“Sacrificati in nome dell’intesa”. Il mondo delle cantine in rivolta. I produttori iniziano a fare il conto delle perdite sul mercato americano: mezzo miliardo l’anno di mancate esportazioni

“Sacrificati in nome dell’intesa”. Il mondo delle cantine in rivolta

(di Rosaria Amato – repubblica.it) – ROMA – Una «stangata» per l’Unione Italiana vini, «un’occasione mancata» per Federvini. Neanche le principali organizzazioni agricole italiane nascondono la delusione per la mancata esenzione dell’export di vini e alcolici dai dazi al 15% nell’accordo tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti, ribadendo anzi come «sia sempre l’agricoltura a essere sacrificata», come lamentano Coldiretti e Filiera Italia. «Viene sacrificato l’agroalimentare per avvantaggiare l’automotive», puntualizza Cia-Agricoltori Italiani, mentre Confagricoltura sottolinea il rischio «che il compromesso si trasformi in un vantaggio per pochi settori e in un pesante freno competitivo per altri». Meno negativo il giudizio di Nomisma, anche se il presidente Paolo De Castro rileva come quella Usa-Ue non sia «certamente un’intesa in grado di portare una spinta alla crescita».

Soprattutto a quella del comparto agricolo e in particolare di quello vinicolo: Copa-Cogeca, la principale federazione europea del settore, osserva in una breve nota come «l’agricoltura viene costantemente declassata nei negoziati commerciali della Ue», e invita polemicamente la Commissione «a spiegare in che modo questo risultato sia in linea con i suoi obiettivi dichiarati sul ruolo strategico del nostro settore per l’Europa, la resilienza rurale e il commercio equo e solidale».

Un primo conteggio dei danni per i produttori di vini italiani arriva dall’Osservatorio Uiv: le perdite stimate sono di circa 317 milioni di euro per i prossimi 12 mesi. Ma ai partner Usa andrà anche peggio, con un rosso per le mancate vendite che potrebbe arrivare fino a 1,7 miliardi di dollari. Anche per i viticultori italiani tuttavia si potrebbe arrivare a 460 milioni di dollari di mancato export, se il dollaro dovesse mantenere l’attuale livello di svalutazione. Il vino, ricorda il presidente dell’Unione italiana vini Lamberto Frescobaldi, è «il settore più esposto tra le top 10 categorie italiane di prodotti destinati agli Stati Uniti, con un’incidenza al 24% sul totale export globale e un controvalore di circa due miliardi di euro l’anno».

Non si tratta di una questione solo italiana: prevede «gravi difficoltà al settore del vino e dei liquori» anche il presidente della Federazione francese degli esportatori di vini e liquori Gabriel Picard, esprimendo «immensa delusione» per come sono andate le trattative. Forte allarme anche in Spagna, dove la Federación Española del Vino calcola una riduzione immediata del 10% dell’export verso gli Usa.

L’auspicio dei produttori è che ci siano ancora margini d’intervento, come del resto ha ipotizzato anche il commissario Ue al commercio Maros Sefcovic: « I dazi su vino, alcolici e birra erano uno degli interessi più importanti dell’Unione Europea», ha ammesso, assicurando che «le porte non sono chiuse per sempre». «Come Commissione europea – si è impegnato – lavoreremo il più duramente possibile per espandere i settori anche a vino e liquori, oltre che ad acciaio e alluminio». Ma i produttori sono scettici, anche se non si arrendono: «Continueremo a lavorare per un accordo migliore, quando si calmeranno le acque, ma non siamo ottimisti», spiega Mara Varvaglione, la giovane viticultrice pugliese che da alcuni mesi è diventata presidente del Ceev, il Comitato degli imprenditori europei del vino, la principale organizzazione Ue di categoria. «Siccome l’unione fa la forza, lavoreremo a fianco degli importatori americani, perché spesso sfugge, ma con i dazi andiamo a perdere da entrambe le parti, e quindi è importante rimanere a fianco delle organizzazioni Usa».