Il 60% degli europei contro l’operato della presidente

(di Salvatore Cannavò – ilfattoquotidiano.it) – L’Europa è in lotta. È il grido di battaglia scelto da Ursula von der Leyen nel discorso sullo Stato dell’Unione davanti a un Parlamento europeo abbastanza freddo. Come fredda è l’opinione pubblica che circonda la presidente della Commissione europea, come mostra il sondaggio Cluster17 commissionato da Le Grand Continent. Alla domanda se, dopo la trattativa sui dazi con Donald Trump, senta tutelati gli interessi economici europei dalla presidente, il 71% di un campione di 5302 persone nei cinque paesi più grandi (Germania, Francia, Italia, Spagna e Polonia) dice di no. E, soprattutto, il 60% chiede le sue dimissioni all’interno di un campione che, peraltro, si dice al 70% favorevole a restare nell’Unione europea.
La presidente ha provato a fare un discorso di equilibrio tra i vari Stati e le forze politiche europee, S&D e Ppe innanzitutto che, però, subito dopo la fine dell’intervento hanno ripreso a litigare. La ricetta Von der Leyen, di fronte alla crisi Ue, è soprattutto militare. Per questo l’Ucraina resta la pietra angolare di una prospettiva in cui “l’Europa deve lottare per il suo posto in un mondo” fatto di “ambizioni e guerre imperiali”. Ripropone una postura molto dura nei confronti della Russia, tornando a minacciare l’utilizzo dei fondi russi bloccati (200 miliardi di euro) “per finanziare lo sforzo bellico dell’Ucraina”. Emerge un nuovo programma, il Qualitative Military Edge “che sosterrà gli investimenti nelle capacità delle forze armate ucraine” e costruire di fatto una nuova cortina di ferro a Est tramite “una sorveglianza del versante orientale (Eastern Flank Watch) con quello che viene definito “un muro di droni”, di cui l’Ucraina è il maggior produttore. In questa prospettiva militare si ventila “un semestre europeo della difesa” che qualifichi maggiormente il piano di spese militari approntato nel RearmUe.
La questione ucraina sovrasta Gaza. Che viene citata per sottolineare l’aspetto umanitario, anche se c’è la novità di sanzioni mirate “ai ministri estremisti e ai coloni violenti” e la “sospensione parziale dell’accordo di associazione sulle questioni commerciali”. Ma non si menziona mai Benjamin Netanyahu, come invece si è fatto per Vladimir Putin, e non si condanna mai il massacro nella Striscia di Gaza.
Per il resto, il discorso affronta tutti i vari problemi delle politiche europee.
Von der Leyen strizza l’occhio ai socialisti rilanciando la questione sociale e promettendo un’azione decisa contro la povertà, per l’housing sociale e una politica per gli alloggi, rispolvera il Green Deal con la sviolinata sull’auto elettrica e una politica energetica basata sulle rinnovabili e la decarbonizzazione delle industrie (ipotizzando sostanziosi incentivi e aiuti a queste). Ma ne approfitta per rilanciare il nucleare. Quanto ai dazi, difende l’accordo con Donald Trump, ampiamente contestato in Parlamento, sostenendo di fatto che meglio di così non si poteva fare. Ma sulle regolamentazioni ambientali o digitali assicura che “l’Europa deciderà sempre da sé”. Si vedrà.
Nel suo discorso, incentrato su un certo “sovranismo” europeo, appare chiaro che il rapporto con gli Usa è cambiato e quindi occorre adesso “incrementare la diversificazione e i partenariati” visto che “l’80% dei nostri scambi commerciali avviene con paesi diversi dagli Stati Uniti”. Però poi in Europa si grida allo scandalo quando si svolgono i vertici dei Brics o la Sco organizzata dalla Cina. Servirebbe un orientamento più coerente.
Nella difesa dello “Stato di diritto” e della “libera informazione” c’è spazio per un’ipotesi di nuovi contributi alla stampa “indipendente” nel quadro di “un nuovo centro europeo per la resilienza democratica (European Centre for Democratic Resilience). La parte sulle migrazioni sembra invece scritta da Giorgia Meloni con l’insistenza sulla priorità al “ritorno dei richiedenti asilo respinti nei loro paesi d’origine”, organizzare un “sistema che sia umano, ma non ingenuo”, in cui non sia “accettabile che solo il 20% delle persone che non hanno il permesso di restare lasci davvero l’Europa”.
C’è poi spazio per un riferimento, uno solo, a Mario Draghi, con l’indicazione di eliminare “le principali strozzature individuate dalla relazione Draghi”. Ma proprio in questi giorni è stato presentato un rapporto dell’European Policy Innovation Council secondo il quale “la prima revisione completa delle raccomandazioni del Rapporto Draghi rivela un’Unione europea impegnata ma incompiuta. Su 383 raccomandazioni, solo l’11,2% è stato realizzato, il 31,4% se si includono quelle parziali. La maggior parte è ancora in corso”. Insomma, come Vittorio Gassmann nei Soliti ignoti, Draghi “l’hanno rimasto solo”.
Ancora co sto Draghi ! E quando la smettete ? Non a certi Signorini la Van Der Lajen non piace più tanto e allora…Gli hanno portato l’acqua con le orecchie per almeno un lustro appoggiando tutte le mistificazioni , la guerra, il riarmo le scemenze ,tipo i Chips rubati nei bolli latte, e adesso siccome non ha picchiato Trump o forse perché c’è in giro un certo malumore anche in certi settori politici, che anche i servi di Di Benedetti cominciano a tossire come le mosche . E chi vogliono mettere al posto della baronessa ? Ovviamente sua santità Draghi . Una nullità al posto di un’ altra nullità.
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Ci mancherebbe pure questo!
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Non credo che paragonare Draghi ad un pugile suonato equivalga a rimpiangerlo o proporlo Presidente della Commissione Ue.
Comprendo che una critica così elegante e irridente possa sembrare inadeguata e quasi cortese al confronto con gli epiteti in tanti gli riserveremmo, ma Cannavò scrive su un giornale … però è riuscito a puntualizzare allo stesso tempo la fanfaronaggine, l’irrilevanza e l’isolamento del personaggio che fa schifo persino ai politici italiani.
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Il 70% vuole restare in UE ma il 60% vuole le dimissioni della megera guerrafondaia e incapace teteska. Ma perché più sono odiati e più vogliono restare (vedi Micron)?
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