Le vedove di guerra sono finalmente sollevate. Dopo lo spauracchio di tavoli di tregua o addirittura di pace, l’attacco di Israele riaccende lo spirto guerrier che rugge dentro le migliori redazioni.

Il Giornale esulta fin dalla prima pagina: “Guerra al male” a lettere cubitali, dove ovviamente il bene è saldamente rappresentato da Israele. Per Alessandro Sallusti il bombardamento è “un avvertimento ai regimi in nome della democrazia”. Libero invece si meraviglia che il coro a favore di Netanyahu non sia unanime: “Anche se l’attacco è chirurgico per qualcuno Israele è sempre colpevole”. Prenda appunti chi ha dato del macellaio o dell’assassino a Netanyahu: è un ottimo chirurgo, come si può vedere anche dalle operazioni a Gaza.

Il Tempo è scatenato. Se la prende con i “quaquaraqua”, vale a dire “le anime belle pacifiste” che sabato scorso hanno riempito la piazza per Gaza. Ignoranti: “Nel Medio Oriente, ma potremmo dire nel mondo intero, la forza è la moneta che dà credito alla politica”. La diplomazia invece “funziona solo se sostenuta dalla capacità di agire con decisione”. Traduzione: prima si bombarda, poi al limite ci si siede al tavolo. Portandosi comunque dietro una pistola. Sul Foglio l’editoriale di Giuliano Ferrara è ben riassunto nel sommario: “Non si può che approvare questo attacco, anche se il Bandito Morale, ex Cretino Collettivo, mena scandalo”. Poi c’è Il Riformista , che volentieri ospita l’appello di Carlo Giovanardi per una piazza “in favore di Israele”, che d’altra parte ne ha bisogno: “Noi stiamo dalla parte degli aggrediti e non degli aggressori”. Chi fa chi è chiaro, no?