Medicina territoriale in ritardo. Attiva 1 casa di comunità su 50. “Riforma a rilento, troppe disparità tra le regioni”

(di Alessandro Mantovani – ilfattoquotidiano.it) – Se ai tempi del Covid tutti concordavano sul nuovo modello della sanità territoriale, incentrato su Case e Ospedali di Comunità quali strutture intermedie tra l’abbandono e l’affollamento al pronto soccorso, oggi siamo indietro. Come era prevedibile. La Fondazione Gimbe ieri ha diffuso un articolato rapporto che parte dai dati sconfortanti del 31 marzo scorso: sono pienamente operative, ovvero dispongono dei medici e degli infermieri previsti, solo il 2,7 per cento delle 1.717 Case di comunità programmate e nessuno dei 568 Ospedali di Comunità. “A poco più di un anno dalla rendicontazione finale, la riforma dell’assistenza territoriale e l’attuazione del Fascicolo sanitario elettronico procedono decisamente a rilento, con marcate diseguaglianze regionali”, sintetizza Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe. Si rischia di “portare i soldi a casa, senza produrre benefici reali per cittadini e pazienti, lasciando in eredità solo scatole vuote”.
Il problema è il personale. Infatti si ragiona sul prolungamento fino a 73 anni dell’attività dei medici di famiglia, altrimenti i pensionamenti da qui a tre anni rischiano di lasciare scoperta una parte significativa di una popolazione sempre più anziana. D’altro canto è in alto mare anche la riforma della medicina di famiglia, con le organizzazioni di categoria che si oppongono, sostenute da gran parte della maggioranza, al passaggio anche parziale dal regime convenzionale alla dipendenza auspicata dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, che vorrebbe assicurare un maggiore impiego nelle Case e negli Ospedali di Comunità; la carenza di infermieri, come è noto, nel nostro Paese è ancora più grave. Come per le posizioni ospedaliere, non si vede come si possano rendere attrattivi gli impieghi pubblici senza aumentare le retribuzioni. È una situazione che favorisce come sempre la sanità privata, comprese le farmacie che nell’ottica di settori significativi della destra (e non solo) sono destinate ad assumere sempre di più il ruolo di presidi sanitari sul territorio, anche grazie alla telemedicina, con tutto quello che significa in termini di qualità dell’assistenza.
Al 31 marzo scorso, ricorda Gimbe, non c’erano scadenze europee, l’unica scadenza nazionale è stata rispettata. Non si rischia di perdere fondi, ma come osserva ancora Cartabellotta “questi step intermedi vanno monitorati con attenzione, perché ritardi accumulati oggi potrebbero compromettere il rispetto delle scadenze europee di domani”. L’obiettivo raggiunto al 31 marzo riguarda l’assistenza domiciliare: è stato preso in carico un ulteriore 10 per cento della popolazione sopra i 65 anni, con le migliori performance in Molise, Provincia Autonoma di Trento, Umbria e Valle d’Aosta.
Quanto alle Case di comunità, sulle 1.117 previste ce ne sono 485 (il 28,2%) con almeno un servizio attivo, appena 164 (9,6%) dichiarano attivi tutti i servizi ma solo 46 (il 2,7% appunto) hanno anche medici e infermieri necessari. Solo quattro Regioni dichiarano di aver attivato almeno un servizio in oltre metà delle strutture: sono Emilia-Romagna (70,6%), Lombardia (66,7%), Veneto (62,6%) e Marche (55,2%); sei sono tra il 25% e il 50%: Molise (38,5%), Liguria (33,3%), Piemonte (29,5%), Umbria (27,3%), Toscana (26,9%), Lazio (26,5%); le altre sono sotto e tra le Regioni a zero c’è la Campania.
Per gli Ospedali di comunità, strutture destinate a ricoveri brevi per lo più di anziani a bassa intensità clinica, va peggio: c’è almeno un servizio dichiarato attivo in 124 strutture, il 21,8% delle 586 previste per un totale di 2.100 posti letto a regime, circa l’1 per cento di quelli degli ospedali pubblici e privati accreditati. Vanno bene Veneto (43 strutture), Lombardia (25) ed Emilia-Romagna (21), benino Lombardia e Toscana. Ma anche Regioni come Lazio, Campania e Piemonte sono a zero. E comunque, “nessuna Regione ha attivato tutti i servizi previsti”. Per essere pienamente operativi gli Ospedali di comunità devono garantire 4,5 ore almeno di presenza medica al giorno sei giorni su sette e gli infermieri h24 sette giorni su sette.
”È una situazione che favorisce come sempre la sanità privata, comprese le farmacie che nell’ottica di settori significativi della destra (e non solo) sono destinate ad assumere sempre di più il ruolo di presidi sanitari sul territorio, anche grazie alla telemedicina, con tutto quello che significa in termini di qualità dell’assistenza.”
E quindi? È proprio questo il risultato al quale lavorano attivamente destre e sinistre da almeno 30 anni, il PD ha fatto capolavori nel chiudere ospedali pubblici e depotenziare l’assistenza dei medici di famiglia.
La strada che seguiamo è quella Iuessei: assistenza sanitaria privata; assicurazione privata; taglio del welfare e dei servizi pubblici; armi.
Tu vo’ fa l’americano
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Ma facciamo finta di non capire o cosa? La situazione sanitaria è voluta, specialmente con questo governo e come dice EI H, è assolutamente palese che si va verso la sanità privata: se hai l’assicurazione bene altrimenti puoi anche schiattare, che tanto sei un poveraccio e con te non ci guadagniamo niente.
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Se hai l’assicurazione bene?
Contento tu…
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non credo che si stia esprimendo felicità al riguardo, si tratta semplicemente di comunicare un dato di fatto.
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Come ha detto anche EI H stavo semplicemente constatando la direzione presa. Forse mi sono espresso male, ma io non sono affato contento di questo andazzo, è uno schifo come tutto il resto, ma non vedo cambiamenti all’orizzonte anzi, sembra proprio che dovremo prepararci al peggio.
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