Se Netanyahu nega anche il cordoglio

(Elena Loewenthal – lastampa.it) – La morte non è cosa sacra, mai. Ma merita rispetto e dignità attraverso l’unico strumento che abbiamo per scendervi a patti: la memoria. Il gesto simbolico, ma neanche tanto, del governo israeliano, che ha negato e imposto di negare alle sue rappresentanze di tutto il mondo il cordoglio per papa Francesco, è tanto insensato quanto incomprensibile. Di fronte a una morte, foss’anche quella del Papa, non tengono più ragioni né politiche né teologiche e tantomeno umane. Ammessa pure la mancata condivisione di quel dolore che tutto il mondo cattolico prova in queste ore, ammessa pure qualcosa di più – o di meno, a seconda dei punti di vista – e cioè una certa indifferenza versi questo dolore e questo evento che coinvolge milioni di persone, questo gesto quasi plateale del governo israeliano, o meglio del suo primo ministro e di quello degli esteri lascia quanto meno perplessi. Il presidente d’Israele Herzog, dal canto suo, non ha fatto mancare il suo messaggio di cordoglio. Cancellare le condoglianze per il papa non ha senso, non serve a nulla, non comunica altro messaggio che un risentimento senza parole. Anche se in Israele si stanno vivendo momenti concitati di uno scontro interno che pare sempre più all’apice e al tempo stesso sempre più in pericoloso stallo, e i titoli di testi dei media locali sono su questo focalizzati, negare le condoglianze a papa Francesco non fa del bene a nessuno, dentro e fuori Israele, né può essere interpretato come manifestazione di una schiettezza allergica a ogni forma di ipocrisia, persino di fronte alla morte di un papa. È un silenzio che rimbomba male, questo mancato cordoglio.

Al di là di questo particolare momento e dell’inopportuno silenzio che Netanyahu ha imposto alle delegazioni israeliane nel mondo – suscitando non poche proteste e critiche pesanti da funzionari e personalità della politica – resta aperta una questione ben più complessa e cruciale: quella dei rapporti ebraico cristiani, e in particolare con il mondo cattolico. Negli ultimi sessant’anni questi rapporti hanno attraversato uno straordinario, epocale capovolgimento. A partire da papa Giovanni e dal documento Nostra Aetate e passando per il viaggio di poche centinaia di metri e millenni di storia che portò papa Wojtyla a varcare la porta della sinagoga di Roma per andare a trovare i fratelli maggiori, tutto è cambiato in questi pochi decenni. Molto cammino resta ancora da fare, ebrei e cattolici insieme, nella consapevolezza che il dialogo interreligioso esige reciproco rispetto di quel mistero che è la fede. Molto cammino resta da fare nello scambio di sguardi e parole, nella condivisione di una memoria così difficile, così impervia e crudele a volte. Fors’anche per via dei passi da gigante che in questi ultimi decenni sono stati fatti dalla Chiesa cattolica verso i cosidetti “fratelli maggiori” (e nonostante il fatto che questa in lusinghiera definizione possa essere avvertita una punta di disagio da parte del popolo ebraico, perché nella storia biblica delle origini i fratelli maggiori sono puntualmente scartati, sono come dei rami secchi senza futuro) con Papa Francesco c’è stata come una battuta se non di arresto certo di rallentamento. Il dialogo non s’è interrotto ma come assopito, come se il grosso ormai fosse fatto. Ed è fors’anche a causa di questa specie di stallo se non sono mancati i malintesi di ordine politico e il mondo ebraico in Israele e fuori non ha sentito abbastanza vicina a sé la Chiesa, all’indomani del 7 ottobre.

Ciò detto, se il silenzio ufficiale del governo israeliano in morte del Papa è una mossa più che inopportuna che non fa del bene a nessuno e nuoce a tutti, non resta che sperare in un cammino di dialogo che può e deve proseguire, per il futuro di tutti.

Mistero sui messaggi di cordoglio censurati delle ambasciate israeliane, ma il capo-missione a Roma omaggia il Papa

Il silenzio di Netanyahu. Il premier israeliano non porge le condoglianze dopo la morte del Pontefice

Pope Francis' visit to Israel in 2014

(Fabiana Magrì – lastampa.it) – Se il silenzio assoluto del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva già fatto inarcare più di un sopracciglio tra i commentatori internazionali, la notizia che il ministero degli Esteri dello Stato ebraico abbia addirittura diramato una direttiva alle sue missioni diplomatiche nel mondo per vietare qualsiasi forma ufficiale di cordoglio per la morte di Papa Francesco ha innescato una polemica più esplicita, a partire dagli stessi media israeliani e dal mondo diplomatico dello Stato ebraico.

Ynet, il sito di notizie del quotidiano mainstream Yedioth Ahronoth, il più diffuso in Israele, ha evidenziato l’indignazione di alcuni funzionari israeliani, soprattutto quelli in servizio nelle ambasciate presso i Paesi cattolici. In alcuni casi, secondo quanto riporta Ynet, Gerusalemme avrebbe imposto la cancellazione di messaggi di condoglianze già postati «per errore». Ma, evidentemente, non all’ambasciatore israeliano in Italia, Jonathan Peled che ieri ha condiviso sulla piattaforma X, «a nome dell’Ambasciata di Israele in Italia», l’unica dichiarazione istituzionale, quella del Presidente israeliano Isaac Herzog. E ha aggiunto: «È stato un leader compassionevole, che ha incessantemente promosso il dialogo, la pace e la giustizia».

Il quotidiano liberal Haaretz ha interpretato il silenzio «ufficiale» da parte del governo di Israele – nelle persone del premier Netanyahu e del suo ministro degli Esteri Gideon Saar – come culmine del deterioramento nelle relazioni tra il Pontefice e il mondo ebraico. Inizialmente calorose, si sono deteriorate a causa delle critiche di Francesco alle operazioni israeliane nella Striscia. Una posizione condivisa dal quotidiano online The Times of Israel che ha riconosciuto l’impegno del Papa in Terra Santa e a favore del dialogo interreligioso ma ha anche sottolineato il «retrogusto amaro» delle sue ricorrenti dichiarazioni post 7 ottobre.

A compiere un passo ancora più estremo di quello del governo è l’ex ambasciatore di Israele in Italia, il giornalista e sostenitore fedelissimo di Netanyahu, Dror Eydar. Nel suo editoriale per il freepress vicino al premier, Israel Hayom, ha pubblicato un appello a non inviare un rappresentante al funerale di Francesco. «Questo Papa – scrive l’ex capo missione – ha svolto un ruolo considerevole nell’alimentare l’ondata di antisemitismo in tutto il mondo dal 7 ottobre». Ripercorre la critica a Bergoglio per aver «messo in dubbio che Israele stesse commettendo un “genocidio” a Gaza» e paragona « il suo livello di antisemitismo» con quello di Papa Pio XII «che rimase in silenzio durante gli orrori dell’Olocausto».

Più “diplomatica” è la posizione dell’ex ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Raphael Schutz, che a La Stampa ha definito «un errore» il comportamento di Gerusalemme. «Ciò che in Israele è percepito, giustamente, come una presa di posizione o una politica del Vaticano – sostiene – non dovrebbe giustificare la mancanza di rispetto verso una figura religiosa di rilievo mondiale né essere utilizzato per aggravare le divergenze politiche». Le dichiarazioni del Papa, in sostanza secondo l’ex ambasciatore, «meritano una forte condanna» ma ora stiamo parlando «anche di una guida spirituale per oltre un miliardo di persone, quasi il 20% dell’umanità. Non credo che il silenzio trasmetta il messaggio giusto».

Questa deve essere stata anche la riflessione di Pechino. Sebbene dopo un riserbo durato oltre 24 ore, perfino la Cina ha espresso un messaggio formale, per quanto sobrio, di cordoglio per tramite del portavoce del ministero degli Esteri, che riflette la complessa e delicata natura del rapporto tra Pechino e la Santa Sede.

Se Netanyahu sia stato invitato al silenzio anche da parte di partiti e di elementi rappresentativi di un estremismo religioso all’interno della sua coalizione di governo, è un’ipotesi che l’ex ambasciatore Schutz non esclude. È vero che Israele ha rapporti con Paesi musulmani ma, continua il diplomatico, «per alcune frange religiose dell’ebraismo, la cristianità può rappresentare una sfida maggiore rispetto all’Islam».

Il funerale del Papa è previsto per sabato mattina, in pieno shabbat. Circostanza che giustificherebbe l’assenza di un rappresentante dello Stato ebraico. Ma Schutz ritiene che Israele dovrebbe, e potrebbe trovare il modo, di inviare un delegato, nonostante tutto: «Lo raccomanderei».