Istat, altro che “età dell’oro”: Italia in retromarcia nel 2024. I dati smentiscono la rosea narrazione del governo: solo over 50 al lavoro, meno produttività, giù i redditi, giovani in fuga

(di Roberto Rotunno – ilfattoquotidiano.it) – L’occupazione cresce quasi esclusivamente per gli over 50, le retribuzioni reali sono ancora ampiamente sotto il livello del pre-Covid, la produttività del lavoro è in calo, la povertà assoluta in lieve crescita e tra le conseguenze della crisi salariale c’è l’aumento del numero di persone che rinunciano a curarsi perché le liste d’attesa sono troppo lunghe e non possono permettersi la sanità privata. Come al solito, la migliore “opposizione” alla narrazione del governo Meloni, che da mesi ostenta i record sul lavoro, la fanno i freddi numeri dell’Istat. Ieri, infatti, l’istituto di statistica ha diffuso il rapporto annuale che fotografa la situazione del Paese nel 2024 e racconta con precisione quali pesanti ombre si nascondono dietro quella che da tempo viene presentata come una sorta di età dell’oro.

Tanto per cominciare, l’Istat ricorda che il nostro tasso di occupazione è il più basso tra i 27 Paesi dell’Unione europea e che il tasso di disoccupazione 2024 è stato del 6,5%, quindi nettamente superiore al 5,9% di media Ue. Nel corso del 2024, gli occupati sono cresciuti di 325 mila, ma l’80% dell’aumento è dovuto agli over 50 che registrano +258 mila occupati. Restano ampi i divari tra uomini e donne e tra Nord e Sud. Andando più nel dettaglio delle fasce di età, tra i 55 e i 64 anni l’occupazione è aumentata di 1,7 punti, mentre è calata di 0,7 punti per gli under 24. Più contenuto l’aumento tra i 25 e i 44 anni. Dati che supportano l’idea che dietro la crescita dell’occupazione in realtà ci sia l’aumento dell’età pensionabile, che trattiene sempre più al lavoro la popolazione “anziana”. Inoltre, la crescita occupazionale riguarda solo i più istruiti, quelli con almeno un diploma; calano dell’1,8% quelli con al massimo la terza media. Se da un lato sono aumentati gli occupati a tempo indeterminato e diminuiti quelli a termine, l’Istat fa notare che una quota rilevante dei lavoratori resta comunque vulnerabile: più di un terzo degli under 35 anni e quasi un quarto delle donne presenta almeno una forma di vulnerabilità occupazionale, cioè il contratto a termine o part-time involontario. Il numero reale di disoccupati, inoltre, è di 3,8 milioni, poiché vi sono 1,7 milioni di disoccupati “ufficiali” più altri 2,1 milioni che sono inattivi ma disponibili.

A fronte dell’aumento di occupazione, si è invece ridotta la produttività, calata dell’1,4% per ora lavorata. Questo perché il dato sul lavoro è aumentato più velocemente di quello sul valore aggiunto. Bisogna infatti ricordare che negli scorsi mesi, mentre il governo fingeva di non conoscere il problema, tutti gli osservatori si interrogavano su come fosse possibile che i posti di lavoro crescessero così rapidamente a fronte di performance più lente del prodotto interno lordo. Ancora peggiore la questione sul fronte salari: l’inflazione al consumo (Ipca) è stata pari all’1,1%, molto più bassa delle altre economie europee, e solo per questo le buste paga hanno recuperato solo una parte rispetto alla perdita degli scorsi anni. Su questo recupero, va detto, Giorgia Meloni aveva insistito molto nel suo video celebrativo del Primo Maggio. Tuttavia, tra il 2019 e il 2024, l’inflazione è stata del 21,6% e le retribuzioni sono cresciute solo del 10,1%. Se teniamo in considerazione anche l’effetto degli accordi decentrati e della modifica alla composizione dell’occupazione, la perdita di potere d’acquisto rispetto al pre-Covid è comunque pari al 4,4%. La perdita si è fermata al 2,6% in Francia e all’1,3% in Germania, mentre in Spagna c’è stato un guadagno del 3,9%.

Nel 2024, il 23,1% della popolazione è risultato a rischio povertà o esclusione sociale, dato stabile rispetto all’anno prima; 5,7 milioni i poveri assoluti. Il 9,9% della popolazione ha rinunciato a esami o visite specialistiche soprattutto per via delle lunghe file d’attesa e per la difficoltà a pagare; la rinuncia alle cure è in deciso aumento sia rispetto al 2023 sia rispetto al pre-Covid.

Tra l’altro, nel 2023 c’è stato anche un nuovo slancio di espatri di giovani laureati: 21 mila ragazzi tra i 25 e i 34 anni sono andati all’estero, in aumento del 21,2% rispetto al 2022. La perdita netta di giovani qualificati è di 97 mila in dieci anni, considerando anche i rimpatri.

In pratica, in Italia continua ad aumentare il numero di occupati, e in genere la propaganda governativa si limita a guardare solo quel dato dietro il quale però si cela un’altra realtà. Per conoscerla, basterebbe non fermarsi a leggere la prima riga.