Nel 2043 coinvolti 730mila dipendenti pubblici (medici, maestri ecc)

(di Roberto Rotunno – ilfattoquotidiano.it) – I più fortunati se la caveranno con un taglio da 80 euro al mese sulla pensione, ma qualcuno ci perderà addirittura 1.200 euro al mese. Sono gli effetti della riduzione delle pensioni anticipate di medici, insegnanti d’asilo, dipendenti comunali e regionali decisi dal governo Meloni alla fine del 2023 e confermati nell’ultima manovra. Quattro giorni fa, l’Inps ha pubblicato un messaggio in cui ribadisce e spiega il colpo di accetta agli assegni dei lavoratori pubblici coinvolti. La norma sarà applicata a chi, appartenente alle categorie coinvolte, sceglierà di andare in pensione prima di compiere 67 anni.

Ieri l’ufficio politiche previdenziali della Cgil, coordinato da Ezio Cigna, ha pubblicato una simulazione che chiarisce di che impressionanti cifre parliamo. Una scure che incombe su 730 mila dipendenti pubblici che andranno in pensione nel 2043, per un totale di 33 miliardi di euro di tagli sugli assegni pensionistici. E l’impatto non sarà solo sull’importo della pensione, ma anche sull’età effettiva di pensionamento, poiché per alcuni questa subirà un posticipo anche di sei mesi.

Torniamo ai numeri. Ipotizziamo un lavoratore che è stato assunto dalla sua pubblica amministrazione nel 1983: se la sua retribuzione è pari a 30 mila euro, subirà un taglio di 927 euro annui rispetto alla pensione che avrebbe maturato senza il provvedimento del governo Meloni. Se invece parliamo di una retribuzione da 70 mila euro, il taglio sarà di 2.163 euro all’anno. Ma in realtà i più penalizzati saranno quelli meno anziani, cioè quelli che hanno cominciato a lavorare agli inizi degli anni 90, poco prima della riforma Dini che ha introdotto il sistema contributivo. Se un dipendente pubblico è entrato in servizio nel 1994, andando in pensione con una retribuzione pari a 30 mila euro annui, la manovra del governo Meloni gli costerà 6.177 euro all’anno in meno di pensione. Il taglio diventa pari a 14.415 euro se consideriamo una retribuzione di 70 mila euro.

Certo è che il governo Meloni è intervenuto con un taglio drastico e inaspettato, di certo mai annunciato durante la campagna elettorale in cui le promesse furono altre: l’abolizione della legge Fornero e l’abbassamento generalizzato dell’età pensionabile.

Questo taglio non ha conseguenze solo sulle entità delle pensioni, ma anche sull’età effettiva di pensionamento, perché allunga le cosiddette finestre. Immaginiamo una persona che lascerà il lavoro nel 2028: con le vecchie regole, sarebbe andata in pensione tre mesi dopo aver raggiunto i requisiti. Con l’intervento del governo Meloni, invece, ci andrà nove mesi dopo, quindi di fatto un aumento di sei mesi dell’età pensionabile. “Si tratta di una misura retroattiva, che interviene sull’importo delle pensioni future in violazione dei principi di certezza del diritto e con evidenti profili di incostituzionalità”, denuncia la Cgil.

La Lega continua con i proclami su nuovi improbabili interventi: per esempio l’uso del Tfr per anticipare la data di pensione. Un modo per far pagare completamente agli stessi lavoratori un finto abbassamento dell’età pensionabile. Mentre gli annunci si moltiplicano, la realtà dice che le uniche novità introdotte dal centrodestra in tema di pensioni hanno aggravato la legge Fornero.