L’intervista al presidente M5S, Giuseppe Conte, che in vista del voto dei referendum invoca una grande mobilitazione popolare.

(di Stefano Rizzuti – lanotiziagiornale.it) – Domenica e lunedì si vota per i referendum su lavoro e cittadinanza. Giuseppe Conte, presidente del Movimento 5 Stelle, perché è importante andare a votare?
“È fondamentale recarsi in massa ai seggi per dire 4 sì: contro i licenziamenti illegittimi, per innalzare le tutele dei lavoratori delle piccole imprese, per porre fine all’abuso dei contratti a termine e per più sicurezza sul lavoro. Non sprechiamo questa occasione: restare a casa significa lasciare che siano altri a decidere per noi. In un Paese privo del salario minimo, che questo governo non vuole, e dove oltre 2 milioni di giovani hanno un contratto precario serve una grande mobilitazione popolare. Per questo trovo vergognoso il messaggio di astensione arrivato da Giorgia Meloni”.
Perché sul quesito riguardante la cittadinanza ha più dubbi?
“Come M5S lasciamo libertà di coscienza. Personalmente voterò sì, ma ritengo che dimezzare così gli anni necessari per acquisire la cittadinanza, senza un reale percorso di integrazione, non sia la soluzione. Per noi la strada migliore è lo Ius scholae: per questo, a inizio legislatura abbiamo ripresentato la proposta di legge che lega l’acquisizione della cittadinanza al compimento di un intero ciclo di studi per quei bambini nati o arrivati in Italia entro i 12 anni d’età”.
Invece, sul lavoro perché voterete con convinzione quattro Sì?
“È l’occasione per iniziare a costruire un nuovo mercato del lavoro, che affronti le tante sfide che abbiamo davanti a iniziare dall’Intelligenza artificiale. Bisogna cambiare radicalmente lo status quo, che vede al centro la sfrenata ricerca del profitto a scapito dei diritti e della dignità dei lavoratori. Il Jobs Act si è inserito nel solco delle peggiori leggi sul lavoro varate dagli Anni ’90, alimentando la fake news secondo cui una maggiore flessibilità determina una crescita dell’occupazione: tutti gli studi in materia dicono il contrario. Una norma che ha sdoganato i licenziamenti illegittimi e alimentato la precarietà, già rottamata dalla Corte costituzionale e che ora possiamo mandare definitivamente in soffitta. Non solo. Si vota anche per garantire più sicurezza sul lavoro: in un Paese in cui la giungla di appalti e subappalti impazza e dove muoiono ogni giorno 3 persone, voltarsi dall’altra parte significa essere complici di questo sistema”.
Proprio sui temi del lavoro avete trovato convergenze soprattutto con Pd e Avs, come avvenuto sul salario minimo. Si può ripartire da qui per costruire un vero campo progressista?
“Le politiche del lavoro sono nostre battaglie prioritarie: con i miei governi abbiamo introdotto il taglio del cuneo fiscale e le causali contro il precariato selvaggio. Non siamo riusciti a ottenere il sufficiente consenso con le altre forze politiche sul salario minimo legale, ma finalmente ora abbiamo con noi anche le altre forze di opposizione. Nuovi obiettivi sono il congedo di paternità e la riduzione del tempo di lavoro a parità di salario. Su progetti seri e credibili per tutelare fasce fragili o poco garantite noi siamo sempre in prima fila. Il nostro primario obiettivo è costruire un’alternativa forte e chiara al governo della Meloni. Lavoriamo per costruire politiche economiche e sociali completamente diverse da quelle di un governo incapace che sta affossando l’Italia, lo facciamo ogni giorno sui territori e in Parlamento con costanza, umiltà e coerenza. Lavoriamo per rafforzare il campo alternativo ma non ci piacciono le formule astratte: vogliamo misurarci sulle proposte concrete, quelle che servono ai cittadini”.
Tornando ai referendum, l’obiettivo è raggiungere il quorum, una sfida molto complicata. Crede davvero che sia possibile farcela? Teme che la scelta del governo di votare insieme ai ballottaggi e non al primo turno delle comunali renda impossibile questa impresa?
“Auspico una partecipazione massiccia dei cittadini, a cui dico: andate a votare. È però evidente come, con questa decisione, il governo abbia scelto deliberatamente di sabotare i referendum. Meloni e i suoi hanno paura che domenica e lunedì i cittadini vadano a votare”.
Una sfida resa ancora più complicata dai media che hanno quasi oscurato il voto dell’8 e 9 giugno: è venuto a mancare il diritto fondamentale di essere informati per i cittadini?
“In un Paese normale, su questi quesiti si sarebbe aperto un dibattito pubblico. Invece il sistema mediatico ha deciso di oscurarli. La copertura offerta dalla Rai, dal servizio pubblico, è stata largamente insoddisfacente. Di questo e molto altro avremmo voluto discutere nella sede preposta, ossia la Commissione di Vigilanza Rai, che però da ben 7 mesi è completamente bloccata, tenuta in ostaggio dai partiti di maggioranza. Un danno al Parlamento e alla democrazia che non smetteremo di denunciare”.
I quesiti sul lavoro hanno fatto emergere tutte le contraddizioni del Pd, che il Jobs Act l’ha approvato quando era al governo: quello di oggi è davvero un partito diverso o anche questi referendum, con i distinguo dei riformisti, dimostrano che nulla è cambiato tra i dem?
“Non è mia usanza entrare nelle dinamiche interne delle altre forze politiche. Parlo per il M5S che, su questi temi, come sul salario minimo, ha sempre mantenuto una posizione solida”.
A destra si sono ripetuti gli inviti a non votare, compresi quelli di alte cariche dello Stato. Non una novità assoluta, ma lo ritiene un segnale preoccupante per la partecipazione dei cittadini al processo democratico?
“I messaggi per l’astensione del presidente del Senato La Russa e della premier Meloni, quest’ultimo arrivato peraltro nel giorno simbolo di un Paese che proprio grazie a un referendum scelse la Repubblica, sono vergognosi e rappresentano tutta l’incoerenza di questa destra di finti patrioti. Ricordo che nel 2014, quando fu approvato il Jobs Act, Giorgia Meloni lo definì testualmente ‘carta da pizza’, oggi invece fa spallucce davanti a milioni di italiani che arrancano per il carovita e il caro energia fuori controllo, proprio lei che ha messo la firma su un Patto di stabilità franco-tedesco che è una iattura per l’Italia e che sta alimentando la pericolosa corsa al riarmo che colpirà crescita e spesa sociale. Ma questa è solo una delle tante giravolte della Meloni, che dice che andrà a votare per il referendum e poi invece non ritira la scheda, è la stessa che diceva che avrebbe tagliato le tasse e invece ha aumentato la pressione fiscale”.
Non vede contraddizioni tra il non voto e la posizione di Forza Italia sulla cittadinanza?
“Mi viene in mente quel proverbio che dice ‘can che abbaia non morde’. Il partito di Tajani ha sin qui votato acriticamente tutti i provvedimenti che il governo ha calato dall’alto, abusando di decreti legge e voti di fiducia. Provvedimenti che, più che liberali, in taluni casi – come l’ultimo decreto Sicurezza – sono repressivi e liberticidi. Il ministro degli Esteri dice di essere a favore dello Ius scholae? Bene, allora lo aspettiamo in Parlamento per votare la nostra proposta. Il resto sono chiacchiere”.
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I quesiti sul lavoro hanno fatto emergere tutte le contraddizioni del Pd, che il Jobs Act l’ha approvato quando era al governo: quello di oggi è davvero un partito diverso o anche questi referendum, con i distinguo dei riformisti, dimostrano che nulla è cambiato tra i dem?
“Non è mia usanza entrare nelle dinamiche interne delle altre forze politiche. Parlo per il M5S che, su questi temi, come sul salario minimo, ha sempre mantenuto una posizione solida”.
Domanda da vero giornalista e risposta da politicante consumato.
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Mbe? Dovrebbe rallegrarsene visto che è sempre stato accusato di incompetenza e pressappochismo. E’ talmente lapalissiana la contraddizione in tema di lavoro nel PD che discuterne, oltre che inutile non è foriera ad altri eventuali punti d’incontro .
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Certo che al PD gli va bene dimezzare gli anni della cittadinanza,mica va a vedere l’integrazione nella vita sociale italiana…. noooo vanno a vedere solo la possibilità di avere voti alle politiche…non voterò tale quesito perchè costoro voteranno senza conoscere la nostra costituzione,senza conoscere la lingua…voteranno dei veri asini su ordine del partito.
ps: ma quando faranno i Referendum con il premio di maggioranza? hahahahahha….
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O cambiano le regole sul voto referendario (come giustamente scriveva Travaglio) oppure il quorum su quesiti così identitari non verrà mai raggiunto. Esempio: io voterei “si” a tre quesiti e “no” a uno. Cosa “mi conviene” fare? Andare a votare rischiando di contribuire al quorum e di conseguenza far passare il “si” anche sul quesito sul quale non sono d’accordo? Oppure non andare a votare e far morire Sansone con tutti i filistei?
Questi comunque i quesiti referendari sul lavoro (servizio pubblico) 👇
1 – Licenziamenti illegittimi
Il primo quesito propone di abrogare uno dei decreti legislativi con cui è stato attuato il cosiddetto Jobs Act, quello che riguarda le tutele per i lavoratori in caso di licenziamento.
Se il referendum passasse non si tornerebbe all’originario articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ma alla cosiddetta legge Fornero del governo Monti.
Lo Statuto dei lavoratori prevedeva che, quando un giudice riteneva illegittimo il licenziamento di un lavoratore da un’azienda con oltre 15 dipendenti, il datore di lavoro era costretto a riassumerlo e a riconoscergli un corposo indennizzo. Se invece si trattava di un’azienda con meno di 15 dipendenti, il lavoratore licenziato in modo illegittimo doveva essere riassunto oppure, in alternativa, risarcito con un indennizzo tra 2,5 e 14 mensilità calcolate sull’ultima retribuzione ricevuta.
Nel 2012 la legge Fornero aveva stabilito che solo per quelli di maggiore gravità, cioè quelli ritenuti manifestamente illegittimi, ci sarebbe l’obbligo del reintegro da parte del datore di lavoro (nel caso di imprese con più di 15 dipendenti); negli altri casi, al lavoratore andrebbe riconosciuto un risarcimento che va calcolato in base a vari parametri, ma che può variare tra le 12 e le 24 mensilità.
La riforma del Jobs Act restrinse ancora di più i casi in cui era previsto il reintegro, che di fatto veniva limitato a pochissimi casi.
Se dunque vincesse il “Sì”, tornerebbe ad aumentare il numero dei casi in cui i lavoratori licenziati possono ottenere il reintegro, e in particolare questo diritto verrebbe esteso ai lavoratori coinvolti nei licenziamenti collettivi. Ma a fronte di questo beneficio, la vittoria del “Sì” comporterebbe anche, in certe circostanze, “un arretramento di tutela”, come evidenziato dalla Corte costituzionale: in sostanza, per alcune categorie di lavoratori le cose andrebbero un po’ peggio.
Anzitutto perché verrebbe ridotto il limite massimo dei risarcimenti che i lavoratori potrebbero richiedere: il cosiddetto decreto Dignità, approvato dal primo governo di Giuseppe Conte nel 2018, aveva infatti innalzato l’indennizzo massimo da 24 a 36 mensilità, e con la vittoria del Sì si tornerebbe a 24 (al contrario, si avrebbe un beneficio sul limite minimo: che passerebbe da 6 a 12 mensilità). È un aspetto importante, perché la stragrande maggioranza dei licenziamenti ingiusti si risolve proprio con un indennizzo, visto che è spesso difficile reintegrare un lavoratore in azienda dopo che i rapporti umani e professionali si sono guastati.
Ci sono poi altre due possibili conseguenze meno evidenti di questo primo quesito. La legge attuale, quella del 2015, prevede infatti il reintegro dei lavoratori licenziati ingiustamente per supposte disabilità psicofisiche che poi si dimostrano ininfluenti per la mansione che erano chiamati a svolgere, e in aggiunta un risarcimento: con la vittoria del “Sì” questa possibilità verrebbe attenuata, e in particolare i risarcimenti sarebbero più limitati. Allo stesso modo verrebbe eliminato il diritto al reintegro per i lavoratori licenziati ingiustamente da parte delle cosiddette organizzazioni di tendenza (cioè partiti politici, sindacati, associazioni religiose), ai quali il Jobs Act aveva invece riconosciuto questa tutela.
2 – Indennità per chi viene licenziato ingiustamente nelle aziende più piccole
Il secondo quesito chiede di rimuovere i limiti massimi di indennizzo in caso di risarcimenti per le imprese più piccole, quelle con meno di 15 dipendenti. In questi casi il lavoratore ingiustamente licenziato ha diritto a un risarcimento minimo di 6 mensilità che può crescere fino a 10 mensilità se ha trascorso almeno 10 anni nell’azienda, e fino a 14 mensilità se ci ha lavorato per più di 20 anni. Queste soglie vennero introdotte originariamente nel 1966, e poi furono sostanzialmente mantenute, pur con alcune variazioni.
Se il referendum venisse approvato le soglie verrebbero eliminate: a decidere sul valore massimo del risarcimento che l’azienda dovrà dare al lavoratore licenziato sarebbe un giudice, chiamato di volta in volta a valutare sul singolo caso, secondo limiti e parametri comunque previsti dal codice civile.
3 – Le motivazioni dei contratti a tempo determinato
Il terzo quesito propone di abrogare una parte di un decreto legislativo del giugno del 2015 in base al quale un datore di lavoro può assumere a tempo determinato un lavoratore per i primi dodici mesi senza darne una motivazione (la cosiddetta causale), mentre è obbligato a specificare la causale se la durata di quel contratto precario si prolunga oltre il primo anno. Se dunque il quesito venisse approvato, il datore di lavoro dovrebbe indicare fin dall’inizio il motivo per cui assume una persona con un contratto di breve durata anziché con uno a tempo indeterminato: spetterebbe poi a un giudice in caso di contenzioso verificare che quella motivazione sia valida, cioè che l’azienda abbia effettivamente una condizione o una esigenza temporanea tale da rendere necessario quel tipo di contratto.
Di solito si dovrebbe ricorrere a questi contratti quando c’è la necessità di sostituire un dipendente (magari perché in maternità, o in aspettativa), oppure perché un’azienda ha bisogno di maggiore personale solo per coprire un picco di produzione in un certo periodo: sono comunque tutte eventualità previste dai contratti collettivi negoziati tra imprese e sindacati. Secondo i critici di questa norma – e quindi anche secondo chi vorrebbe cambiarla col referendum – la possibilità di ricorrere con facilità alle assunzioni a tempo determinato per il primo anno senza causali ha indotto molti datori ad abusare di questi contratti, effettuando ripetute sostituzioni di personale anziché assumere stabilmente dei dipendenti, incrementando dunque il precariato.
4 – Responsabilità per gli incidenti sul lavoro
Il quarto quesito riguarda invece la cosiddetta corresponsabilità solidale tra impresa committente e impresa appaltatrice in caso di incidenti sul lavoro. La legge attualmente in vigore è del 2008. Prevede che quando c’è un appalto, il committente (cioè colui che commissiona una certa opera o un certo servizio) sia corresponsabile in solido con l’appaltatore o il subappaltatore (cioè coloro che devono eseguire quell’opera o quel servizio) per gli infortuni accaduti ai dipendenti di questi ultimi.
Il committente deve dunque rimborsare l’Inail per i risarcimenti e gli indennizzi anche per i dipendenti dell’appaltatore e del subappaltatore, con un’eccezione: se i danni sono una «conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici». Detta in modo più semplice, se l’incidente di un lavoratore della ditta appaltatrice avviene mentre si svolgevano mansioni su cui si ritiene che la ditta committente non abbia alcuna possibilità concreta di controllo e di intervento, allora la ditta committente non deve pagare.
Se il quesito venisse approvato, questa eccezione verrà eliminata: il committente sarebbe sempre corresponsabile in solido per gli incidenti.
La modifica si applicherebbe a una serie di casi molto variegata, ed è l’aspetto di questo quesito che ha sollevato più perplessità: dall’impresa edile che fa scavi e si occupa solo di movimentazione terra che dovrebbe rispondere se il lavoratore di una azienda a cui appalta l’elettrificazione del cantiere resta fulminato, fino al condominio che, in certi casi, sarebbe corresponsabile nel caso in cui in un’azienda edile chiamata a ristrutturare la facciata del palazzo subisca un infortunio.
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Quando arrivi intorno ai 50 anni hai il terrore di perdere il lavoro anche in considerazione che devi arrivare almeno a 65-67 anni per la pensione (io 69). L’indennizzo ti fa campare 6 mesi magari un anno ma poi? Spesso le grandi aziende preferiscono pagare l’indennizzo perchè è conveniente liberarsi di dipendenti con retribuzioni più alte e maggiore anzianità, sostituendoli con profili più giovani e meno costosi.
Sono convinto che la priorità sia la protezione del lavoro.
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Se rispetti la democrazia, di cui ti vanti come occidentale civile , a differenza dei barbari, vai a votare, si o no, alcuni si, altri no, senza preoccuparti di chi vincerà, perché in ogni caso vince la maggioranza, che è la logica per cui si vota nei paesi democratici! Ma scommetto che non andrai a votare, e non per le filosofiche riflessioni su quorum e vittoria del sì su tutto, quindi compresi i tuoi 3 si, a svantaggio dell’ unico no, ma per indicazioni di partito……Io non sono brava a fare filosofia, ma ho una posizione lavorativa da dirigente pubblico statale , prossimo alla pensione, che mi permetterebbe di fregarmene dei quesiti referendari sul lavoro, ma ho quella vocina etica e di coscienza, civile e collettiva, che mi obbliga ad occuparmi anche dei problemi altrui! I quesiti non sono affatto identitari per me, anzi proprio altro, egoisticamente parlando, mentre tu ti preoccupi del quesito cui voteresti no, e se poi passa il si…..strana idea della democrazia e soprattutto della solidarietà! Nessuna sorpresa, i famosi liberali democratici son fatti così, da sempre…democrazia e solidarietà si ferma inderogabilmente al confine del proprio orto!
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Il mio voleva essere piu un discorso “in generale” sull’inefficacia dello strumento referendario, che una personale dichiarazione d’intenti. L’esempio che ho fatto riguarda non solo me, ma milioni di persone in Italia. Certo, esistono anche per fortuna i cittadini perfetti come te, che hanno “quella vocina etica e di coscienza, civile e collettiva”, che i “liberali democratici” non riuscirebbero a sentire neanche col cornetto acustico.
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Il tuo un ca22o
Cosa cambia se vince il “Sì” nei quattro referendum sul lavoro – Il Post
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Il mio cappello iniziale, COGLION*.
Dopodiché ho postato la prima buona sintesi dei quesiti che ho trovato nel web. Ma cosa credi, che spaccio cose di altri (cosa poi? I quesiti referendari?) per mie? E che ho, un solo neurone come te?
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Sieee sei un copione, e ti ho sgamato 😀
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il contratto a tutele crescenti in caso di licenziamento illegittimo impedisce il reintegro, definendo una indennità pari a due mensilità di stipendio moltiplicate per gli anni di lavoro nell azienda che lo licenzia. Le 36 mensilità sono il massimo risarcibile, ovviamente per chi ha almeno 18 anni di anzianità, ma rimangono trentasei anche per chi ha un anzianità di lavoro superiore a 18 anni. Rimarranno, perché il contratto a tutele crescenti si applica per gli assunti dal 2015. Al momento, per vedere indennità di 36 mensilità dovremo aspettare sino al 2023, e così via. Ma 36 mesi sono un ammontare che di fatto impedisce un licenziamento illegittimo. Nessun imprenditore pagherebbe un indennizzo simile, salvo che per qualche manager, nessun lavoratore rifiuterebbe l indennizzo. Oggi saremmo al massimo a 20 mensilità, le 24 nel 2027.
Il problema non sono i massimali, ma i licenziamenti poco costosi, sino a 5 anni di anzianità, ad esempio, e le possibili vittime. Giovani alle prime esperienze, persone oltre i 50 anni, invalidi, post maternità (come una delle due lavoratrici licenziate ad Albinia perché sostituite da un software), post lunga malattia, limitazioni fisiche sopraggiunte, periodi di prova superati seguiti a breve da licenziamenti, ecc. Ci sono poi le procedure collettive per la gestione delle crisi, che si uniscono ai percorsii di licenziamento individuale, tutti normati ed agibili. In sostanza non c era nessun bisogno di aggiungere la possibilità di falsificare le Causali di licenziamento senza pagare pegno.
Il quesito referendario n. 1 vuole semplicemente riequilibrare il tavolo dei LICENZIAMENTI ILLEGITTIMI, reintroducendo la facoltà del giudice di reintegrare il lavoratore a fronte della manipolazione persecutoria dei motivi del licenziamento. Poi in giudizio si possono dare altre scelte, ma a quel punto la maggior tutela sarebbe sancita, per tutti i lavoratori assunti dopo il 2015, anche quelli che vanno al mare.
il riequilibrio delle tutele del lavoro, i tre referendum, dovrebbe essere un dovere, in un paese civile fondato sul lavoro.
Renzi, Draghi, Meloni non lo.pensano, ed hanno fatto norme contro gran parte dei propri elettori. Che dovrebbero ricordarglielo, andando a votare SI.
i governi Conte sono esistiti, dimostrando che è possibile, per la buona politica, governare mantenendo le promesse elettorali, cercando un riequilibrio possibile delle opportunità civilive sociali, incluso il sostegno al sistema produttivo. Anche. Prima gli ultimi.
Grillo al mare ci vive. I privilegiati votano al mare. Grillo non so. Mi sono sfuggiti i suoi appelli al voto. Forse i veri grillini si appassionano di più alla disputa del simbolo, renxianamente. I lavoratori prrrr, alla Sordi.
O forse sono sordi aquanto gli succede intorno?
Gli elevati, intirno, hanno solo se stessi.
Le basi programmatiche del nuovo movimento vecchio?
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