Ospedali pubblici. Il dibattito con Gabanelli, Cartabellotta, Gismondo e Daniele: no prevenzione e cure, pazienti rassegnati

(di Ferruccio Sansa – ilfattoquotidiano.it) – “Tra poco in molte regioni ci sono le elezioni. Ma quando andiamo a votare non ricordiamo che l’80% del budget delle Regioni è destinato alla sanità. Sono questi enti che decidono come siamo curati, come sono i nostri ospedali, quanto personale deve essere assunto, il rapporto percentuale tra il numero dei cittadini e i posti letto”. Esordisce così la giornalista Milena Gabanelli nel dibattito di ieri alla festa del Fatto: “Come sta la sanità”. Gabanelli affronta la questione con il suo stile, non solo indicando i mali, i numeri, ma anche quello che potremmo fare noi cittadini.
Accanto a lei ci sono altre figure che da anni si dedicano alla battaglia per salvare la sanità pubblica italiana: Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe, che con le sue analisi e le sue proposte è stimolo e spina nel fianco di chi governa la salute. Poi Maria Rita Gismondo, nota microbiologa che ha lavorato al Sacco e all’Università di Milano. Infine Eleonora Daniele, giornalista tv, che alla salute psichiatrica ha appena dedicato un libro reportage.
Diversi di loro riprendono il testimone lasciato da Gabanelli: il ruolo che possono avere i cittadini di fronte a una politica che si è dimenticata della salute. Lo ricorda Cartabellotta: “L’Italia investe nel Sistema Sanitario Nazionale circa 135 miliardi. Facendo un calcolo è come se spendessimo oltre 50 miliardi in media in meno degli altri Paesi europei. E non parlo di Germania e Francia che giocano proprio in un altro campionato, ma di tutti gli stati dell’Unione. Per essere alla pari con gli altri dovremmo arrivare a 185 miliardi. Eppure i cittadini sembrano rassegnati, non si incazzano”. In che cosa si traduce tutto questo? “La perdita dell’universalismo. Cioè… abbiamo anche strutture di eccellenza, ma i cittadini non sono curati in modo uguale. Chi ha più mezzi ha cure migliori. E il livello di assistenza non è certo lo stesso in ogni parte del Paese”. Gismondi prova a indicare le tappe ‘della morte’ della sanità pubblica: “Tutto cominciò quando il ministro della Sanità, Francesco di Lorenzo, all’inizio degli anni Novanta, parlò di ‘aziende’ ospedaliere. Certo, gli ospedali devono avere i conti a posto, ma il loro scopo non è produrre profitto. È produrre salute”. Nel dibattito c’è un convitato di pietra: la politica. Quella che, ricordano gli ospiti, spesso sceglie dirigenti e medici in base alla appartenenza e non alle competenze. Ma la politica, anche, che lamenta di aver perso un ruolo, di non incidere più nella società, e poi non si occupa adeguatamente del tema che più incide sulla vita dei cittadini: la salute.
La politica che si è dimenticata quello che c’è scritto nella Costituzione all’articolo 32: “La salute è un diritto fondamentale”. Ma se poi la subordina a bilanci e conti, diventa un diritto condizionato. Secondario.
Un dibattito serrato: si parla del personale insufficiente, del ruolo del medico di base, della mancanza di prevenzione, delle liste d’attesa interminabili, dei milioni di italiani che sono costretti a non curarsi più, semplicemente perché non hanno i mezzi. E poi ancora del rapporto con le multinazionali e dei prezzi dei nuovi farmaci.
Ed Eleonora Daniele racconta la sua esperienza di familiare di persona colpita da autismo e insieme di cittadina impegnata per cambiare le cose in un ambito, la psichiatria, troppo trascurato: “Sta passando la nuova legge sulla salute mentale”, racconta Daniele, “ma in Italia le destiniamo poco più del tre per cento delle risorse complessive per la salute. In altri Paesi europei siamo al sette per cento”. Siamo sempre lì, al confronto impietoso con i nostri vicini, con gli stati che fanno parte con noi dell’Unione europea. “Eppure”, conclude Daniele, “il disagio psichico e i suicidi sono la seconda causa di morte tra gli adolescenti”.
L’Italia negli anni 90 era al secondo posto al mondo nella classifica Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) della qualità della sanità pubblica. Oggi stiamo scivolando indietro, così come nelle classifiche sulla durata media della vita.
Ma come dicono Gabanelli e Cartabellotta. tocca anche a noi dire la nostra: con il voto, con tutte le forme di partecipazione.
Tutto comincia all’inizio degli anni novanta…., siamo nel 2025 e di governi ne sono passati diversi senza grandi variazioni rispetto alla rotta tracciata. Nessuno ci racconti che votare contro l’attuale governo, contro il precedente o contro il prossimo esecutivo servirà a cambiare le cose, chi ha governato negli ultimi 35 anni non può chiamarsi fuori, dovrebbe andarsene dalla politica.
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Non ho sentito il dibattito e non ho voglia di farmi il sangue amaro a sentirlo ma dal resoconto sembra proprio che Caltabellotta abbia segnalato la riduzione di risorse totali decise dallo Stato mentre la Gabbianella, secondo il cliché suo e del duo cabarettistico Stella/Rizzo, abbia alzato il ditino a segnalare le inefficienze e ruberie delle amministrazioni pubbliche regionali, secondo il solito schema i costi del servizio pubblico sono sprechi, i maggiori costi del privato sono PIL apparentemente per tutti (ma soprattutto profitti per qualcuno).
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Articolo in cui ci sono alcune semplificazioni che lo sminuiscono.
Dire solo “80% del budget regionale va alla sanità” è vero ma parziale. Una visione completa richiede di considerare:
Dimensione totale del budget (legata a tasse e trasferimenti statali).
Incidenza dell’evasione fiscale anche si imposte regionali (riduce il budget reale disponibile).
Differenze tra Regioni ricche e povere, che spiegano le disparità nell’offerta sanitaria.
Altro aspetto che ritengo sia alquanto strumentale
L’introduzione delle “aziende ospedaliere” negli anni ’90 non va interpretata automaticamente come un tentativo di privatizzare la sanità. La legge 502/1992 mirava principalmente a:
Maggiore autonomia gestionale per gli ospedali pubblici, così da poter gestire meglio risorse e bilanci.
Contenimento degli sprechi e maggiore efficienza amministrativa.
Miglior controllo dei costi senza intaccare l’erogazione dei servizi.
La privatizzazione della sanità si deve di più ad altre scelte politiche; in primis l’introduzione della sanità privata convenzionata; ma questa non ha nulla a che vedere con le aziende ospedaliere.
Aa aggravare la situazione andrebbe aggiunto il fesso-furbismo all’italiana
Ahh!! S,ra Teresa, io vado nell’ospedale convenzionato, pago 15000 £, il resto lo paga la regione (SIC), ho un servizio migliore, faccia pure lei così vedrà come si troverà bene.
Il politico di turno non si faceva scappare l’occasione; tu vai dal privato convenzionato e non in quello pubblico? Allora che senso ha dare soldi al pubblico? E giù tagli.
In tal modo quella che prima era una scelta è diventata una necessità ed il privato ne ha approfittato, complice la politica miope quando non connivente.
Infine un’ultima osservazione ; i dati OMS che stilano una classifica non esistono; quei dati sono contenuti nel WHO Report il quale assegna dei punteggi il base a
Livello di salute generale della popolazione (aspettativa di vita, mortalità infantile, ecc.)
Equità nell’accesso ai servizi sanitari
Responsività del sistema (capacità di rispondere alle aspettative dei cittadini)
Equità nella distribuzione dei contributi finanziari
L’Italia negli anni passati ha ottenuto ottimi punteggi; ma una classifica con podio annesso non esiste.
World Health Statistics
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