
(di Pietro Barabino – ilfattoquotidiano.it) – Oltre 40mila persone si sono riunite in corteo dalla sede di Music for Peace, a Genova, per accompagnare con fiaccole, bandiere palestinesi e cori la partenza delle prime quattro imbarcazioni della flotta italiana della Sumud Flotilla, diretta verso Gaza con aiuti e solidarietà per la popolazione stremata dal genocidio in corso. “In una città medaglia d’oro per la Resistenza, si aiuta gli altri a resistere”, ha scandito la sindaca Silvia Salis dal palco, al termine del chilometrico corteo che ha attraversato la sopraelevata fino al Porto Antico, dove erano attraccate le barche a vela cariche delle prime quattro delle 45 tonnellate di aiuti umanitari. Le restanti verranno imbarcate nei prossimi giorni da Catania.
Ma cosa può fare il Comune in caso di criticità, come le aggressioni militari dell’esercito israeliano, già noto per ignorare il diritto internazionale che consentirebbe questa missione? “Quando diciamo che la nostra spinta li accompagnerà per tutto il viaggio – spiega Salis a ilFattoQuotidiano.it – significa che qui a Genova ci sarà uno dei centri di coordinamento per le emergenze, nella sede di Music for Peace, dove gli operatori della ong monitoreranno h24 i movimenti di alcune imbarcazioni. In caso di anomalie, siamo già d’accordo per mobilitare immediatamente la Farnesina”. Altri strumenti verranno messi in campo da attivisti, sindacalisti, portuali e cittadini dalle più svariate appartenenze che hanno preso parte alla manifestazione. “Se perdiamo i contatti con i nostri ragazzi e le nostre ragazze per più di 20 minuti, o la merce non viene consegnata alla popolazione per cui è stata raccolta – ha detto dal palco Riccardo Rudino del Collettivo autonomo lavoratori portuali – saremo pronti a bloccare tutto ciò che riguarda Israele”. Non solo armi, come già fatto nelle scorse settimane, ma anche merci civili. “Non si parla di una mobilitazione solo italiana – aggiunge Giovanni Ceraolo, del coordinamento Mare e porti di Usb – ma attraverso la rete che abbiamo attivato a livello internazionale siamo pronti a scioperare e bloccare in tutta Europa”.
Maria Elena Delia, coordinatrice italiana della Global Sumud Flotilla, chiarisce che nessuno è affetto dalla sindrome da ‘white savior’, l’occidentale che presume di salvare ‘gli oppressi’ ignorando il loro protagonismo: “Dalla popolazione palestinese abbiamo solo da imparare. Molti di noi, in questi anni di blocco e occupazione israeliana, hanno coltivato rapporti di amicizia profonda con tante persone a Gaza. Amici e amiche che sono stati uccisi in questi mesi. Chi è riuscito a sopravvivere ci chiede di parlare di loro e provare a rompere l’assedio. Certo, gli aiuti potrebbero non arrivare, ma intanto abbiamo attivato una mobilitazione che ci consente di mettere al centro del discorso mediatico e politico ciò che subiscono i palestinesi”. La richiesta principale è la riapertura dei corridoi umanitari, “ma quello che serve davvero è il ripristino del diritto internazionale e la restituzione alla popolazione della Striscia del diritto all’autodeterminazione”.
Quando la testa del corteo ha raggiunto l’area del Porto Antico di Genova, estendendosi davanti alle imbarcazioni in partenza, molti partecipanti erano ancora sulla sopraelevata. “La raccolta di 300 tonnellate di aiuti – questo il conteggio finale – dimostra che ciò che sembra impossibile, insieme si può fare – ha commentato dal palco don Gianni Grondona, vicario dell’arcivescovo, chiamato a benedire gli equipaggi –. Se si può dire bene di questa Flotilla è perché davvero rappresenta quello che ci tiene uniti questa sera: l’impegno comune per un mondo diverso e più giusto, come chiedeva ‘il popolo di Genova’ ai tempi delle mobilitazioni anti-G8 del 2001”. Rieccheggiano le parole di don Andrea Gallo, citato più volte da Stefano Rebora, fondatore di Music for peace e membro dell’equipaggio della Sumud Flottilla: “Continuiamo a osare la speranza e andare in direzione ostinata e contraria”. Giovedì è prevista la partenza definitiva della flotta italiana da Catania. Sarà possibile seguire i movimenti delle imbarcazioni fino ai giorni dell’arrivo previsto nella Striscia di Gaza, attorno a metà settembre.
Corde attorno alle eliche, acido al posto dell’acqua e danni ai motori: tutti i tentativi di sabotaggio delle navi in partenza per Gaza
Oggi la partenza della Global Sumud Flotilla verso la Striscia. Dal 2008 a oggi le imbarcazioni della flotta civile hanno subito danni. Per questo in passato “le missioni hanno dovuto avere un livello di segretezza molto alto perché l’intenzione di Israele e dei suoi alleati è sempre stata quella di bloccarle”, spiega la portavoce italiana

(di Simone Bauducco – ilfattoquotidiano.it) – Non solo in mare. I tentativi di bloccare le navi che negli ultimi anni hanno provato a raggiungere Gaza spesso cominciano ancora prima della partenza, quando i mezzi sono fermi nei porti. Come? “I sabotaggi sono molto comuni”, racconta a Ilfattoquotidiano.it Maria Elena Delia , la portavoce italiana della Global Sumud Flotilla, che proprio oggi salpa di nuovo verso la Striscia. E i tentativi di danneggiamento sono di due tipi: “Burocratici e fisici”. Non solo decreti d’urgenza e carte bollate per vietare le partenze, ma anche corde legate attorno alle eliche, acido solforico al posto dell’acqua, alberi di trasmissione segati in due. Veri e propri “sabotaggi” che hanno colpito le navi in partenza per Gaza dal 2008 a oggi. Per questo in passato “queste missioni hanno dovuto avere un livello di segretezza molto alto perché l’intenzione di Israele e dei suoi alleati è sempre stata quella di bloccarle”.
Una denuncia che arriva a poche ore dall’avvio della missione marittima civile e nonviolenta che proverà a rompere l’assedio israeliano alla Striscia. “In queste situazioni abbiamo provato ad allestire misure di sicurezza tipo telecamere subacquee o addirittura subacquei che monitorano i fondali nelle acque del porto, e sottolineo nel porto perché queste cose sono accadute non al largo, ma ancora in porto. L’ho visto io stessa ad Atene nel 2011”, ricorda l’attivista che nel giugno di quell’anno partecipò alla Freedom Flotilla in partenza dal porto del Pireo, in Grecia. “Eravamo sei o sette barche, c’era la nostra italo-greca dedicata a Stefano Chiarini e poi quella francese, spagnola, statunitense”. Ma una mattina, nel bel mezzo dei preparativi per la partenza, gli attivisti fanno una brutta scoperta. “Nella notte era stato danneggiato l’albero motore. E così l’imbarcazione fu tolta dall’acqua e portata in un hangar dove venivano fatte le riparazioni. Questo danno ci fece ritardare di due o tre giorni la potenziale partenza”. E il termine potenziale non è casuale. “Perché a quel punto subentrò il secondo tipo di boicottaggio, quello burocratico” racconta Delia. “Il governo greco emanò un decreto apposta per non far partire le barche usando come scusa la nostra sicurezza, alcune nostre fonti ci dissero che il governo italiano, ma non solo, aveva fatto pressione su quello greco per non farci partire – ricorda l’attivista – noi avevamo invitato i media sulle barche, avevamo fatto ispezionare gli aiuti, eravamo disposti a farci fare anche i raggi x per dimostrare che eravamo le persone più pacifiche al mondo, ma non ci fecero partire”.
Ma i sabotaggi non sono episodi isolati. L’ultimo caso è avvenuto soltanto un mese fa. Era la notte tra il 19 e 20 luglio al porto di Gallipoli. L’equipaggio della Handala, una nave della Freedom Flotilla Coalition, era pronta per salpare verso Gaza per portare aiuti e rompere l’assedio israeliano. Ma c’è qualcosa di strano. Una corda attorcigliata ben stretta all’elica. “Se il motore fosse partito con quella corda attaccata, avrebbe causato la rottura dell’elica. Per fortuna l’abbiamo notato e siamo riusciti a mandare un sub per rimuoverla e per controllare il resto dello scafo della barca” ha raccontato ad Al Jazeera una delle organizzatrici della Freedom Flotilla, Huwaida Arraf. Per gli attivisti si tratta di “un tentativo di sabotaggio” che si somma a un altro fatto avvenuto poche ore dopo. Dalla nave arriva la richiesta di acqua per riempire le taniche in vista della navigazione nel Mar Mediterraneo. “Ma il camion che ci hanno mandato non trasportava acqua ma acido solforico – racconta Arraf ad Al Jazeera – Per fortuna anche in questo caso l’equipaggio della nave lo ha notato perché alcuni membri hanno ricevuto degli schizzi del liquido corrosivo sulla loro pelle e si sono ustionati. Ma così facendo sono riusciti a evitare che questo liquido entrasse nelle cisterne della nave”. Il rischio, anche in questo caso, sarebbe stato molto grande. “Se le cisterne della nave fossero state riempite con l’acido, non solo la missione sarebbe fallita, ma tante persone si sarebbero potute fare male”.
Per gli attivisti la responsabilità dei sabotaggi è israeliana: “Non è la prima volta che Israele prova a sabotare le nostre missioni attraverso il sabotaggio delle barche – conclude Arraf nell’intervista rilasciata ad Al Jazeera – Israele aveva dichiarato soltanto la settimana prima che stava lavorando per fermare la Handala e per evitare che lasciasse il porto”. E così la Freedom Flotilla Coalition ha chiesto alla comunità internazionale un’indagine indipendente su questi incidenti.
Maledetti assassini… espressione inutile, serve solo come sfogo a una tensione insostenibile. Sentirsi così impotenti è davvero insopportabile… e però mi vergogno pure di scriverlo, se penso ai poveri palestinesi stremati e alle persone coraggiose che ogni giorno lottano per far cessare questo incubo!
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E NATURALMENTE, non c’é traccia di COLPEVOLI no???
Navi SABOTATE, sostanze pericolose, però nessuno ne sa niente.
Qualche PM ha fatto indagini?
I servizi segreti che dicono?
Ricordiamoci della petroliera sabotata a Genova. Anche lì tutti a fischiettare.
L’altro giorno ho risentito la storia della MOBY PRINCE. Sappiate che i giorno dopo esatto scoppiò la HAVEN non molto distante.
Caso?
Ma c’é qualcuno che comanda in mare, persino in PORTO o in RADA?
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Sparv l’ho vista pure io su Border night… impressionante!
Altro che pessimisti, è una disperazione. Alle volte, rimpiango quando non sapevo.
Certo non mi pento, ma la conoscenza è pesante non si può essere più sereni né tranquilli. Da qualsiasi prospettiva il quadro non è allegro.
La loro maggior paura è che si sappia la verità. L’unico scopo è insabbiare, nascondere, perseguitare chi non si adegua.
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