La formula di Giorgia

(di Tommaso Rodano – ilfattoquotidiano.it) – “Vado a votare, ma non ritiro la scheda del referendum”. Con una formula contorta e furbesca, pronunciata durante le celebrazioni del 2 giugno, Giorgia Meloni ha finalmente dichiarato la sua posizione sul voto dell’8 e 9 giugno. La linea del governo non è mai stata in discussione: sabotare la partecipazione. Le parole scelte dalla premier invece sono interessanti: rispetto ad altre figure della maggioranza, come Antonio Tajani e Ignazio La Russa, ha preferito una formula meno chiara, vagamente manipolatoria. Partecipo, ma non voto; mi presento ai seggi e mi risparmio un appello sguaiato e controproducente affinché gli elettori vadano al mare, ma lavoro comunque per l’astensione e per far naufragare i cinque quesiti, che toccano nodi cruciali come lavoro e cittadinanza.
Il tempismo forse non è il massimo. Meloni mostra le sue carte proprio il 2 giugno, durante la festa che celebra l’esercizio democratico per eccellenza: il primo voto a suffragio universale, quello con cui italiane e italiani scelsero la Repubblica invece della monarchia. Anche l’aspetto seccato con cui la presidente del Consiglio risponde alle domande dei giornalisti, a margine della parata, sembra tradire una certa insofferenza.
Le sue parole sono il sigillo ufficiale sul passaparola istituzionale per disinnescare il voto, chiudono idealmente il cerchio aperto dalle prime dichiarazioni, ben più imprudenti, di Ignazio La Russa. Il 9 maggio la seconda carica dello Stato, figura di spicco di Fratelli d’Italia, aveva annunciato il suo impegno per il fallimento dei referendum con questa dichiarazione squillante: “Farò propaganda affinché la gente se ne stia a casa”.
Se non altro, il presidente del Senato ha il dono della chiarezza: a differenza di Meloni, rivendica il boicottaggio attivo della partecipazione al voto. Sul tema la destra è allineata. In modo meno folcloristico hanno fatto campagna per l’astensione anche Matteo Salvini (“Ho due figli che mi vedono poco, il weekend del referendum mi vedranno di più”) e Antonio Tajani (“Il non andare a votare è una scelta legittima e non è vero che sia illiberale, lo sarebbe invece costringere la gente ad andare alle urne per un referendum che noi non condividiamo”).
La strategia della maggioranza si è dipanata a cavallo delle due feste democratiche del 25 aprile e del 2 giugno. Proprio nel giorno della Liberazione, Sergio Mattarella aveva ricordato la figura di Sandro Pertini con parole molto distanti dall’approccio dei rappresentanti del governo: “Non possiamo arrenderci all’assenteismo dei cittadini dalla cosa pubblica, all’astensionismo degli elettori, a una democrazia a bassa intensità”. Non è complicato, tra le righe, leggere il dissenso del Capo dello Stato verso chi invita al disimpegno.
Le dichiarazioni di Meloni hanno riacceso le proteste dei partiti di opposizione. Per Elly Schlein la premier “prende in giro gli italiani” e “invece di dire se è favorevole o contraria ai quesiti, conferma di avere paura del raggiungimento del quorum, perché non ritirare le schede equivale a non votare”. Per Giuseppe Conte “è vergognoso che questo messaggio di astensione arrivi da un presidente del Consiglio il 2 giugno, giorno simbolo di un Paese che sceglie la Repubblica”. Nicola Fratoianni (Avs) accusa Meloni di “prendere in giro gli italiani”, Riccardo Magi di “dare indicazioni confuse”.
Da mesi i promotori dei referendum – associazioni, sindacati, giuristi e partiti – denunciano il boicottaggio silenzioso di Palazzo Chigi e il silenzio complice dell’informazione istituzionale. Il “vado, ma non voto” della presidente del Consiglio è l’ultimo atto della campagna di distrazione.
Che schifo di personaggio. Evidentemente pensa che siano tutti fessi per ricorrere ad un trucco del genere.
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una giocherellona .. c’è sta a pigliare per cu e confondere le acque torbide in cui galleggia
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