La paura di una nuova legge elettorale con le preferenze e senza i collegi

(di Luca De Carolis – ilfattoquotidiano.it) – Ave Giorgia, morituri te salutant. Nella Montecitorio dove ministri molto sorridenti si palesano per il question time, diversi parlamentari pensano già al futuro guardandosi le spalle: cioè parlano di nuova legge elettorale. Perché mancheranno anche due anni alle Politiche, ma il timore di nuove regole è scritto negli occhi di molti deputati. “Chi è stato eletto con determinate norme non vorrebbe mai che cambiassero” ricorda con sorriso carnivoro un veterano di centrodestra.

Da qui le voci, i sospetti e certo, i colpi bassi. Per esempio certi 5Stelle di peso la buttano lì: “Elly Schlein sta già cascando nella trappola di Giorgia Meloni, non deve fidarsi”. E certi leghisti già borbottano contro il capo, Matteo Salvini: “Si sta già consegnando alla premier, alla legge della più forte”. Narrazione diffusa, a sentire un dem: “Vero, dicono che Matteo sia possibilista”. Aperto, al progetto di Meloni di pensionare l’attuale legge, il Rosatellum, che assegna il 61% dei seggi in modo proporzionale ai partiti e alle loro liste bloccate, cioè decise dalle segreterie, e il restante 37 con collegi uninominali (ergo, il più votato vince). Al suo posto la leader di Fratelli d’Italia vorrebbe una legge con le preferenze, con il dichiarato obiettivo di “far decidere la gente”, dove sia previsto un premio di maggioranza per la coalizione vincente che superi almeno il 40%. Soprattutto, senza quei collegi uninominali che le potrebbero togliere la maggioranza, almeno in Senato, eletto su base regionale. Spiegato meglio: se nel 2022 il centrosinistra invece di spappolarsi si fosse raggrumato, da Roma in giù avrebbe preso più o tutti gli uninominali, azzoppando le destre. E con i sondaggi attuali se si votasse oggi l’esito sarebbe lo stesso. Così, morte agli uninominali. E questa sarebbe la prima botola: per i progressisti, per Schlein ma pure per Matteo Salvini, che anche grazie a quei collegi tre anni fa elesse quasi cento parlamentari con il 9%. La seconda trappola è l’indicazione della candidata premier sulla scheda. Altro potenziale dito negli occhi del centrosinistra, che già litiga su chi e come dovrebbe correre per Palazzo Chigi. Anche se un big di FdI fa la faccia scandalizzata: “Ma le pare che Meloni con tutto ciò che ha da fare ora pensi alla legge elettorale?”. Ambienti di governo ringhiano: “Giorgia non ne ha mai discusso con nessuno”. Lei pochi giorni fa ha sminuito: “Tema di competenza parlamentare”. Ma i suoi ne parlano anche pubblicamente, al tavolo del centrodestra. E le chiacchierate per preparare il terreno sono partite. Esistono simulazioni. Anche se dal Pd giurano: “Non ci siamo seduti ad alcun tavolo”. Però segnali arrivano, dai dem. Come quello dell’eurodeputato e riferimento della minoranza Stefano Bonaccini, che giorni fa è tornato a invocare le preferenze. E uno schleiniano come Sandro Ruotolo ha subito risposto che se ne può parlare. Ufficialmente neanche i 5Stelle potranno rifiutarle. Le invocano dalla nascita, come antidoto ai nominati. Ma di fatto ne hanno il terrore. “Tra di noi quanti hanno voti sui territori? Pochi” ammettono. Il tema spacca Forza Italia, perché quelli con le preferenze vivono tutti sotto Roma. Così ecco un azzurro del Sud: “Tajani le preferenze le vorrebbe, ma giorni fa due parlamentari del Nord gliel’hanno dato a muso duro: non sia mai”.

Voci trasversali dai partiti assicurano: “Le preferenze? Le bocceremo con un voto segreto”. Ovvio, perché sono (anche) una livella. Per questo piacciono anche a Schlein, che le ha spesso invocate. E l’indicazione del candidato premier? “Lei è sicuro che Elly sarebbe contraria? Magari le faciliterebbe le cose” ragiona una deputata Pd. Per inverso, a Giuseppe Conte l’idea non piace neanche un po’. Mentre si parla e riparla di un proporzionale con capilista bloccati e gli altri scelti con le preferenze (“Ma così 5Stelle e leghisti rischierebbero di eleggere solo i capilista” fanno notare). Il Domani ha scritto dell’ipotesi Tatarellum, sulla falsariga della legge che elegge i presidenti di regione. Opzioni. Ami. “Ma una legge che oggi favorisce alcuni domani potrebbe far vincere altri” ammicca uno sherpa. Il gioco del cerino: anzi, della trappola.