Lo scrittore e le lacrime per la condanna del boss: “Io attaccato dalla peggiore politica per un po’ di consenso”

Bidognetti condannato, Saviano: “In quel pianto sono tornato umano. Adesso basta con il fango”

(di Conchita Sannino – repubblica.it) – Ho voglia di fare altro, anche cazzate. Di dormire, o di saltare su una moto. Ma sa una cosa divertente? Mi sono arrivati tanti biscotti in queste ore. Biscotti, come a un bambino».

Se ieri piangeva, oggi sembra libero e svuotato Roberto Saviano. Può una sentenza essere il giro di boa nella vita di un autore? Fino a che punto, per lo scrittore di Gomorra, le storie che ha rivendicato, oltre che raccontato, sono state sedimento e ossessione della sua vita (ir)reale? Il giorno dopo la condanna di secondo grado per il boss Francesco Bidognetti e per il suo legale Michele Santonastaso, accusati di aver lanciato minacce mafiose — diciassette anni fa, dal maxiprocesso Spartacus — contro di lui e la giornalista Rosaria Capacchione, Saviano non teme di ripartire dall’immagine di un adulto che, in aula, vince e singhiozza.

Saviano, cancellerebbe quelle lacrime pubbliche, o si è preso la libertà di essere Roberto?

«In quel pianto ero me stesso, profondamente. Mi riconosco in quelle lacrime. Forse cancellerei tutto quello che c’è stato prima, tutta la forza mostrata e lascerei di me solo quel momento di debolezza in cui mi è sembrato di essere tornato umano».

Riuscirà a sentirsi non più braccato, non più vittima?

«Strano. Ora che due sentenze di primo e secondo grado stabiliscono che io e Rosaria Capacchione siamo stati vittime di minacce mafiose, quindi braccati, forse mi sento vittima doppiamente: delle minacce dei casalesi, da un lato; del fango ricevuto da quasi tutto l’arco parlamentare, dall’altro. Sta a me trarre, da tutto questo, forza e carburante per voltare pagina».

Come guarda ora allo sprezzo con cui tanti a destra, Salvini compreso, puntavano a levarle la scorta? O agli attacchi di Meloni?

«Con pena infinita. Tutto per propaganda politica, per compattare un po’ di consenso intorno a loro usandomi come obiettivo. È la politica peggiore».

Tra poco saranno 20 anni di Gomorra, il romanzo che ha inciso a livello globale nel racconto antimafia. Gli effetti che restano?

«Le organizzazioni criminali sono diventate riconoscibili, il racconto delle loro dinamiche è uscito dai tribunali e dalle cronache per diventare qualcosa da cui sempre più persone si sono sentite interpellate. I magistrati Cantone e Cafiero de Raho hanno affermato, nel corso dello stesso processo che ha portato alle condanne per Bidognetti e Santonastaso, che grazie a Gomorra, la Distrettuale antimafia di Napoli ebbe maggiori fondi per le indagini. L’effetto di un libro è stato aver dato più risorse e più risalto a quegli inquirenti».

Ma i nemici più insidiosi chi sono, oggi: i padrini come Bidognetti, i professionisti come Santonastaso, o chi pensa che i mafiosi e i corrotti siano scomparsi?

«I nostri nemici più insidiosi, non i miei, ma di tutti noi, non sono solo le cosche. Ma anche quelli che, con politiche del tutto sbagliate, consapevolmente o inconsapevolmente, favoriscono i cartelli: perché faremmo meglio a ricordare che lì c’è l’economia criminale di cui l’Italia e non solo, non riesce a fare a meno».

Eppure si ha il sospetto che lo scrittore voglia lasciare il crimine.

«Credo sia giunto il momento per sondare altri racconti…».

Con “L’amore mio non muore” ha un po’ superato il guado. Strade nuove, senza paura di sbagliare?

«Esatto. Vorrei tentare strade nuove, possibilmente senza sbagliare. Infatti L’amore mio non muore, benché racconti la storia di una ragazza uccisa dalle ‘ndrine, è un romanzo con protagonista l’amore».

Ognuno ha il suo. Lei per quale amore è stato in piedi in anni di diffidenze e disequilibrio?

«Bella domanda. Forse proprio la speranza che alla fine di questa mia lunga battaglia, potesse esserci la libertà. Libertà anche e soprattutto di sbagliare, fare cazzate. Perché il peso più grande che sento è quello di venire ascritto alla schiera dei martiri non morti, degli eroi che non possono sbagliare, sennò che eroi sono? Mi ha ucciso questo forse ancor più della mia vita blindata».

È anche un suo assillo.

«Di più, devo essere onesto: la prima battaglia è sempre stata contro di me, la mia ambizione. Quando scrissi Gomorra ripetevo che sarei stato disposto anche a bussare a ogni porta, come un ambulante, pur di condividere le mie storie. Volevo cambiare non dico il mondo, ma qualcosa, con le parole. Ed è un’ambizione che conservo, la scrittura per me nasce sempre dalla necessità di far arrivare una storia a quante più persone possibile».

Chi le è mancato, in quell’aula?

«Michela (Murgia, ndr), perché c’è sempre stata nelle udienze. Le idee, le dichiarazioni, i post… tutto importante, ma necessario è esserci. Fisico a presidiare, sguardo a osservare, esperienza pronta a capire. E Michy avrebbe riso molto del mio abbraccio con Antonio, l’amico avvocato…»

Cosa le avrebbe detto?

«Avrebbe agito, mi avrebbe stretto e dopo un po’: ora basta piangere. Andiamo al Cambio ché sei magro e devi mangiare… A proposito, quanti biscotti ho ricevuto».

Sorpreso?

«Bellissimo, essere circondato da affetto vero».

Questa estate che non è come le altre, che avventura le riserva?

«Sonno. Ho pretese più basse. Intanto vorrei dormire. Ma un sonno dimentico di tutto, profondo, come quando da bambino tua mamma ti costringeva a chiudere gli occhi nella controra. Prima non vuoi, poi crolli. Mi piacerebbe rinascere dopo un lungo sonno. E vorrei una moto. Essere autorizzato a inforcare una moto. Sì, girare, senza vincoli, senza sguardi».