Lo scorso 9 luglio il segretario di Stato americano Marco Rubio ha annunciato che Washington avrebbe sanzionato Francesca Albanese, la relatrice speciale delle Nazioni Unite […]

(di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it) – Lo scorso 9 luglio il segretario di Stato americano Marco Rubio ha annunciato che Washington avrebbe sanzionato Francesca Albanese, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sui Territori palestinesi occupati. L’accusa? “Per i suoi illegittimi e vergognosi sforzi volti a indurre la Corte penale internazionale ad agire contro funzionari, aziende e dirigenti statunitensi e israeliani“. Italiana, la giurista ed esperta di diritti umani è stata duramente criticata per le sue reiterate accuse secondo cui Israele starebbe commettendo un “genocidio” a Gaza. “Si tratta di una chiara violazione della Convenzione Onu sui privilegi e le immunità, che protegge i funzionari delle Nazioni Unite, compresi gli esperti indipendenti, dalle parole e dalle azioni intraprese nell’esercizio delle loro funzioni”, ha dichiarato la Albanese. Le sanzioni, ha aggiunto, “sono un monito per chiunque osi difendere il diritto internazionale, i diritti umani, la giustizia e la libertà“.

Proviamo invece a leggere l’inchiesta di “The Guardian” (tradotta sul numero dell’11 luglio di “Internazionale”) dal titolo illuminante: “Se la pace non è un diritto“. Che pone il seguente interrogativo: “Stiamo assistendo alla fine della giustizia internazionale?”. Dal testo, articolato sulla base di argomenti inoppugnabili, estraiamo quanto ha dichiarato alla giornalista Linda Kinstler il giurista sudafricano Dire Tladì che nel 2014 è stato nominato giudice della Corte internazionale di giustizia. “Tladì vede lucidamente i limiti del proprio lavoro e nel maggio 2025, in una dichiarazione sul procedimento intentato dal Sudafrica contro Israele per presunte violazioni della convenzione sul genocidio, ha scritto che ‘non ci sono più parole per descrivere gli orrori di Gaza’, spiegando che la corte aveva ordinato a Israele di interrompere le operazioni militari e intimato ad Hamas di liberare gli ostaggi”. Ma, osserva, “la corte è solo un tribunale”. Insomma, le sue parole, come quelle dei suoi colleghi, non potevano fare più di tanto. Direttive e sentenze cadevano nel vuoto. Nessun parere consultivo può costringere un carro armato a tornare indietro. Il punto, sostiene Tladì sul “Guardian”, “è che stiamo assistendo al fallimento non del diritto internazionale, ma della politica internazionale. La legge c’è ma la politica e il potere spesso vanificano la forza del diritto”.

Conclusione: chi come Francesca Albanese denuncia sulla base del diritto internazionale le violazioni dei diritti umani può essere pesantemente minacciata e sanzionata da Stati Uniti e Israele (con la solidarietà dell’Ue ma non del governo italiano). Mentre può sfuggire a qualsiasi misura sanzionatoria chi quelle violazioni compie violando il “principio di proporzionalità” nell’attaccare, per esempio, i civili con un danno eccessivo rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto. Un mondo dominato da una giustizia così profondamente ingiusta, che futuro ha?