
(Ferruccio De Bortoli – corriere.it) – Sul Messaggero è stata anticipata la bozza di un provvedimento che riguarda la Difesa e il sistema di nomina dei suoi vertici. L’indiscrezione – che per ora è tale – offre però lo spunto per una riflessione più ampia relativa al rapporto tra corpi dello Stato e governo del Paese.
È del tutto legittimo e opportuno che sulle nomine più importanti l’ultima parola spetti all’esecutivo, nel rispetto però dell’autonomia dei corpi avendo cura che le carriere, in particolare in ambito militare, siano il più possibile separate dalla politica e improntate al merito non alla vicinanza con un partito, con una sua corrente.
Secondo la bozza, le nomine apicali delle Forze Armate (generali di brigata, divisione e corpo d’armata) verrebbero decise da una commissione interforze, costituita dai vertici di Esercito, Marina e Aeronautica, integrata dalla presenza di un delegato del ministro. Non saranno più i soli Stati Maggiori a farle.
Sarebbe importante conoscere la ratio di questa non secondaria riforma e perché l’attuale sistema sia ritenuto superato o inefficiente. Qual è il rischio sotteso a questa ipotetica svolta?
Che la variabile politica, non del tutto assente ora e in passato per carità, sia ancora più determinante nelle nomine dei vertici della Difesa e si estenda anche ai Carabinieri e alla Finanza. Ma c’è di più. Il messaggio inesplicito che si manderebbe ai gradi inferiori è quello di crearsi una sponda politica per fare carriera. Conviene, ancora di più, averla. Ma speriamo, sinceramente, di sbagliarci.
Così si reintroduce la figura del commissario politico mentre le forze armate smettono di essere neutrali.
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