Non solo comunicazione: il sottosegretario detta la linea pure sulla geopolitica, oltre che sugli incarichi per le società pubbliche. Meloni si fida ciecamente e sente solo lui: i due veri vicepremier, Salvini e Tajani, contano pochissimo

(Stefano Iannaccone – editorialedomani.it) – Stratega della comunicazione, responsabile delle nomine e anche consigliere diplomatico. Sempre dietro le quinte, e senza alcun riconoscimento ufficiale di questi incarichi, il sottosegretario alla presidenza, Giovanbattista Fazzolari, è il punto di riferimento su ogni dossier. Più sono importanti gli argomenti e più vengono richiesti i suoi suggerimenti da parte di Giorgia Meloni. Fino ad arrivare alla presenza nella delegazione che ha recentamente partecipato, alla Casa Bianca, allo storico vertice sulla pace in Ucraina.

C’è chi maligna, mal tollerando il suo potere: «Commissaria tutto e tutti, senza andare per il sottile perché Meloni lo copre». Dicerie da detrattori? Chissà. Di certo si muove da padrone di casa a palazzo Chigi. Un Richelieu degli anni Duemilaventi. Il vero vicepremier, non ufficiale, ça va sans dire.

Presente a Washington

La presenza di Fazzolari a Washington ha rappresentato una novità che non è passata inosservata. Formalmente il sottosegretario ha solo la delega all’attuazione del programma, è il “gendarme” governativo a guardia dei ministeri affinché mandino avanti i provvedimenti. E allora che ci faceva negli Usa? Era lì per dispensare suggerimenti a Meloni.

Ma anche per continuare a forgiare uno standing internazionale che attualmente gli manca, visto che passa la maggior parte del tempo negli uffici della presidenza del Consiglio.

Tuttavia, chi conosce le dinamiche interne a FdI non è affatto sorpreso della sua partecipazione al viaggio negli Stati Uniti. «Ha una formazione di respiro internazionale, la geopolitica è una sua vecchia passione e parla di Ucraina dall’inizio della guerra», raccontano, citando la sua estrazione familiare – è figlio di un diplomatico ed è cresciuto tra Europa e Sud America – e i suoi studi internazionali. In effetti, fin dall’invasione russa, Fazzolari si è occupato spesso delle grandi questioni di politica estera.

Di recente aveva rilasciato un’intervista al Corriere della sera illustrando le possibili prospettive di pace ucraine. Argomenti che competerebbero, sulla carta, ad altri ministri, come Guido Crosetto o Antonio Tajani. E invece i due sono rimasti un passo indietro, in Italia, a commentare da lontano – sui giornali – i fatti. Ed è sempre a Fazzolari che è stata attribuita la proposta di garantire la sicurezza a Kiev, sotto l’ombrello della Nato, senza un’adesione diretta, d’intesa con il (vero) consigliere diplomatico di Meloni, Fabrizio Saggio.

L’ennesima conferma che è ascoltatissimo dalla presidente del Consiglio. Nei momenti delicati la leader di Fratelli d’Italia sente Fazzolari.

Una consuetudine nata fin dai tempi del congresso di Viterbo di Azione giovani, nel 2004, quando l’attuale sottosegretario aveva scritto la piattaforma programmatica della futura premier. «Non litigano mai», è la versione edulcorata degli aedi del melonismo.

Oltranzismo meloniano

Ma Fazzolari, che in molti all’interno di FdI descrivono all’unisono come «il più intelligente di tutti, la figura a cui Giorgia non rinuncerebbe mai», è considerato anche il vero fautore dell’arroccamento di Meloni. Dietro la sua proverbiale riservatezza incarna l’ala più intransigente degli eredi della fiamma, il melonismo in purezza meno incline al dialogo, che predilige i fedelissimi all’apertura ad altri mondi.

Non è un mistero, comunque, che Fazzolari sia mente, e longa manus, del Mattinale, il documento informale che detta la linea governativa agli eletti di Fratelli d’Italia (e che va distinto dalle analisi dell’ufficio studi del partito, guidato dal deputato Francesco Filini).

Fatto sta che il Mattinale non è certo un modello di dialogo con le opposizioni, la stampa «ostile» o chi non appartiene alla cerchia della fiamma. Anzi, spesso vengono indicati i nemici, nelle istituzioni e non solo.

Tra una strategia sulla propaganda e un’analisi geopolitica, il vero punto di forza di Fazzolari è la gestione del potere.

È ormai una pietra miliare del melonismo il suo ruolo di filtro sulle nomine nelle società pubbliche. Chi non convince il sottosegretario non ha chance di passare. Al contrario, chi gli è gradito parte avvantaggiato. Solo poche settimane fa ha sponsorizzato il nome del manager Michele Pignotti come ad di Sace, società del Mef.

L’attivismo è pari alla capacità di non farsi notare troppo. Tanto resta nell’ombra, e tanto incide sull’azione politica. Fazzolari è stato il regista degli affondi verso il ministro della Salute, Orazio Schillaci, sullo scioglimento del gruppo consultivo sui vaccini (per la presenza di esponenti criticati per le loro tesi sulle vaccinazioni).

Se Meloni, a Ferragosto e nel bel mezzo di varie crisi internazionali, ha fatto trapelare l’irritazione verso il ministro è avvenuto su suggerimento del sottosegretario. La colpa di Schillaci? Ha agito senza il consenso di Fazzolari. Imperdonabile.