La minoranza dem per il non voto sui quesiti sul lavoro

(di Wanda Marra – ilfattoquotidiano.it) – Tutti pronti a schierarsi per il sì al referendum sulla cittadinanza, mentre sul Jobs Act regna la confusione nel variegato mondo dei riformisti del Pd. Elly Schlein ha dato indicazione per 5 sì, ma la minoranza da subito ha detto che non era possibile votare contro una delle riforme simbolo del governo Renzi, alla quale mezzo partito aveva detto sì. Poco importa che in realtà quella riforma sia stata in gran parte smontata dalla Corte costituzionale. Ieri, però, si è capito che la minoranza è orientata per diverse sfumature di no. L’area più vicina a Stefano Bonaccini è intenzionata a dire sì al quesito sulla responsabilità dell’impresa committente e di non votare gli altri tre sul lavoro (i due sul Jobs Act e quello sulla precarietà). Alcuni di Base Riformista (che pure è confluita nella bonacciniana Energia popolare) restano per i 4 no e un sì, così come i Liberal di Libertà Eguale. I no, però, vanno interpretati: qualcuno ritirerà la scheda, qualcuno non lo farà. “Andrò a votare, ma non voterò per l’abrogazione del Jobs Act”, dichiara in diretta radio la deputata dem ed ex ministra del governo Renzi, Paola De Micheli. Poco dopo, arriva anche il punto di vista del sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, che non è iscritto al Pd ma in questi mesi gioca un ruolo da playmaker del centrosinistra in Campania. “Sostengo il referendum sulla cittadinanza” ma sul Jobs Act mi asterrò”, lasciando intendere che voterà scheda bianca. Renzi, che sta facendo una campagna quotidiana, invita al sì sulla cittadinanza e al no su tutto il resto. Un no chiaro, che significa dare una mano al quorum. Al momento lontanissimo, ma che è la vera battaglia. La minoranza dem appare più renziana di Renzi, nonostante il coordinatore, Alessandro Alfieri, cerchi di gettare acqua sul fuoco: “Ognuno voterà liberamente secondo coscienza e coerenza rispetto al proprio percorso”. Per dirla con Cecilia Guerra, deputata del Pd, già viceministro del Lavoro nel governo Letta: “Il sospetto è che la posta in gioco sia un’altra, non il merito”. Nel Pd a battere il territorio per i 5 sì sono soprattutto lei, Marco Sarracino, Arturo Scotto. Qualche iniziativa importante qua e là si vede, come quella in Sicilia di Peppe Provenzano. Ma più che i parlamentari sono le Federazioni che lavorano. Anche loro, non senza distinguo.

Schlein si è fatta votare la linea in una direzione dem del 21 febbraio (nella quale la minoranza non ha partecipato al voto). L’idea era quella di convocare un’Assemblea a metà maggio per spingere all’angolo i riformisti. Ma al momento, la segretaria pare più intenzionata a rimandare il redde rationem, magari in un congresso a inizio 2026. Se i referendum dovessero fallire, lei punterà comunque a ribadire che si trattava della battaglia di Maurizio Landini, non della sua.

Oggi pomeriggio, intanto, il segretario della Cgil farà un dibattito con la ministra del Lavoro spagnolo Yolanda Diaz, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni. Avs è per 5 sì, senza i distinguo di Conte (che sulla cittadinanza ha lasciato libertà di coscienza) e i tormenti dem.