Per Francesca Albanese il gruppo pubblico italiano, tramite la Rada, ha creato macchinari per eseguire demolizioni a tappeto

(di Gianni Dragoni – ilfattoquotidiano.it) – Un’azienda israeliana controllata dal gruppo pubblico italiano Leonardo avrebbe collaborato alla trasformazione dei bulldozer Caterpillar in un’arma comandata a distanza impiegata dall’esercito di Israele per fare demolizioni di case e moschee, incursioni negli ospedali e schiacciare i palestinesi a Gaza. L’accusa è nel Rapporto di Francesca Albanese, la relatrice speciale dell’Onu sui diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967.
Nel testo integrale del documento, presentato il 3 luglio, sono citate 45 “entità”, quasi tutte aziende, alcune di Israele, molte degli Stati Uniti ed europee, contro le quali la relatrice Onu ha formulato accuse pesanti. Donald Trump ha avuto una reazione durissima contro la giurista italiana. L’11 luglio Washington ha annunciato sanzioni, che non sono ancora state definite.
“Il ruolo delle entità aziendali nel sostenere l’occupazione illegale di Israele e la campagna genocida in corso a Gaza è l’oggetto di questa indagine”, si legge nel rapporto. Secondo Albanese “il complesso militare-industriale è diventato la spina dorsale economica dello Stato”, le due principali aziende di armi di Tel Aviv, Elbit Systems privatizzata e la statale Israel Aerospace Industries (Iai), sono tra i primi 50 produttori di armi del mondo.
Leonardo è menzionata cinque volte. “Il report si occupa di Leonardo in modo marginale”, ha detto al Fatto il gruppo guidato da Roberto Cingolani, affermando di “aver sempre agito nel pieno rispetto della normativa nazionale e internazionale in materia di export di materiale d’armamento”.
Albanese ricorda l’uso contro i palestinesi dei cacciabombardieri F-35, realizzati nel programma “guidato dalla statunitense Lockheed Martin, insieme ad almeno altre 1.600 aziende, tra cui il produttore italiano Leonardo Spa e otto Stati. Israele è stato il primo a far volare l’F-35 in combattimento nel 2018 e poi a utilizzarlo in beast mode entro il 2025”.
Anche i macchinari pesanti di terra sono “al servizio della distruzione coloniale”. Secondo Albanese, “dall’ottobre 2023, questi macchinari sono stati fondamentali per danneggiare e distruggere il 70% delle strutture e l’81% dei terreni coltivabili a Gaza”. Il rapporto dice che “in collaborazione con aziende come Iai, Elbit Systems e Rada Electronic Industries, di proprietà di Leonardo, Israele ha trasformato il bulldozer D9 di Caterpillar in un’arma automatizzata e comandata a distanza, fondamentale per l’esercito israeliano, impiegata in quasi tutte le attività militari dal 2000, per liberare le linee di incursione, “neutralizzare” il territorio e uccidere i palestinesi. Dall’ottobre 2023, è stato documentato l’uso di attrezzature Caterpillar per eseguire demolizioni di massa – tra cui case, moschee e infrastrutture di sostentamento – raid negli ospedali e schiacciare a morte i palestinesi”.
Rada è una società israeliana comprata da Leonardo nel 2022 attraverso una fusione con la propria controllata americana Leonardo Drs, che in questo modo è stata automaticamente quotata in Borsa, a New York e a Tel Aviv. Il gruppo all’epoca era guidato da Alessandro Profumo. Leonardo fa notare che Rada è di proprietà di Drs e che, per le regole degli Usa, le società americane della difesa hanno una gestione autonoma rispetto al proprietario straniero. Il board di Drs è di nove americani, dal gennaio 2012 l’Ad è William Lynn, ex viceministro della Difesa.
Un altro passaggio del rapporto riguarda i finanziamenti bancari. “Dal 2021 al 2023 Bnp Paribas è stato uno dei principali finanziatori europei dell’industria bellica che rifornisce Israele, con 410 milioni di dollari in prestiti a Leonardo, tra gli altri, oltre a 5,2 miliardi di dollari in prestiti e sottoscrizioni per le società citate nel database dell’Onu”. Nel 2024 “Barclays ha fornito 2 miliardi di dollari in prestiti e sottoscrizioni alle società citate nel database Onu, 862 milioni a Lockheed Martin e 228 milioni a Leonardo”.
suppongo a totale insaputa di Crosetto e sodali….vero….????
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Sempre ottimo Gianni Dragoni, questo è un articolo che ancora una volta spiega come nelle guerre l’ideologia ed i fessi che ci credono sono direttamente proporzionali; all’aumentare dell’una cresce il numero degli altri.
Follow the money se vuoi capire le cose come stanno
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Nobel per la pace a Francesca Albanese:
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=1242739060655307
Link per votare su Change. Org nel commento.
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QUI:
https://www.change.org/p/siamo-farfalle-we-are-butterflies-premio-nobel-per-la-pace-a-francesca-albanese
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già firmato👍
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Dopo il negazionismo sugli stupri di Hamas il 7 ottobre, questa Albanese è decisamente pronta per una rubrica sul Fatto Quotidiano, a supporto (o in sostituzione) dell’ormai imbolsito Orsini.
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Francesca Albanese non può confermare gli stupri di Hamas perché non esiste, fino ad oggi, una prova che li confermi. Da funzionaria dell’Onu, se accusasse Hamas di stupri non verificati tradirebbe il suo mandato.
Per quanto riguarda i suoi report, non sono mai stati confutati da alcuno. Si fanno gare a chi la insulta, la deride o la diffama con le contumelie e le bufale più creative, ma la confutazione dei suoi report ancora non si vede da nessuna parte.
Perciò, se vuoi che la tua critica sia credibile, prendi almeno l’ultimo report, studialo, analizzalo e quindi elabora e divulga una confutazione.
Altrimenti, i tuoi gusti personali non troveranno mai credito fra le persone dotate di senno e spirito critico e saranno giustamente considerate alla stregua dell’aria fritta.
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Le prove che non esistono:
https://thedinahproject.org/wp-content/uploads/2025/07/The-Dinah-Project-full-report-A4-pages_web-2.pdf
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Sapevo che avresti tirato fuori quel dossier. Quando si parla di accuse gravi come quelle di violenza sessuale in un contesto di guerra, è fondamentale che le indagini siano indipendenti, trasparenti e rispettino gli standard internazionali per la raccolta delle prove. Questo vale sempre, senza eccezioni, a prescindere da chi siano le vittime o gli accusati. Il problema è che queste accuse emergono in un contesto fortemente politicizzato: gruppi, governi e media da entrambe le parti hanno spesso usato o manipolato notizie di crimini a scopo propagandistico. Questo non significa che le accuse siano false, ma serve un controllo rigoroso e indipendente.
Il Dinah Project è troppo vicino a Israele — possiamo dire che ne rappresenta quasi una proiezione — e non dà accesso verificabile a fonti, metodi o risultati. Il loro rapporto non pubblica testimonianze integrali, neppure anonime o aggregate in modo approfondito. Dice solo che ci sono prove, senza mostrarle nel dettaglio. Non ci sono trascrizioni, file audio o video originali, nemmeno anonimizzati. Un’indagine affidabile deve poter essere esaminata da terzi indipendenti: senza questo, la credibilità resta dubbia. Perciò è giusto mettere in discussione il valore di quel rapporto finché non ci sarà una verifica esterna.
Finora, l’unica cosa certa è che il procuratore israeliano che ha seguito il caso ha detto di non aver trovato denunce formali né prove solide per procedere. Ha dichiarato che nessuna vittima ha presentato denuncia per stupro legata al 7 ottobre, e che l’indagine è stata chiusa per mancanza di prove concrete. E questo è un punto fondamentale: come mai il Dinah Project è venuto in possesso di così tante prove, mentre il procuratore israeliano è rimasto a mani vuote?
L’ONU, tramite Pramila Patten, rappresentante speciale per la violenza sessuale nei conflitti, ha chiesto ufficialmente a Israele di poter condurre indagini. Israele ha rifiutato, soprattutto perché la richiesta comprendeva anche la possibilità di verificare eventuali abusi nelle sue carceri sui detenuti palestinesi. Di fronte a questo rifiuto, l’indagine esterna è stata sospesa.
Un rapporto ONU di marzo 2024 parla di “ragionevoli elementi” per sospettare violenza sessuale durante l’attacco, ma segnala anche gravi lacune: corpi sepolti o bruciati senza esami, prove non raccolte, scene contaminate, indagini non coordinate. Un’inchiesta indipendente finora è stata impossibile, sia per mancanza di prove e testimonianze formali, sia per il rifiuto di cooperazione con organismi internazionali. Questo è grave, soprattutto perché le accuse restano pesanti, ma non sufficientemente documentate secondo gli standard legali internazionali.
Per questo la cautela è più che giustificata: senza un’inchiesta esterna e imparziale, non si può trarre alcuna conclusione definitiva né attribuire responsabilità con rigore.
Ecco perché Francesca non può e non deve condannare ufficialmente gli stupri attribuiti ad Hamas senza prove definitive. Il suo ruolo richiede imparzialità, rispetto del diritto e neutralità assoluta. Prendere posizione su accuse non ancora provate sarebbe un grave errore, anche etico e giuridico. La sua posizione richiede che ogni accusa venga affrontata con riserbo, rigore probatorio e neutralità assoluta.
Chi pretende che lei prenda posizione senza prove, in realtà vuole solo una dichiarazione utile a scopi politici, non la verità.
Francesca è rigorosa e onesta nel suo lavoro e perciò i suoi report non vengono mai confutati. Viene diffamata in ogni modo, affastellando bufale su bufale, ma i suoi report restano inconfutati.
Eccoti un altro esempio della sua limpida onestà. Si parla molto della direttiva Hannibal estesa ai civili, secondo cui Israele avrebbe ucciso civili israeliani durante gli scontri del 7 ottobre. Se Francesca fosse disonesta – come sostengono i suoi disonesti detrattori – avrebbe potuto accusare Israele anche di questo crimine. Eppure non l’ha mai fatto. Perché? Perché non esistono prove certe. Io posso dire che secondo me è andata così, ma lei – in quanto funzionaria dell’Onu – non può dirlo finché non avrà prove incontrovertibili.
Francesca è umana e può commettere qualche errore. Ma sicuramente non è disonesta. E finora, in ogni caso, di errori non se ne sono riscontrati.
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Quindi adesso le prove esistono, ma non sono abbastanza provate: bene, facciamo progressi.
Qualcosa mi dice che, anche se lo fossero, non andrebbero bene ugualmente, ma riconosco di essere un po’ malfidato.
Ammettiamo pure che tali prove non siano definitive: ebbene, nel momento stesso in cui Albanese afferma, senza mezzi termini, che tali accuse siano “bugie”, sta venendo meno al suo ruolo, che come giustamente hai ricordato richiederebbe imparzialità, rispetto del diritto e neutralità assoluta.
Affermare che gli stupri siano falsi è esattamente questo: una presa di posizione; lo è perché non espone un dubbio con la cautela che richiederebbe (anche per rispetto delle vittime), ma sposa in toto la versione di una delle parti in causa, segnatamente Hamas (tanto per cambiare).
Ora un errore l’abbiamo riscontrato: che si fa?
Continuiamo ad ascoltare chi canta sempre quella canzone che ci piace tanto, quella che fa “com’è cattivo l’Occidente (nel quale sto tanto bene)”?
Altrimenti qua abbiamo finito.
In ogni caso, desidero ringraziarti per lo scambio civile di idee: ultimamente è cosa sempre più rara, da queste parti.
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Ma infatti tu non meriti alcun credito di buona fede ed educazione.
”’Ha dichiarato che nessuna vittima ha presentato denuncia per stupro legata al 7 ottobre, e che l’indagine è stata chiusa per mancanza di prove concrete. E questo è un punto fondamentale: come mai il Dinah Project è venuto in possesso di così tante prove, mentre il procuratore israeliano è rimasto a mani vuote?”’
Prova a rispondere a queste domande se ci riesci.
A proposito, come era la barzelletta dei 40 bambini decapitati?
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No, attenzione: non ho mai detto (e neppure Francesca) che le prove raccolte dal Dinah Project non esistano o che non siano definitive, ma che non possiamo avere la certezza che esistano o siano definitive. Come ho scritto nel precedente commento: “Questo non significa che le accuse siano false, ma serve un controllo rigoroso e indipendente”. Quando un dossier afferma fatti gravissimi come stupri di guerra ma non rende accessibili né verificabili le prove a supporto, è legittimo e doveroso sollevare dubbi, chiedere chiarimenti e pretendere verifiche indipendenti.
Noi possiamo discutere liberamente, ma Francesca Albanese è una giurista e una funzionaria dell’ONU: il suo margine di azione non è soggettivo. Deve attenersi con estrema precisione al diritto internazionale, ai suoi standard e ai suoi vincoli probatori.
Albanese non ha mai negato che si siano verificati stupri il 7 ottobre 2023. Ha semmai negato – e a ragione – che esistano prove certe e pubblicamente verificabili. Questo lo ha affermato con chiarezza anche nella famosa intervista a Piers Morgan (rilanciata strumentalmente da UN Watch, che non se ne lascia scappare una pur di diffamare Francesca), dove ha detto testualmente: “The Commission of Inquiry concluded in June that there was NO EVIDENCE to support the claims of gang rape”. Questa è una dichiarazione di rigore, non di negazione.
Il Dinah Project è stato pubblicato successivamente, d’accordo, ma resta il fatto che questo dossier non soddisfa gli standard minimi di trasparenza e rigoreprobatorio richiesti in ambito giudiziario internazionale:
In queste condizioni Francesca, nel rispetto del suo mandato e dell’integrità del diritto internazionale, non può basare una condanna formale su un materiale così carente.
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“Albanese non ha mai negato che si siano verificati stupri il 7 ottobre 2023.”
In tutta onestà, a me sembra che parlare di “bugie” e di “invenzioni”, in relazione agli stupri, significhi esattamente questo: negarli.
Di sicuro è questo il messaggio che è passato, e proprio per questo motivo sono stati in molti a chiedergliene conto.
Ma facciamo finta per un attimo che non l’abbia fatto, e che abbia solo puntualizzato che non si possa parlare di stupri perché le prove (peraltro ritenute attendibili dalla stessa ONU per cui lavora) non sono abbastanza attendibili e/o verificabili: stiamo parlando della stessa Albanese che parla disinvoltamente e ripetutamente di genocidio, nonostante nemmeno quell’accusa sia mai stata provata col medesimo rigore che invece oggi si pretende da quella di stupro (Netanyahu è stato condannato dalla CPI per molte cose, tutte esecrabili, ma NON per genocidio).
Quindi Francesca, mancando del rispetto del suo mandato e dell’integrità del diritto internazionale, almeno in quel caso HA basato la sua personale condanna su del materiale carente.
Questo evidenzia una doppia morale: nel caso degli stupri, si va in punta di diritto e si analizzano le prove come se si trattasse di una perizia forense; nel caso del genocidio, basta la parola.
Non a caso, sono state proprio queste sue dichiarazioni a renderla in poco tempo così popolare presso una categoria che fino a poco fa ne ignorava l’esistenza, ovvero la categoria di chi non riesce ad accettare che non esista un conflitto (per non dire un problema dell’umanità) che non sia colpa dell’Occidente, che tra i commentatori di questo sito è così ben rappresentata.
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La risposta è per Jonny Dio, ovviamente, ma non trovo il pulsante Rispondi sotto il suo commento.
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X Marco:
ma perdi anche tempo a ragionare con il peggior manipolatore, ipocrita e fazioso di Infosannio?
Quello che hai scritto:
Sarebbe più che sufficiente per parlare di COMPLOTTISMO contro l’ipotesi di ‘stupri di massa’ da parte di Hamas.
Strano, se lo dicono i zionisti deve essere senz’altro vero!
Invece se qualcuno si chiede come ca22o sia stato possibile che Hamas sia andata lì e abbia passato i recinti senza che NESSUNO cercasse di fermarli e abbia sorpreso non solo i ragazzotti del festival (spostato lì pochi giorni prima) ma persino i soldati dell’IDF che dormivano nelle loro brande (!!!), quello è complottismo becero e magari filoputiniano.
Invece le persone ammazzate mentre erano OSTAGGIO di Hamas non le contano!
Un ufficiale dell’IDF in quei giorni ammise che solo in una casa erano stati uccisi 15 civili di cui 8 bambini. Dalle cannonate israeliane, intendo.
Ma a JD interessa solo il lato sessuale, ovviamente.
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x smsparviero
Dal momento che questi commenti sono pubblici, ne approfitto per far circolare anche ad altri le poche informazioni in mio possesso e che, per quel che vale, ritengo attendibili.
Rimango perplesso, tuttavia, dinanzi al curioso esito della formattazione nel mio precedente commento: laddove avevo, con mano ordinatrice e spirito geometrico, disposto un nitido elenco puntato, per far meglio risaltare i difetti del contestato dossier, è comparso un blocco continuo con un carattere diverso dal resto.
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x Jonny Dio
I “molti” che gliene chiedono conto sono propagandisti (capitanati da UN Watch) la cui esistenza è ormai ridotta a due impegni: a) giustificare genocidio, pulizia etnica e apartheid di Israele; b) diffamare Francesca Albanese.
Quando Francesca parla di “bugie”, si riferisce alle accuse e alle prove che dovrebbero confermarle, non all’IPOTESI che vi siano state violenze sessuali. Non mi pare che si sia ancora pronunciata in merito al dossier del Dinah Project, ma fino a quel momento esistevano solo accuse che avevano la consistenza del gossip.
Il lavoro del Dinah Project potrà soddisfare forse i sionisti, che quando c’è da difendere Israele si dimostrano di bocca buona, ma non è credibile per nessun altro finché non sarà scrupolosamente vagliato e analizzato da un’entità terza, indipendente e riconosciuta. Dopo il disgustoso caso ZAKA – organizzazione che ha ignobilmente lucrato sulla sofferenza e la morte degli israeliani e ha speso le migliori energie per elaborare fantasiose fanfaluche a fini di propaganda – un atteggiamento sospettoso e diffidente è quanto meno opportuno anche per noialtri.
Ora però devo dilungarmi un po’, perché questi temi, di natura tecnica e spesso poco noti a tanti, sono terreno fertile per equivoci che vanno chiariti con precisione.
Anzitutto, non mi risulta che l’ONU abbia ritenuto attendibili le prove sugli stupri raccolte dal Dinah Project o da chiunque altro. Come ho scritto in un precedente commento, Pramila Patten, la Relatrice Speciale per la violenza sessuale nei conflitti, ha riconosciuto l’esistenza di ragionevoli elementi, ma non ha potuto giungere a una conclusione certa su prove fondate, anche per la riluttanza di Israele a collaborare (il che, insieme al curioso giro a vuoto del procuratore, dovrebbe far riflettere). Si tratta dunque di ipotesi, non di certezze. Quel report del marzo 2024 era una fact-finding mission con limiti operativi e senza accesso diretto alle vittime sopravvissute.
Se Francesca dicesse che gli stupri ci sono stati, mentirebbe e tradirebbe il suo mandato, perché lei, non avendo le prove, non può saperlo.
Francesca non parla “disinvoltamente” di genocidio, ma in modo informato, circostanziato e approfondito. Ha pubblicato due report a distanza di otto mesi e le prove, in questo caso, sono accessibili a chiunque. A differenze delle prove del Dinah Project, le prove del genocidio non sono secretate, sono pubbliche e le puoi vagliare anche tu. Naturalmente i report di Francesca contengono tutte le fonti a cui fare riferimento (se aggiungiamo l’ultimo report, parliamo di circa 450 fonti). La sentenza poi spetta alla CPI, ma Francesca può parlare di genocidio e scrivere rapporti su questo tema anche in assenza di una condanna giurisdizionale definitiva, perché il suo ruolo e il suo mandato glielo consentono, e in certi casi glielo impongono.
Nel diritto internazionale, la parola “genocidio” ha due livelli d’uso. Uno è giuridico (penale): richiede una sentenza della CPI o della CIG, con prove oltre ogni ragionevole dubbio, e l’accertamento dell’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo etnico, nazionale, razziale o religioso (la CPI ha concesso a maggio una proroga di sei mesi a Israele per presentare la sua difesa). L’altro è analitico, documentario, preventivo: organi indipendenti dell’ONU, commissioni d’inchiesta e relatori speciali possono analizzare comportamenti e politiche alla luce della Convenzione sul Genocidio, anche per segnalare il rischio di genocidio o indicare elementi compatibili con la sua configurazione, affinché la comunità internazionale agisca prima che un genocidio venga pienamente perpetrato. E’ nell’ambito di questo secondo livello che si può muovere Francesca in virtù del suo mandato. I suoi report non sono quindi sentenze, sono strumenti di allerta: non emette un giudizio legale vincolante come farebbe una corte, ma usa parametri riconosciuti del diritto internazionale per valutare se vi siano indizi credibili di genocidio in atto e quindi formula raccomandazioni sulla base del diritto internazionale e dei diritti umani, che rientrano nelle sue funzioni ufficiali.
Allora perché non si occupa col medesimo impegno dei presunti stupri di Hamas? Francesca è Relatrice Speciale PER I TERRITORI PALESTINESI OCCUPATI – ossia Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est – non per Israele.
Questo significa che ha pieno mandato per indagare e denunciare i crimini commessi da Israele nei Territori occupati, ma non ha mandato per indagare su ciò che accade in Israele, compreso ciò che ha fatto Hamas il 7 ottobre. In termini non tecnici, potremmo dire che Israele non rientra nella sua giurisdizione. Perciò, su questi crimini (stupri, torture, uccisioni), può esprimersi solo in termini cauti, affidandosi a ciò che dicono altri organi dell’ONU, come ad esempio la missione di Pramila Patten.
In sintesi, nel caso di Gaza, Francesca può parlare con maggiore libertà e autorità e i suoi report hanno lo scopo di allertare la comunità internazionale su una possibile situazione genocidaria e promuovere prevenzione e protezione, in linea con il principio di “responsibility to protect”. Nel caso dei presunti stupri del 7 ottobre, invece, non può pronunciarsi pienamente perché il suo mandato non lo consente e perché le prove non sono state pubblicamente verificate con standard forensi internazionali.
Infine, io i report sul genocidio li ho studiati attentamente e non mi pare che siano carenti di alcunché. Molto più importante e credibile del mio umile parere, la comunità accademica, giuridica e diplomatica che si occupa di diritti umani e diritto internazionale li considera approfonditi, ben documentati e giuridicamente solidi. Francesca fa uno smodato uso di fonti, citandone centinaia, e riferendosi a dati raccolti da agenzie ONU (OCHA, OHCHR, UNRWA), rapporti di organizzazioni umanitarie (HRW, Amnesty, B’Tselem, ecc), comunicati ufficiali, dichiarazioni pubbliche, fonti istituzionali; non si limita a descrivere eventi isolati, ma li inserisce in un’analisi strutturale e storica dell’occupazione, dell’assedio di Gaza e delle violazioni persistenti; analizza il contesto, la condotta militare, le dichiarazioni dei leader israeliani, gli effetti sulla popolazione civile; sottopone tutti questi elementi al test giuridico della Convenzione per la prevenzione del genocidio; ed è sempre precisa sul piano linguistico, usando termini giuridici come “plausible evidence”, “grave breaches”, “disproportionate use of force”, evitando affermazioni sensazionalistiche o accuse infondante.
Insomma, c’è poco da girarci intorno: i report di Francesca Albanese non sono sciatti né carenti di prove. Sono seri, articolati e costruiti con metodo giuridico e rispettano pienamente gli standard dei rapporti tematici dell’ONU.
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“Non mi risulta che l’ONU abbia ritenuto attendibili le prove sugli stupri raccolte dal Dinah Project o da chiunque altro”.
A me invece risulta che il Procuratore della Corte Penale Internazionale, nella sua ben nota richiesta di arresto, rivolta tanto a Netanyahu (per crimini di guerra e crimini contro l’umanità) quanto ai capi di Hamas, nei confronti di questi ultimi si sia (tra le altre cose) espresso in questi termini: «vi sono ragionevoli motivi per ritenere che gli ostaggi siano stati tenuti in condizioni disumane e che alcuni siano stati oggetto di violenze sessuali, compreso lo stupro (…). Siamo giunti a questa conclusione sulla base di cartelle cliniche, prove video e documentali, e colloqui con vittime e sopravvissuti».
Dato che la CPI è riconosciuta dall’ONU, si può affermare che l’ONU le ritenga sufficientemente attendibili da giustificare un mandato d’arresto internazionale.
Personalmente, tutto questo mi sembra un po’ il classico atteggiamento da paraculo, da parte di Albanese, specialmente per quanto riguarda l’utilizzo del termine “genocidio”, che proprio in virtù di quanto dici ad oggi è solamente presunto, ma di questa presunzione non c’è traccia, nei discorsi di Albanese (almeno in quelli che ho sentito io).
Ad ogni modo, ti concedo il beneficio del dubbio e sospendo il giudizio, in attesa di conoscere e valutare le sue prossime mosse, che di sicuro non mancheranno.
Se mi sbaglio su di lei, sarò lieto di ammetterlo.
Se invece finirà davvero a scrivere sul FQ…
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E poi ti indispettisci quando qualcuno nota che taci su Israele.
Adesso invece parli.
Per attaccare e insultare chi ha osato criticarlo.
Sei al di sotto di qualsiasi insulto.
Ma non di una birra.
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