(di Silvia Truzzi – ilfattoquotidiano.it) – È davvero singolare che la Francia, nel pieno di una crisi istituzionale dopo la caduta del sesto premier in otto anni, nelle parole dei suoi commentatori si paragoni all’Italia. Singolare perché la nostra premier è saldamente al timone di Palazzo Chigi dal 2022, con una maggioranza che non dà alcun segno di cedimento. Non basta: lo stabilissimo esecutivo Meloni propone di trasformare la forma di governo con il premierato all’italiana, sistema di alta ingegneria costituzionale partorito da Maria Elisabetta Alberti Casellati. Siamo stabili ora ma, ha spiegato la ministra, bisogna “istituzionalizzare la stabilità”, tipo incollare il premier alla sedia con l’Attak. Peccato che non esista al mondo forma di governo, come il caso francese ben dimostra, in grado di garantire alcunché: la stabilità è un portato della politica. Mentre la madre di tutte le riforme, il premierato, langue dormiente in Parlamento – vedremo quando verrà calendarizzata – nelle segrete stanze la maggioranza lavora alla legge elettorale, che proprio la riforma prevede di inserire in Costituzione con l’imperativo di garantire la maggioranza al premier eletto dal popolo. La trattativa è stata portata avanti dagli sherpa dei rispettivi schieramenti anche durante l’estate, e con il massimo riserbo (ma: esiste forse una materia di maggior interesse pubblico e che richiede assoluta trasparenza?). Non c’è bisogno di spiegare ancora una volta che per assicurare a tavolino una maggioranza si deve giocare sporco, ovvero ricorrere a tutti quei trucchetti che alterano il voto in favore della governabilità, grazie ai quali il Parlamento è incorso nelle umilianti bocciature della Consulta (Porcellum e Italicum).

Qualche giorno fa, una pagina del Corriere era dedicata alle segrete trattative, che presto saranno svelate: entro un mese le forze di maggioranza depositeranno alla Camera un testo con il nuovo sistema elettorale. L’obiettivo è esaminare in Parlamento il provvedimento nel giro di sei-otto mesi, in modo da varare la legge all’inizio del 2027 in vista delle Politiche. Giorgia Meloni vuole superare il Rosatellum per due ragioni: teme il Campo largo a sinistra e vuole scongiurare il rischio di larghe intese. E dunque dal cilindro dei Fratelli d’Italia rispunta il coniglio Tatarellum, il sistema elettorale delle Regioni, il peggiore possibile: turno unico, listini bloccati legati al candidato presidente, parte dei seggi assegnati a maggioranza relativa, qualunque sia, elezione diretta del presidente della Regione e contestualmente del consiglio regionale. Già in gennaio era trapelata la preferenza del partito della premier per questo bel sistema, che prende il nome dall’ex camerata Giuseppe Tatarella, primo firmatario della legge del 1995. Così Meloni realizzerebbe il disegno del premierato senza dover sfidare il Quirinale e senza dover passare da un referendum dall’esito incerto. In sostanza, la decapitazione della nostra democrazia. Siccome però non c’è limite al peggio, fa capolino anche l’introduzione del nome del candidato premier sulla scheda, su cui anche il Pd sarebbe d’accordo per chiarire i rapporti di forza con i 5 Stelle: un altro tassello che contribuirebbe alla trasformazione della forma di governo con una legge ordinaria (un abominio costituzionale). Val la pena di ricordare che per le riforme costituzionali non approvate con la maggioranza dei due terzi, la Carta prevede di interpellare i cittadini con una consultazione popolare senza quorum, proprio per dare l’ultima parola ai cittadini sulle questioni più importanti della vita democratica. Le leggi elettorali non sono meno cruciali, ma sono da tempo ridotte a un giochetto tra i partiti: cambiano in continuazione, sono complicate e fatte apposta per alterare il risultato finale. È anche per questo che sempre meno gente va a votare: ci vorrebbe un referendum anche per le leggi elettorali.