
(Walter Galbiati – repubblica.it) – Molto probabilmente non lo ammetterà mai, ma il premier spagnolo Pedro Sanchez sa benissimo che i motivi del blackout che hanno messo in ginocchio il Paese sono da ricondurre al modello elettrico spagnolo, costruito su una abbondanza di fonti rinnovabili (e questo è un bene), ma con due grandi limiti.
1) Un sistema inadeguato che non dispone dei sistemi per gestire il paracadute offerto da centrali a gas, idroelettriche e tutte quelle fonti programmabili necessarie a intervenire in caso di crisi; 2) una rete che necessita di grandi investimenti che la rendano più moderna ed adeguata alle fonti intermittenti.
La necessaria corsa alle rinnovabili. In Europa la Spagna ha sviluppato più di tutti la produzione da fonti rinnovabili, con una conseguente diminuzione della generazione da fonti termiche.
Vantaggioso, ma imprevedibile. Si tratta di un passaggio ambientalmente ed economicamente vantaggioso per tutti, ma che per essere gestito ha bisogno di un sistema che sappia attutire gli sbalzi delle fonti rinnovabili non programmabili.
La duttilità del gas. A differenza delle centrali a gas che possono essere accese e spente come un fornello, l’energia che arriva dal fotovoltaico e dall’eolico non è regolabile e dipende dalle condizioni atmosferiche.
L’eccezione. L’unica fonte rinnovabile gestibile è l’idroelettrico perché il flusso di acqua può essere fermato o liberato a seconda della necessità.
Come funziona la rete. La variabilità delle fonti rinnovabili deve essere gestita bene. Se nella rete entra troppa energia, la rete scoppia. Se ne entra poca, cede. E’ un po’ come la pressione nel corpo umano o l’acqua nelle tubature.
Per essere in equilibrio la rete deve quindi avere una frequenza stabile compresa tra 47,5 e 51 Hz. Diversamente avviene un blackout.
La situazione della rete spagnola al 28 aprile. Nei giorni precedenti il 28 aprile si stavano già verificano forti oscillazioni di frequenza e quel giorno la situazione in entrata della rete spagnola era la seguente: 18.000 megawatt provenivano da impianti fotovoltaici, 3.500 dall’eolico, 3.000 dall’idroelettrico, 3.000 dal nucleare, 2.000 da autoproduzione, 1.500 dal termico e 1.000 dal gas per un totale di 32mila megawatt.
I consumi, invece, erano concentrati per 25.000 megawatt in Spagna, mentre venivano esportati 3.000 in Portogallo, 2.000 in Francia, 1.000 tra Baleari e Marocco e il restante per il pompaggio dell’idroelettrico.
Il peso delle rinnovabili. Da questi numeri si capisce bene come il 28 aprile le fonti rinnovabili pesassero per il 79,6% della produzione di energia, molto, ma non qualcosa di insostenibile se il sistema avesse avuto a disposizioni dei freni sufficienti per gestire le oscillazioni di frequenza.
Il modello spagnolo. Quanto alle rinnovabili, il sistema spagnolo prevede che siano energie Must run, ovvero che debbano essere messe a ogni costo nel sistema perché per il consumatore finale comportano una riduzione notevole del prezzo.
E in un sistema di questo tipo può succedere che i produttori di energia che utilizzano centrali a gas preferiscano tenerle spente piuttosto che farle lavorare in perdita, perché non possono competere con i prezzi delle rinnovabili: a quelle condizioni non verrebbe nemmeno coperto il loro costo di produzione.
Senza freni. Il risultato è che senza le centrali di regolazione (a gas, idroelettriche, ecc.) che garantiscono un apporto costante – e di emergenza – e senza una rete adeguata per gestire le oscillazioni per esempio attraverso i compensatori capaci di regolare la frequenza, può succedere quello che è accaduto il 28 aprile.
Il gestore non sapeva cosa stava accadendo. La rete non è stata all’altezza della situazione. Di certo, sarebbe servita una maggiore digitalizzazione: chi l’ha gestita nei giorni dell’emergenza non riusciva a rintracciare ben il 40% della produzione da rinnovabile. Non sapeva quindi cosa stava accadendo in rete.
Il blackout. Nel momento in cui l’oscillazione non è stata più gestita, è arrivato il blackout, perché gli impianti si sono staccati autonomamente dalla rete per evitare danni. Si sono scollegati 15mila MW prodotti da impianti fotovoltaici e le stesse centrali nucleari hanno attivato le procedure di emergenza, lasciando il Paese senza elettricità.
Parte piano. La ripartenza poi è stata più lenta, perché riavviare le centrali nucleari o le rinnovabili che non ripartono a comando è più laborioso rispetto a riaccendere le centrali a gas, che possono essere riattivate in tempi brevi se sono ‘calde’ (quindi accese anche se non a pieno regime). In questo caso erano addirittura ‘fredde’ e quindi con tempi di reazione lunghi.
La sicurezza. Non c’è dubbio che la transizione verso le fonti rinnovabili debba procedere spedita, ma va gestita in sicurezza. E forse non si può ancora lasciare spenta – guardando solo ai prezzi e non alla tenuta generale del sistema – la duttile produzione a gas, rimanendo senza un paracadute in caso di criticità.
Le fonti programmabili. Oggi accanto a solare ed eolico servono ancora le fonti ‘programmabili’ che possono essere gestite a comando (impianti termici ma anche l’idroelettrico con pompaggi e batterie) e una rete sempre più moderna ed efficiente.
Lo sviluppo della rete. L’ammodernamento della rete passa dagli investimenti che nel settore elettrico sono remunerati in bolletta. Il sistema tariffario spagnolo, tra l’altro, prevede un Cap sugli investimenti e, per questo, vanno programmati e gestiti secondo una attenta calendarizzazione.
Il dilemma. Se l’energia viene pagata poco (e in Spagna il costo al megawattora è tra i più bassi tra i grandi d’Europa), le aziende energetiche lamentano la mancanza di capitali per investire. Ma se costa tanto si lamentano i consumatori. Il costo del blackout è stato calcolato in 40 miliardi. Ora, quanti blackout all’anno si può permettere un Paese?
La soluzione sta nel mezzo: non si possono penalizzare troppo i consumatori, ma nemmeno si possono fermare gli investimenti che sono fondamentali per una transizione sicura. Parte da qui il compromesso che deve trovare Sanchez.
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Anni fa qualcuno ha SABOTATO i gasdotti dalla Russia, ha sanzionato l’acquisto del gas russo. Di fatto, sono stati favoriti altri venditori di gas. Oggi, un articolo di giornale ci spiega che anche di fronte a un grosso impegno per le rinnovabili e a un basso costo per gli utenti , occorre avere più centrali a gas. Abbiamo capito: 2 +2 = 4. A chi giova il blocco elettrico in Spagna ?
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Ti consiglio di rileggere l’articolo; quando lo hai capito rifai il commento.
Cosa c’entra il funzionamento delle centrali a gas col gas russo? Le centrali a gas funzionano solo col gas russo?
Dall’articolo ti risulta che le centrali a gas non siano state messe in servizio per mancanza di gas russo o proveniente da altre parti?
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Egregio lionetc.ra, nel ringraziarti del consiglio controvoglia ti replico. Il gas russo costava e costa di meno di quello di altre provenienze ( Usa, ad esempio). Pertanto, le sanzioni e il sabotaggio dei gasdotti impongono un maggior esborso da parte di aziende e famiglie. Spero di essermi spiegato e di averti chiarito il legame tra le centrali a gas e il gas russo: con quest’ultimo la produzione delle centrali stesse costava di meno agli utenti, con il gas di altre fonti NO.
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Che il gas russo costi meno di quello proveniente da altri posti è indubbio.
Il punto è che le centrali a gas in Spagna andavano a regime ridotto o non andavano affatto proprio perché hanno sostituito la produzione di energia da fonti fossili con quella prodotta da rinnovabili.
Nel fate questo passaggio si sono dimenticati di prevedere dei sistemi di accumulo.
Quindi la domanda o l’invito a rileggere l’articolo è: il problema che si è presentato nella penisola iberica è il costo del gas dovuto alle sanzioni alla Russia come tu scrivi, o la mancanza di sistemi di accumulo dell’energia da fonti rinnovabili?
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Beh, arrivare ad una conclusione non è poi così difficile! Sanchez sta lavorando bene, è un bravo primo ministro, chi è contro e ha potere, ovviamente vuole screditarlo e questa è una manovra fatta apposta! È una delle poche gestioni di centro sinistra ormai rimaste la devono far saltare! Se non c’è lo zampino di qualche ultramiliardario mi sembrerebbe strano!! Senza fare nomi eh!
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Avendo passato la vita professionale con l’ elettricità e l’ elettronica , non sono riuscito a capire cosa c’entra la frequenza della rete con il black out. La potenza generata e quella consumata ovviamente c’entrano e come nonché la necessità di equilibrare il sistema per non andare in eccesso o in difetto. Tuttavia, bisogna che ci si metta d’accordo su cosa è bene e cosa è male fare . Se si crede nel grande pericolo dovuto ai cambiamenti climatici allora bisogna correre qualche rischio nell’ adottare nuovi sistemi di produzione energetica . Ma se dopo averci terrorizzato per trent’anni con l’ effetto serra , un bel giorno di decide di lasciare stare i piani di riduzione dei consumi dei carburanti fossili produttori di CO2 per concentrarsi sul riarmo, allora non ho capito a che gioco abbiamo giocato e quale stiamo giocando.
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Articolo incomprensibile, che non sa e non spiega nulla in modo serio.
Sembra solo suggerito per sparare contro le rinnovabili ( ” messe ad ogni costo nel sistema.. attutire gli sbalzi delle fonti rinnovabili non programmabili…. forse non si può ancora lasciare spenta – guardando solo ai prezzi e non alla tenuta generale del sistema – la duttile produzione a gas … ” )
ma va a ciapà i ratt …
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No, l’articolo non è contro le rinnovabili, ma ne mette in luce alcuni limiti che sono oggettivi le rinnovabili per loro natura non sono programmabili, sono soggette a fluttuazioni.
Per limitare l’effetto di queste fluttuazioni servono dei sistemi tampone,capaci di immagazzinare energia quando c’è un eccesso di produzione e di rilasciarla quando c’è carenza.
Questo è il motivo per cui negli impianti fotovoltaici per uso privato ci sono le batterie dette appunto tampone.
Si può fare un impianto fotovoltaico privato senza le batterie tampone?
Si, si può fare ma ci si espone alla variabilità della fonte.
Ora una cosa è stabilire se privatamente si vogliono installare o no le batterie tampone, altro è farlo per forniture a livello nazionale.
Pet forniture a livello nazionale devono essere utilizzati tamponi di ben altra natura che non siano le batterie; mi riferisco ai tamponi idraulici o ai tamponi ad aria compressa (sul web puoi trovare gli argomento, non faccio la spiegazione)
Sta cominciando a nascere anche l’uso dell’idrogeno come fonte di accumulo
A quanto riporta l’articolo sembra che in Spagna i sistemi di accumulo siano carenti e questa la mancanza che si imputa al sistema spagnolo.
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“La ripartenza poi è stata più lenta, perché riavviare le centrali nucleari o le rinnovabili che non ripartono a comando è più laborioso rispetto a riaccendere le centrali a gas, che possono essere riattivate in tempi brevi se sono ‘calde’ “. Non mi risulta. Nel senso che la centrale nucleare una volta spenta per essere riavviata ha bisogno di giorni, una centrale FTV – se il black out succede di giorno, come è stato il caso in Spagna, viene riavviata “a comando”. Quindi l’autore dovrebbe rivedere le sue fonti d’informazione.
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