
(di Ugo Milano – open.online) – Lingotti d’oro per un valore complessivo di 245 miliardi di dollari potrebbero presto essere trasferiti da New York a Berlino e Roma. Secondo il Financial Times, Germania e Italia starebbero valutando di prelevare il loro oro, conservato dalla Federal Reserve americana, per riportarlo sotto il loro diretto controllo.
Il timore sempre più diffuso, infatti, è che le scintille causate dallo scontro periodico tra il presidente americano Donald Trump e la banca centrale statunitense possano causare un incendio. E che, con un colpo di mano, il tycoon possa guadagnare una sempre maggiore influenza sulle politiche della Fed. Andando a limitare la capacità di accedere ai lingotti in caso di crisi.
Stati Uniti, Germania e Italia: i tre fulcri del triangolo dorato, essendo i Paesi che hanno a loro disposizione la maggiore riserva aurea al mondo. Secondo i dati del World Gold Council, Berlino segue a distanza Washington con 3.352 tonnellate mentre Roma occupa l’ultimo gradino del podio con 2.452 tonnellate. Le due capitali europee, però, hanno affidato una buona fetta delle loro riserve proprio a New York. Rispettivamente il 37% dell’oro tedesco e il 43% di quello italiano, per un valore complessivo di 245 miliardi.
Una ricchezza che non è mai stata in discussione, perché sotto il diretto controllo della banca più potente e influente al mondo, ma che adesso rischia di traballare. Soprattutto di fronte alle minacce di Trump nei confronti della decisione della Fed di non abbassare i tassi: «Forzerò qualcosa». […]
Si tratta di una semplice eredità storica, in particolare di quegli accordi di Bretton Woods che nel 1944 avevano inchiodato i cambi delle valute di tutto il mondo al valore del dollaro, a sua volta fissato al valore dell’oro. In quegli anni, insomma, avere i lingotti negli Stati Uniti era una sicurezza.
E il collasso degli accordi nel 1971, con l’uscita degli Usa ordinata dall’allora presidente Richard Nixon, non ha intaccato la decisione di Germania e Italia. Parigi, al contrario, aveva anticipato la decisione di Washington ritirando tutti i suoi lingotti per paura dell’implosione del sistema monetario internazionale.
Nel 2013, in realtà, la Bundesbank tedesca aveva deciso di depositare metà delle sue riserve a Berlino, trasferendo 674 tonnellate di lingotti da Parigi e New York a Francoforte. Una mossa per salvaguardare una parte delle proprie riserve, […]
Il rischio, si mormora nel Bundestag, è che «Trump possa manomettere l’indipendenza della Fed, limitando il controllo dell’oro da parte delle banche centrali europee».
Anche perché, in caso di crisi, «quello che conta davvero è il controllo fisico delle riserve».
È lo stesso Financial Times a ricordare come uno dei cavalli di battaglia della premier Giorgia Meloni, prima della vittoria elettorale, fosse proprio il rimpatrio della riserva. Ora, invece, dal suo partito filtra una linea opposta: «La posizione geografica dell’oro ha solo un’importanza relativa», ha detto Fabio Rampelli di FdI. «È in custodia di uno storico amico e alleato».
Caro Signor Rampelli…..succedesse un “qualcosa” sarete Voi di tasca Vostra, esimio Vice-Presidente, a “pagare” gli Italiani….??? cosi’ mi chiede un rompiballe di amico…..!!!
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«È in custodia di uno storico amico e alleato».
😳🙄😵
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Ottimo articolo, spiega bene le cose.
L’unica nota stonata e’ che non precisa che di quelle 2453 tonnellate (metriche), negli USA sono custoditi 1061 tonnellate ( il 43%) .
Di fronte ad un Trump che ha deciso di aumentare i dazi, di fronte ad una EU che aveva risposto injzialmente che avrebbe reagito duramente ( si vede che per duramente in EU si intende tirarsi giu’ le braghe) spero che il ritorno in patria dell’oro avenga concretamente, a prescindere dalle pieghe che prenderanno i rapporti fra Trump e la FED.
Lasciamo perdere Meloni; quello che dice e che fa non vale una minkia.
La Banca d’Italia pur essendo un istituto di diritto pubblico e’ e rimane autonoma, fortunatamente.
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