L’analisi sui dati aggiornati dall’Istat: grande impatto nel 21-22, decrescente dopo e a maggior costo. Il problema? Il caos proroghe di Draghi e Meloni

(di Francesco Lenzi – ilfattoquotidiano.it) – Il Superbonus 110% ha rappresentato una delle iniziative più ambiziose nella storia recente delle politiche fiscali italiane. Introdotto nel contesto eccezionale della pandemia – con l’obiettivo primario di rilanciare l’economia nazionale e, allo stesso tempo, favorire la transizione verso un’edilizia più sostenibile ed efficiente – è subito diventato uno degli interventi più discussi non solo a livello politico, ma anche sul piano mediatico e scientifico, generando una vasta produzione di studi, analisi e valutazioni d’impatto di enti pubblici, istituti di ricerca e organizzazioni internazionali: l’ultimo, e l’unico finora basato sui dati Istat aggiornati, è quello dell’Ufficio parlamentare di bilancio, una sorta di Autorità dei conti pubblici. Il risultato sarà una sorpresa per molti dei suoi detrattori: “Nel complesso, nel triennio 2021-23 gli investimenti residenziali attivati dagli incentivi all’edilizia residenziale hanno apportato una rilevante spinta all’attività economica, sebbene con effetti decrescenti al crescere delle risorse impegnate”. Tradotto: grande impatto iniziale, il problema semmai è stato prorogarlo troppo a lungo.

L’Upb scrive insomma (per ora) l’ultimo paragrafo del lungo romanzo del dibattito sul Superbonus, quello sui suoi effetti sulla crescita. Quanto all’impatto sui conti pubblici, invece, col senno di poi appare evidente che sia stato assai meno drammatico di quanto molti temevano: senza dubbio la misura ha comportato un costo significativo per lo Stato, ma non ha generato quel cratere finanziario che era stato paventato. Le principali agenzie di rating internazionali, che hanno recentemente migliorato l’outlook sul debito sovrano italiano, hanno confermato che l’effetto complessivo sul bilancio statale, pur consistente, resta ampiamente gestibile.

E qui torniamo alla questione cruciale, quella legata al merito delle politiche pubbliche: quale impatto reale ha avuto il Superbonus sull’economia italiana? Quali effetti ha prodotto sul tessuto produttivo, sull’occupazione, sugli investimenti e, più in generale, sulla traiettoria macroeconomica del Paese? A questo interrogativo hanno cercato di rispondere varie istituzioni. Da un lato soggetti come il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e l’Associazione Nazionale Costruttori Edili (Ance) hanno espresso giudizi complessivamente positivi, sottolineando l’effetto moltiplicatore del provvedimento, sia in termini di crescita che di occupazione. Dall’altro lato istituzioni come la Banca d’Italia hanno evidenziato come, sebbene alcuni effetti positivi siano effettivamente riscontrabili, l’impatto complessivo sia stato più contenuto rispetto alle stime più ottimistiche circolate nei mesi iniziali. Tutti questi studi, però, condividono un limite strutturale: si basano su dati anteriori al settembre 2024, cioè prima della revisione ufficiale dei conti nazionali pubblicata dall’Istat. In quella circostanza, l’istituto ha rivisto al rialzo la crescita del Pil 2021 (+0,6%) e del 2022 (+0,7%), correzioni significative che, in termini assoluti, valgono decine di miliardi di euro in più di ricchezza prodotta. Alla base di queste variazioni c’è soprattutto un diverso approccio nel calcolo degli investimenti in costruzioni, settore su cui i bonus edilizi hanno inciso in modo diretto.

Partendo proprio da questi nuovi dati, l’Ufficio parlamentare di bilancio ha condotto un’analisi, intitolata Una valutazione sugli effetti macroeconomici degli incentivi all’edilizia nel post-pandemia, pubblicata nel rapporto sulla politica di bilancio reso noto mercoledì. Utilizzando un approccio controfattuale, lo studio ha simulato quale sarebbe stato l’andamento dell’economia italiana in assenza dei bonus edilizi, confrontandolo poi con i dati effettivamente registrati, influenzati dall’incremento delle detrazioni fiscali e dagli altri incentivi varati. Il risultato emerso è piuttosto netto: mentre nel 2020, anno d’esordio del Superbonus, l’effetto è stato nullo a causa di un utilizzo ancora marginale, dal 2021 in poi il Pil italiano ha costantemente superato il livello stimato nello scenario senza bonus, con un +1,5% nel 2021, un +1,4% nel 2022 e un ulteriore +1% nel 2023. Un trend robusto, che riflette soprattutto la spinta della domanda interna e che implica l’attivazione di moltiplicatori fiscali elevati, seppur in progressivo calo nel tempo.

Anche l’occupazione, ci dice l’Upb, ha beneficiato del Superbonus, con risultati in linea con quelli sul Pil. La crescita delle “unità di lavoro” rispetto allo scenario controfattuale è stata dell’1,3% nel 2021 e nel 2022, e dello 0,9% nel 2023, segno che i sistemi di incentivazione varati hanno creato diverse centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro, soprattutto nelle fasi iniziali. Tutto questo mentre l’effetto sui prezzi è stato inizialmente trascurabile, per poi crescere moderatamente negli anni successivi. In sintesi, l’impatto è stato significativo ma via via decrescente, proprio come insegna la teoria economica: nei momenti di crisi, la spesa pubblica è più efficace perché colma i vuoti lasciati dalla domanda privata. Tuttavia, man mano che l’economia riparte con vigore, come accaduto tra il 2021 e il 2022 con un +14% di crescita cumulata, lo stimolo pubblico rischia di diventare ridondante e meno efficiente.

Lo stesso Ufficio parlamentare di bilancio lo ha sottolineato con chiarezza: “Se l’intervento fosse stato circoscritto temporalmente alle fasi iniziali, caratterizzate da una maggiore capacità di attivazione, la valutazione complessiva del provvedimento ne avrebbe probabilmente guadagnato in termini di rapporto tra costi pubblici e benefici economici complessivi.” Il 2022, in particolare, ha segnato un punto di svolta: prima si è prorogata l’agevolazione in modo generalizzato, confidando nella sua efficacia; poi, di fronte all’evidenza di un costo sempre maggiore e fuori da ogni previsione di spesa, e a un impatto sempre più limitato, si è corsi ai ripari con una serie di misure restrittive. Ne è scaturita una stretta improvvisa, fatta di norme complesse, circolari interpretative, vincoli alla cessione del credito e una burocrazia via via più opprimente. Il risultato? Una frenata nell’utilizzo dello strumento, migliaia di imprese in crisi e numerosi cittadini con lavori sospesi o interrotti.

Se si fosse adottato fin dall’inizio un orizzonte temporale chiaro e limitato, sostiene l’Upb, si sarebbero potuti evitare molti degli effetti collaterali registrati: la fiducia degli operatori sarebbe stata maggiore, la stima dei costi più precisa e la misura sarebbe stata più efficiente. Guardando avanti, sarà fondamentale tenere a mente l’efficacia, che è ormai ampiamente dimostrata, del Superbonus nei momenti di crisi, ma anche i vari limiti emersi, come la scarsa progressività, il non aver previsto esclusioni per immobili particolarmente di pregio e, come detto fin qui, un chiaro orizzonte temporale di uscita che massimizzi l’impatto delle risorse messe a disposizione per gli incentivi.