Incostituzionale un limite fisso. Ora un decreto di Palazzo Chigi dovrà parametrare la retribuzione al compenso del primo presidente della Corte di Cassazione

(di Valentina Conte – repubblica.it) – ROMA – Stop al tetto fisso da 240 mila euro per magistrati e dirigenti pubblici. Con la sentenza n. 135 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’art. 13, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014 n. 66, voluto dal governo Renzi, che aveva fissato il limite retributivo dei dipendenti pubblici in misura fissa, riducendo di fatto lo stipendio di alcune categorie, in particolare i magistrati.
Il nuovo riferimento torna a essere quello previsto fino al 2014 dal “Salva Italia” di Mario Monti (decreto-legge n. 201/2011): il trattamento economico onnicomprensivo spettante al primo presidente della Corte di cassazione. Sarà ora un decreto del Presidente del Consiglio (dpcm), previo parere delle commissioni parlamentari competenti, a stabilire l’importo aggiornato. Da notare che il tetto si applica anche agli amministratori con deleghe e ai dipendenti delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni.

Dall’emergenza alla violazione costituzionale
Il limite massimo retributivo per i dipendenti pubblici era stato introdotto con il decreto “Salva Italia” del 2011, che lo ancorava allo stipendio del primo presidente della Cassazione in ottica di risparmio della spesa. Tre anni dopo, il governo Renzi decise di trasformarlo in una cifra fissa: 240 mila euro lordi annui, con una “significativa decurtazione del trattamento economico” per alcune funzioni apicali, in particolare nella magistratura, dice oggi la Consulta.
Una misura che, sottolinea la Corte, nei primi anni era stata considerata compatibile con la Costituzione perché straordinaria e temporanea, giustificata dall’“eccezionale crisi finanziaria” del Paese. Ma il passare del tempo le ha fatto perdere quel carattere di temporaneità, indispensabile a garantire l’indipendenza della magistratura, trasformandola in una violazione della Carta.
Non solo magistrati: riguarda tutti i pubblici dipendenti
La Consulta però chiarisce che la sua decisione vale per tutti i dipendenti pubblici sottoposti al tetto, non solo per le toghe. “L’incostituzionalità della citata norma, in ragione del carattere generale del ‘tetto retributivo’, non può che operare in riferimento a tutti i pubblici dipendenti”, scrive la Corte nella motivazione.
Effetti dal giorno dopo la pubblicazione
Trattandosi di una incostituzionalità sopravvenuta, la pronuncia non ha effetti retroattivi: le nuove regole si applicheranno solo dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza in Gazzetta Ufficiale.
Richiamo alla Corte di giustizia Ue
La Consulta sottolinea che questa pronuncia si pone in linea con i principi condivisi da plurimi ordinamenti costituzionali europei. E richiama la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 25 febbraio 2025 (Grande Sezione, cause C-146/23 e C-374/23), che aveva censurato analoghe riduzioni retributive dei magistrati.
E la consulta quando ©azzo si esprime per una paga base minima e decorosa per chi ogni giorno si alza per mettere un piatto a tavola🤔
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LA CORTE Costituzionale
riuniti i giudizi,
1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e dell’art. 13, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, in riferimento agli artt. 3, 4, 36, 38, 100, 101, 104 e 108 della Costituzione, con l’ordinanza iscritta al n. 211 del registro ordinanze 2016;2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 489, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», sollevate dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, in riferimento agli artt. 3, 4, 36, 38, 95, 97, 100, 101, 104 e 108 Cost., con le ordinanze iscritte ai numeri da 220 a 230 del registro ordinanze 2015 e ai numeri da 172 a 180 del registro ordinanze 2016.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2017.
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Questi SI’ che sono problemi da risolvere!
Adesso Vespasiano non avrà più da mimetizzarsi come ARTISTA per giustificare i suoi compensi!
Nel mentre il salario minimo continua a mancare, ma chissenefrega, così come di tanti altri problemi che ha l’itagliano medio.
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