I B-2 che partono dal Missouri per puntare verso il teatro di guerra mediorientale, gli attacchi israeliani a un sito nucleare a Isfahan, le dichiarazioni di Macron sull’urgenza di una accelerazione diplomatica: il weekend comincia all’insegna delle tensioni

(Francesca De Benedetti – editorialedomani.it) – Si sono fatti notare dai tracciati e quindi da tutto il mondo, a cominciare dall’Iran, più eloquenti di una qualsiasi dichiarazione strillata in maiuscolo da Donald Trump su Truth: i bombardieri statunitensi B-2 – che in questi giorni sono diventati il simbolo di un potenziale intervento militare Usa in Iran data la loro capacità di scalfire bersagli difficili come il sito iraniano di Fordow – hanno preso il decollo dal Missouri verso Guam.

Non si tratta del primo spostamento di asset militari – già si era visto il ruolo della base sull’isola britannica Diego Garcia – ma è proprio la combinazione di mosse a fare da pressione sull’Iran: come nota l’analista Brett McGurk «era da tredici anni, in altri tempi di stallo nelle trattative, che non si vedeva una forza così massiccia. A breve gli Usa avranno tre gruppi di battaglia orientati sul teatro mediorientale». Si spostano i bombardieri, si muovono i tracciati di intelligence, si agita l’elettrocardiogramma mediorientale: «Accelereremo i negoziati avviati dalla Francia e dai suoi partner europei con l’Iran», ha dichiarato questo sabato Emmanuel Macron, attestando la fibrillazione in corso. «Mi ha chiamato il presidente iraniano».

Soltanto poche ore prima, il presidente Usa – che sui social sta scrivendo compulsivamente di essere «un peacemaker che non vincerà mai il Nobel per la pace» – aveva sbeffeggiato pubblicamente gli europei e i loro sforzi (coordinati con lui) per l’ennesima volta. E nelle stesse ore in cui l’Eliseo spingeva disperatamente sulla via negoziale, lo scontro militare avviato da Israele venerdì 13 giugno si accaniva, compresi i colpi riusciti contro due siti di produzione di centrifughe nucleari a Isfahan. E giù di reazioni su scala globale, dalla furia del presidente turco agli europei che spostavano diplomatici e assetti.

Già almeno una volta, le «accelerazioni» di Macron non hanno portato fortuna: lo ricordiamo mentre telefonava al Cremlino poche ore prima che Vladimir Putin avviasse l’invasione dell’Ucraina; anche la sua baldanza alla Casa Bianca, circa le «garanzie di sicurezza» che Trump avrebbe promesso sull’Ucraina, è stata rapidamente smentita. Di certo la Casa Bianca sta mettendo pressione su Teheran, e la (stretta) via diplomatica fatta abbozzare dagli europei all’Iran somiglia più a una richiesta di resa: davvero Trump ha dato alla pace una chance, oppure ha cercato un alibi da dare in pasto alla sua stessa base elettorale Maga delusa?

In queste ore il suo profilo social, usato abitualmente per minacce, attacchi o propaganda, sembra un corso di autostima offerto a sé e ai propri supporter, tra video rilanciati – «Dobbiamo credere al nostro comandante in capo, l’unico che può evitarci di restare invischiati nella guerra» – e versioni di dati favorevoli («Il 54 per cento di americani apprezza la performance del presidente»). Pare di riconoscere «l’istinto» al quale la portavoce trumpiana attribuisce le scelte finali del presidente: somiglia molto a una strategia per il consenso.

Bollettino di tensioni

La giornata di sabato è cominciata con racconti dal bunker iraniano ed è proseguita con incontri ristretti allo studio ovale, dove l’agenda di Trump lo riporta – questo sabato, alla nostra mezzanotte – per una riunione ristretta di sicurezza nazionale.

Il New York Times – come «segno della precarietà che il regime iraniano sta attraversando» – ha riportato che la guida suprema iraniana, Ali Khamenei, dal bunker nel quale si trova, avrebbe predisposto la catena di comando «in caso i suoi uomini più validi siano uccisi. E ha pure nominato tre candidati alla successione qualora venga eliminato lui stesso». Versione smentita dall’entourage dell’ayatollah.

Nel frattempo il portale Axios ha offerto un retroscena secondo il quale il presidente turco – effettivamente in agitazione per le mosse di Israele in Medio Oriente, tanto che in queste ore ha accusato pubblicamente Netanyahu di aver sabotato con il suo attacco il processo negoziale – avrebbe parlato con Trump lunedì, mentre era al G7, proponendo colloqui a Istanbul con l’Iran, che non si sarebbero poi realizzati perché Khamenei era irrintracciabile, secondo questa ricostruzione. Ricostruzione incompatibile con quanto Trump propina ai suoi supporter, quando racconta che «gli iraniani vogliono parlare con noi» e che «gli europei quindi non hanno aiutato» (in realtà la mossa ginevrina di Francia, Germania e Gran Bretagna era stata strettamente coordinata con Washington).

Questo sabato l’esercito israeliano ha rivendicato di aver colpito «dozzine di obiettivi militari nell’Iran sud occidentale, compreso un deposito di lanciatori per missili e altra infrastruttura militare del regime iraniano». Ha inoltre colpito il sito nucleare di Isfahan; secondo l’Agenzia internazionale per l’energia atomica i colpi sferrati da Israele sulle infrastrutture nucleari iraniane hanno fino a quel momento «causato delle fuoriuscite di radiazioni, per ora non c’è pericolo pubblico ma c’è il rischio che ciò possa verificarsi».

Dopo l’incontro avuto con la squadra europea a Ginevra, il ministro degli Esteri iraniano ha detto all’NBC di non essere sicuro di potersi ancora fidare degli Stati Uniti; l’ipotesi è che ci fosse già un piano condiviso per attaccare l’Iran e che al tandem Trump-Netanyahu «i negoziati servissero per mascherarlo». L’iniziativa militare israeliana della scorsa settimana ha effettivamente spezzato le interlocuzioni svolte nelle settimane precedenti, pure a Roma; il governo israeliano parla di «guerra prolungata» e per questo sabato notte Netanyahu – che continua a portare avanti il massacro a Gaza, con oltre duecento morti in 48 ore – ha previsto un incontro con ministri e responsabili della sicurezza proprio per raccordarsi sulla guerra contro l’Iran.

A Istanbul, la diplomazia iraniana ha cercato supporto tra i partner regionali, già indeboliti dai prolungati e svariati affondi di Netanyahu. Gli Houthi hanno minacciato di colpire le navi statunitensi nel Mar Rosso se Washington fosse intervenuta nel conflitto contro l’Iran. «Il presidente iraniano mi ha chiamato e ho espresso la mia profonda inquietudine per il programma nucleare iraniano, sul quale sono esigente», ha detto sabato Macron: «L’Iran non deve avere l’arma nucleare e deve dare totale garanzia che le sue intenzioni siano pacifiche». Il presidente francese ha concluso dicendosi «convinto che esista una via di uscita dalla guerra e da più gravi pericoli». Perciò «accelereremo i negoziati». Anche le tensioni militari accelerano, e paiono andare più veloci.