Ci sono ottime ragioni, economiche e non, per dare un calcio definitivo al renzismo tossico

(Mario Pomini – ilfattoquotidiano.it) – Tra i referendum dei giorni 8 e 9 giugno, forse quello più rilevante riguarda l’abrogazione di una parte fondamentale del Jobs Act, quella che abolisce il diritto al reintegro. Come hanno chiarito i giuristi, con l’eliminazione del testo renziano non si torna al vecchio Statuto dei Lavoratori del 1970, ma si aumenta di sicuro la tutela dei diritti dei lavoratori. In effetti, alcuni aspetti essenziali della controriforma di Renzi erano già stati demoliti dalla magistratura perché contrari alla Costituzione. Perché allora andare a votare per eliminare ciò che resta della normativa renziana? Propongo due ragioni di fondo: una di carattere sociologico e una di carattere più squisitamente economico. Poi ce n’è, a ben guardare, una terza.
Per capire la prima, partirei dall’omelia economica pronunciata da Draghi al recente vertice della Fondazione internazionale per l’innovazione COTEC. Possiamo parlare di omelia, visto che l’incontro si è tenuto nel convento di San Francesco a Coimbra. Il priore europeista ha sviluppato moltissimi temi, come al solito. Di sfuggita ha toccato anche il tema dei salari osservando che, in Europa, non solo sono stagnanti ma sono cresciuti anche meno della produttività del lavoro.
Draghi ovviamente non si è spinto più in là nel ragionamento, ma lo proseguo io. Questa autorevole osservazione ha due implicazioni. La prima è che, se i salari sono fermi, allora sono cresciute le altre due categorie distributive, i profitti e le rendite. La seconda è che all’economia è venuta a mancare la spesa degli operai-consumatori. Senza redditi da lavoro anche la domanda aggregata langue. Il super-tecnico, di fronte a questo problema, ha optato per una soluzione formalmente keynesiana: aumentare le spese militari a debito. Soluzione, per amor di storia, che troviamo nella Germania nazista che ha eliminato la disoccupazione con il riarmo. A occhio però, alzare i salari sarebbe molto meglio che aumentare la spesa militare. L’effetto economico keynesiano sarebbe il medesimo.
Perché in Italia i salari non crescono e anzi sono diminuiti, come tutte le statistiche ci dicono? Una parziale risposta si può trovare proprio nella riforma neoliberista del mercato del lavoro. È indubbio che il lavoratore assunto dopo marzo 2015 si trovi in una posizione si subalternità nei confronti del datore di lavoro che può licenziarlo, pagando una modesta indennità. Con il Jobs Act il pendolo dei rapporti di lavoro si è spostato, a causa della politica, dai diritti (del lavoratore) ai profitti (del datore di lavoro). Ripristinare qualche minima garanzia può aiutare i lavoratori e i loro sindacati a essere più ascoltati al tavolo delle trattative. Il Jobs Act aveva un preciso obiettivo: indebolire il sindacato. Ed è quello che è avvenuto. Lo stesso è accaduto per i salari.
La seconda ragione per votare l’abrogazione è il fallimento ormai provato del mito liberista che la libertà di licenziare produca miracolisticamente nuove assunzioni. Questa idea era fasulla nel passato e lo è anche nel presente. Se si guardano le statistiche del mercato del lavoro non c’è nessun effetto Jobs Act. Gli occupati in Italia oggi sono al massimo storico. Sì, ma lo sono anche in Francia, Germania e Usa, tanto per prendere alcuni esempi. L’occupazione è stata trainata da un ciclo economico favorevole, interrotto solo dal Covid, ma che poi ha ripreso il suo trend ascendente. Un ciclo favorevole ma fino ad un certo punto, perché i nuovi lavori sono creati per lo più nel settore dei servizi, con contratti precari e bassi salari.
Quindi c’è più lavoro, ma di bassa qualità. Un tema che dovrebbe essere all’attenzione di un governo sedicente populista, cioè dalla parte della gente. L’aver tolto il diritto del reintegro non ha creato nessuna fiammata occupazionale, ma solo peggiorato le condizioni di lavoro in fabbrica a vantaggio dei datori di lavoro.
La terza ragione per abolire il Jobs Act risiede proprio nella sua genealogia. La controriforma renziana è passata solo perché ha spezzato il mondo del lavoro in due parti. La riforma si applica solo ai nuovi assunti, con un’evidente discriminazione. Quindi oggi abbiamo lavoratori dipendenti di serie A e di serie B, con una chiara lesione dei principi costituzionali, e anche del buon senso. Questa odiosa discriminazione non ha nessun senso economico, e nemmeno morale. Va eliminata per un elementare senso di giustizia.
In definitiva ci sono ottime ragioni, economiche e non, per dare un calcio definitivo al renzismo tossico. Anche i suoi sostenitori che stanno nel fronte progressista dovrebbero fare una qualche ammenda e riconosce l’errore fatto. E se il referendum non passasse? Non sarebbe una tragedia. Il referendum è solo il punto di partenza, oserei dire di svolta, per il fronte progressista. Questo capitale elettorale costituisce il primo passo per affrontare la sfida vera, quella del 2027. Allora, tra i primi punti del programma, ci dovrà essere l’abrogazione del Jobs Act, se ancora vigente.
Solo liberandosi finalmente dai residui del renzismo il fronte progressista può sperare di recuperare i milioni di voti persi inseguendo la chimera conservatrice. Sempre se si vuol tornare a vincere, e non chiudersi nella confort zone di un patetico conformismo elitario.
Articolo che alterna spunti interessanti, con posizioni ideologiche e il classico tocco che nel FQ si fa sempre piu’ presente tra i vari articolisti: piegare la realta’ dei fatti alla propria opinione.
Prima osservazione: è corretto dire che in caso di vittoria del Sì si reintrodurrebbe un sistema di indennizzo “alla Fornero”, non lo Statuto dei Lavoratori del 1970. Sacrosanto. Non è un balzo epocale, ma è comunque un miglioramento rispetto al Jobs Act o a ciò che ne resta dopo gli interventi della Corte Costituzionale.
Passiamo all’omelia di Draghi. Tutto vero: Draghi ha sottolineato che i salari reali sono cresciuti meno di profitti e rendite. Tuttavia, questa dinamica non si è verificata ovunque in Europa e, dove presente, ha avuto intensità ed effetti molto diversi.
E qui c’è un primo problema. Il referendum riguarda l’Italia, non l’Europa. Quindi, se proprio si vuole partire da Draghi, bisognerebbe declinare il tema al caso italiano, dove la situazione salariale è effettivamente anomala ma per motivi strutturali ben più ampi del Jobs Act.
“Questa autorevole osservazione ha due implicazioni. La prima è che, se i salari sono fermi, allora sono cresciute le altre due categorie distributive, i profitti e le rendite.”
Falso. Questo automatismo non esiste. È un’affermazione ideologica, resa ancor più tale dall’accomunare profitti e rendite, che in economia sono cose molto diverse. L’argomentazione può valere solo in contesti dove la produttività cresce, ma la forza contrattuale dei lavoratori è debole. Non è una legge automatica, e non è sempre vera.
Se i salari reali non crescono, può anche essere perché la ricchezza complessiva non cresce affatto. In tal caso, non aumentano né i profitti né le rendite. Uno scenario, questo, che descrive piuttosto bene l’Italia di oggi.
Inoltre, i profitti sono la parte del reddito che può essere reinvestita per generare nuovi posti di lavoro. Il problema nasce quando la ricchezza prodotta in un contesto viene investita altrove. La colpa, in quel caso, non è del profitto in sé, ma del suo impiego.
E poi c’è l’inflazione. Se i salari reali non crescono, è anche perché crescono i costi, in particolare energia e interessi. L’inflazione, in sintesi, mangia potere d’acquisto
All’economia è venuta a mancare la spesa degli operai-consumatori.”
Qui nulla da dire: affermazione corretta. È la classica immagine dell’imprenditore che segando il ramo su cui è seduto, taglia il reddito dei propri clienti.
Tuttavia, anche questo fenomeno non ha colpito tutti i paesi nello stesso modo, né con la stessa intensità. Serve più precisione.
Sulle spese keynesiane, è vero che generano occupazione, anche quella militare. Ma i paragoni storici con la Germania nazista sono storicamente e moralmente rischiosi. Hitler salì al potere in una Germania in rovina dopo Versailles; oggi la Germania è la locomotiva d’Europa. Confronti del genere fanno più confusione che chiarezza.
Perché in Italia i salari non crescono e anzi sono diminuiti, come tutte le statistiche ci dicono?”
Risposta parziale, per non dire minimalista. I salari reali stagnano in Italia da molto prima del Jobs Act. E comunque, il Jobs Act si applica solo ai lavoratori dipendenti di aziende private con più di 15 dipendenti. Eppure, la riduzione salariale ha colpito praticamente tutti, inclusi i lavoratori esclusi dalla riforma. Quindi il Jobs Act non può essere l’unica spiegazione.
Che la reintroduzione dell’indennizzo Fornero aumenti le tutele è vero, ma la sua reale efficacia è tutta da verificare.
Il ciclo favorevole ha creato nuovi lavori nei servizi, con contratti precari e bassi salari.”
Anche questo è un dato di fatto . Ma allora in che modo l’abolizione del Jobs Act dovrebbe trasformare stuoli di camerieri e fattorini in operai iperspecializzati o ricercatori? La qualità del lavoro dipende da altre politiche industriali, formative, fiscali. Non basta un referendum.
Infine,: il Jobs Act ha accentuato la frammentazione del mercato del lavoro, ma non l’ha creata. Era già un sistema segmentato, e resterà tale anche se vincesse il Sì. Forse un po’ meno, ma sempre frantumato.
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Se i salari reali non crescono, può anche essere perché la ricchezza complessiva non cresce affatto. In tal caso, non aumentano né i profitti né le rendite. Uno scenario, questo, che descrive piuttosto bene l’Italia di oggi.
Sarà, ma a me sembra descrivere meglio l’Italia di oggi osservare che razza di macchinoni ci sono in giro, specie nella fascia 50-100.000 euro.
Come i SUV Porsche, per dire.
Sicuramente non sono macchine comprate da un impiegato part-time a 400 euro al mese.
Basterebbe vedere come erano i parcheggi ai tempi di Fantozzi contro tutti e come sono adesso. Perché se una Bianchina la cambi con una Clio è un conto, se ci metti una BMW è un altro.
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Piano, piano forse risali la china, già cominci a guardare tradingseconomic; un piccolo passo per l’uomo, un grande salto per l’umanità.
Nel mio commento io contesto l’automatismo con cui la quota salari si trasforma in profitti e rendite che l’autore da per scontato, quando non è così; questo non vuol dire che non avvenga, vuol dire che non avviene in modo automatico.
Quanto al discorso macchinoni che si vedono in giro, detta così si tratta solo di una percezione; la cosa corretta da fare sarebbe trovare i dati di immatricolazione per fasce di prezzo e confrontarli con i periodi precedenti,
Nella realtà dei fatti parte di quello che l’autore scrive è vero; l’indice di Gini in Italia è aumentato, ma di molto poco, non tale da rendere quell’affermazione robusta, non è e non può essere coi numeri attuali che una vittoria del si, per quel quesito, cambi le cose, neanche in modo trascurabile.
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Sì ma tu sai spiegare come mai adesso ci sono tutti questi bestioni? Come è possibile che ti fermi ad un mangimificio per prendere un sacco di mais e ti si parcheggia vicino un SUV Maserati?
Io ricordavo un pò di anni fa che gli unici SUV da quelle parti erano le Panda 4×4.
Non parliamo delle Porsche Chacan o come ca22o si chiamano, partono da 69.000 euro in sù, cioè di fatto 80.000 circa con un pò di optional.
Negli anni ’80 vedevi una Thema e la prendevi per un macchinone (che era). Quanto costava? Diciamo 20 milioni di lire? Quanto era lo stipendio medio? Diciamo 2 milioni?
Quindi come è possibile vedere delle macchine del genere? Se allora bastavano 10 stipendi, adesso quanti ne servirebbero di ‘medi’ per fare una bestia del genere? A 2.000 euro stiamo a 40 mensilità.
Ma chi se li può permettere?
Io vedo ai discount tipicamente macchinette medio-piccole. Di gente che lavora a 500-1000 euro al mese ce n’é tanta e loro di sicuro non possono fare questi acquisti.
Quindi la domanda è sempre lì: dove vanno tutti ‘sti soldi?
Sarà mica che c’é un pò troppa evasione fiscale in giro?
Io vorrei che ai controlli (inutili) delle FF.OO. su strada si abbinasse l’incrocio con le dichiarazioni dei redditi.
Un gioielliere che dichiara 10.000 euro all’anno (e poi c’ha il Porsche Cayenne) NON SI PUO’ SENTIRE.
Come è possibile che un imprenditore con villa a 3 piani e piscina dichiari meno dei suoi operai?
Ecco, da qui bisognerebbe ripartire.
Lo stesso Tremonti 20 anni fa diceva che è ridicolo che ci siano solo 50.000 ricchi in Italia, del resto con 70.000 auto di lusso immatricolate ogni anno come potrebbe essere possibile una roba del genere?
Secondo me di soldi ce ne sono tantissimi in giro, a me è capitato persino di sentirmi proporre un intervento chirurgico a 1.500 con e 1.200 senza, e parlo di una clinica che poi doveva seguirmi anche dopo.
Quindi di che parliamo?
Di dottori che fanno una visita e si intascano 100 euro senza emettere scontrino? Come si spiega una roba del genere, cosa fanno, denunciano forfettariamente quel che incassano?
Quando vai al bar ti fanno lo scontrino per 1 euro e questi non emettono fattura per 100?
E gli esempi potrebbero continuare.
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MI scuso con i naviganti per essere OT.
Questo è il periodo delle dichiarazioni dei Redditi ebbene ricordate la famosa tassa piatta…si la ricordate dove che guadagna meno paga meno tasse?
E’ una bufala grande come una casa.Consiglio tutti di verificare se è vero perchè le tasse da me pagate lo scorso anno ammontavano a 7.227 € e quest’anno (redditi 2024) 7.525 298 in più …Grazie giovgia.
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