
(ANSA) – In Puglia circa 500mila lavoratori, il 56,8% del totale, vivono con un salario netto mensile pari o inferiore a mille euro al mese. Lo scorso anno quasi una persona su tre, con un contratto precario, si trovava in questa condizione da cinque anni. I dati del lavoro povero e precario nella regione sono stati resi noti a Bari da Cgil Puglia.
Presenti, fra gli altri, la segretaria generale Gigia Bucci, il responsabile dell’ufficio Economia del sindacato nazionale, Nicolò Giangrande, e l’economista di UniBa, Michele Capriati. Dallo studio emerge che la Puglia è seconda in Italia, dopo la Basilicata, per numero di occupati a termine da almeno cinque anni ed è sesta nella classifica della bassa intensità lavorativa nel corso del 2024, visto che un lavoratore su dieci non supera i due mesi di impiego.
Il sindacato evidenzia inoltre che quasi un pugliese su tre vive in famiglie con redditi inferiori alla soglia di rischio povertà, occupando la quarta posizione nazionale. La regione è inoltre seconda nel Paese, dopo la Calabria, per il numero di persone con grave deprivazione materiale e sociale: oltre una persona su dieci registra, infatti, almeno sette segnali di allerta.
Sempre un lavoratore su dieci è occupato con part time involontari, un dato che sale al 17,2% se si considerano solo le donne, mentre un cittadino su quattro è impiegato in una professione per la quale è richiesto un titolo di studio inferiore.
In questo quadro, un pugliese su dieci ritiene che la sua famiglia arrivi a fine mese con grande difficoltà, mentre due persone su dieci non lavora e non cerca un’occupazione (le donne sono il 28%). Quanto al tasso di occupazione, è del 55,3%, il 70,3% fra gli uomini e il 40,5% fra le donne. A preoccupare è anche la mobilità dei laureati fra 25 e 39 anni: nel 2023 la differenza fra iscritti e cancellati per trasferimento ha segnato il meno 33,2%.
O votano gente che percuote due pietre per attirarli o non vanno a votare. Il nero come scelta di vita. La raccomandazione come credo, lo sfruttamento come accettazione delle cose della vita. Tutte volpi e nessuna gallina. Una regione condannata.
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P.s. io sono pugliese, per la cronaca.
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Il quadro che emerge è decisamente desolante, anche se purtroppo non sorprendente.
Il dato che più mi colpisce, tra i tanti elencati, è quello in fondo alla lista delle disgrazie : la mobilità dei laureati tra i 25 e i 39 anni, con un saldo migratorio negativo del -33,2% nel 2023. In pratica, per ogni 100 laureati che arrivano, 133 se ne vanno.
È un danno tutt’altro che trascurabile. Un laureato, in media, guadagna di più e contribuisce maggiormente al benessere economico e sociale del territorio. Quando un giovane qualificato emigra, non si perde solo una persona: si perde un investimento formativo, un potenziale innovatore, un contribuente, spesso anche un futuro genitore.
Così si innesca un circolo vizioso: bassi salari e scarse opportunità portano alla fuga dei talenti; la fuga dei talenti scoraggia ulteriormente gli investimenti; la mancanza di investimenti peggiora le condizioni economiche, e così via.
È un fenomeno che riguarda tutta l’Italia, anche le aree più sviluppate. Le regioni del Nord riescono, per ora, a compensare la perdita interna con i laureati del Sud, ma è irrealistico pensare che questo meccanismo possa reggere a lungo. La riserva non è infinita.
Commentare una’ ANSA non è semplice: posso solo supporre che la CGIL Puglia voglia ribadire, ancora una volta, la gravità di una crisi strutturale che e’ nota da anni.
Il problema è che, viste le azioni (o inazioni) della politica e i risultati che continuano a mancare, c’è il rischio concreto che anche questi numeri finiscano per essere solo gli ennesimi scritti sull’acqua.
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