violenza terribile per cercare di avere ragione di quelle belve” (animali umani, no?). C’erano altri mezzi per fermare le belve? Evidentemente no: “A darmi una risposta è stata l’aggressività delle nostre piazze contro Israele, l’odio contro l’Occidente che da esse saliva, la ricomparsa dell’antisemitismo”. “In certe circostanze non posso avere dubbi da che parte stare”. Ecco, gli altri – leggendo parole come queste – hanno deciso di stare dall’altra parte, quella dell’umanità.