Il leader del M5s: «Sui dazi una Caporetto. Meloni potrebbe essere tentata dal voto anticipato»

Giuseppe Conte: “Su Marche e Campania niente scambi. Verso Ricci non c’è spirito sanguinario”

(Alessandro De Angelis – lastampa.it) – «Altro che mediazione, sui dazi è una Caporetto», ci dice Giuseppe Conte durante la sua intervista a PiazzAsiago. E, aggiunge: «Bisogna iniziare a dire la verità sulle cifre: i dazi sono al 15 per cento. A questo va sommata la svalutazione che ha avuto il dollaro in questi mesi, che determina un ulteriore aumento dei prezzi del 13-14 per cento. Quindi parliamo di dazi reali al 30 per cento. Loro zero, noi trenta».

Che impatto avrà secondo lei sull’economia italiana?
«Disastroso. E quando ci ritroveremo con alcune filiere che non reggono, saremo costretti a intervenire con sussidi o, come dice il governo, con la sciagurata ipotesi di usare i fondi del Pnrr, portati grazie alla sofferenza degli italiani e alla nostra schiena dritta. Significa non solo che i dazi sono una tassa imposta da Trump ma che, per pagarla, utilizzeremo soldi pubblici, tagliando servizi e sanità».

Colpa di Ursula oppure la verità è che in Europa nessuno ha puntato i piedi?
«Dovremmo mandare a casa lei e i nostri governanti. Non hanno capito chi è Trump, abituato a sparare in alto per intimidire. Bisognava rispondere in modo muscolare, mettendo sul tavolo delle controproposte altrettanto forti».

Quali?
«Minacciare una guerra commerciale: dazi raddoppiati, una global tax sui colossi del web, quel capitalismo della sorveglianza che oggi controlla le nostre vite. E poi apertura di nuovi mercati: Cina, India, Brics, Mercosur. E invece chi ha detto, come Giorgia Meloni, che voleva fare il ponte ha fatto la testa di ponte contro gli interessi dell’Italia, alla faccia del sovranismo».

Quindi le colpe maggiori secondo lei ce l’hanno Italia e Germania?
«Sono stati i Paesi che hanno maggiormente spinto per la linea morbida che poi si è rivelata fallimentare. Non è vero, come si dice, che una guerra commerciale sarebbe stata distruttiva per l’economia europea. Sarebbe stata un’arma negoziale. Concordo con il premier francese: è un giorno buio per l’Europa».

Definirebbe Trump un pericolo per il mondo e per democrazia americana?
«Non mi sfuggono le criticità della democrazia americana. Io dico: lui fa legittimamente gli interessi del suo Paese, come sui dazi. Per questo serviva e serve un’Europa più forte: se non hai consapevolezza della tua forza perdi in partenza. Discorso che vale sul tema delle armi, col cedimento al 5 per cento sulle spese Nato».

Quanto questa vicenda cambia il clima politico rispetto a Giorgia Meloni?
«Molto, perché rompe il racconto di una relazione speciale con Trump che sia vantaggiosa per l’Italia. E perché, aggravando la situazione economico-sociale, rompe anche il racconto farlocco sul governo dei record. E, per la prima volta, fa emergere contraddizioni nel suo blocco-sociale».

Si riferisce a Confindustria e Coldiretti?
«Tutte le categorie finora indulgenti col governo lanciano un grido d’allarme. E, dopo aver ottenuto briciole, chiedono sussidi, nel quadro che si aggrava. La prossima finanziaria sarà un inferno tra i vincoli del Patto di Stabilità, impegni folli presi sul riarmo e necessità di stanziare risorse per ammortizzare l’effetto dei dazi».

Pensa che, a fronte di questo scenario, la premier potrebbe avere la tentazione di andare al voto anticipato?
«Potrebbe e dobbiamo farci trovare pronti, perché nonostante una certa informazione compiacente, la realtà sta venendo a galla. E la gente la soffre sulla sua pelle, se è vero che una famiglia su due quest’anno non riesce ad andare in vacanza, solo per dirne una».

Compriamo armi e gas liquido dagli Usa. Secondo lei bisognerebbe ricominciare a comprare gas dalla Russia?
«Lo compriamo al triplo, ma non ho mai detto che possiamo adesso acquistare gas da Putin. Valuteremo la nostra convenienza una volta raggiunto un negoziato, che in passato abbiamo escluso puntando tutto sulla vittoria militare di Kiev».

Ci risiamo, la colpa è di Zelensky. Non capisco perché continua a usare due parametri diversi tra Putin e Netanyahu.
«Noi l’aggressione russa l’abbiamo condannata. Sono io che non capisco perché voi bellicisti non volete un negoziato. La differenza è che tutto il mondo ha soccorso l’Ucraina con armi, sanzioni e aiuti umanitari, mentre i palestinesi li lasciamo abbandonati a se stessi. Siete voi che usate due pesi e due misure».

Se vuole il mio giudizio su Gaza è che è in atto una pulizia etnica, nel balbettio dell’Europa. Però, oltre alla condanna di Netanyahu, lei rimuove un dato: senza la cancellazione di Hamas non c’è equilibrio possibile.
«Certo, ma in questo momento la priorità è fermare quel criminale. E lo si può fare solo sospendendo il Memorandum per la cooperazione militare con Israele, con l’embargo totale di armi, insomma l’isolamento internazionale di Israele. Meloni invece è complice, come la quasi totalità dei governi europei. Questa non è questione di colore politico, qui è in gioco l’umanità».

Diceva: dobbiamo essere pronti. Ma avete difficoltà sulle regionali. Lei ha affermato: «Non siamo più quelli che se la prendevano col “partito di Bibbiano”». Ma ha sciolto il nodo su Matteo Ricci?
«Da tempo non c’è automatismo tra avviso di garanzia e richiesta di un passo indietro, ma l’onestà resta per noi il primo requisito. Non c’è nessuna arroganza da parte nostra, ma c’è un candidato con un avviso di garanzia e noi dobbiamo valutare bene cosa fare».

Scrive Marco Travaglio: «Ricci, per costruirsi un consenso personale, spende denaro pubblico in opere effimere, affidate a due società ad hoc costruite da un amico factotum, senza gare». La pensa diversamente?
«Vedremo come andrà il confronto col pm, se si avvarrà o meno della facoltà di non rispondere e valuteremo coi nostri gruppi senza spirito sanguinario ma con grande senso di responsabilità».

E se non risponde?
«A buon intenditor poche parole».

Dica la verità: teme, se non lo sostiene, un effetto domino sulla candidatura di Fico in Campania?
«Corbellerie. Mai accettato e mai accetterò un do ut des su un territorio rispetto ad un altro».

Lei parla di questione morale, però ha fatto un patto con VincenzoDe Luca.
«Nessun patto. Ci siamo visti due volte e ho detto: se lei avesse avuto il terzo mandato noi non l’avremmo sostenuto. Ora noi stiamo costruendo un programma di rinnovamento. Significa che da parte nostra non c’è esigenza di radere al suolo tutto, distruggendo anche i progetti buoni che sono stati fatti. Al contempo c’è quella di costruire liste all’insegna della trasparenza e dell’onestà. È il criterio con cui ci approcciamo alle alleanze in tutte le regioni, compresa la Puglia dove Antonio Decaro ha le carte in regola a patto di operare un profondo rinnovamento».

Insomma, la questione morale la vede solo in Lombardia?
«Giuseppe Sala è garante di un intreccio di grandi interessi immobiliari e di un modello di città fondato sulla speculazione edilizia e piegato ai poteri forti che ghettizza il ceto medio e fasce fragili della popolazione. Anche per questo abbiamo chiesto le sue dimissioni».