Meloni a Washington, mediazione per il vertice Trump-von der Leyen. La premier sarà ricevuta alle 18 ora italiana alla Casa Bianca. Tenterà di convincere il presidente ad aprire un confronto diretto con il vertice della Commissione. Un nuovo patto per Kiev

Meloni a Washington, mediazione per il vertice Trump-von der Leyen

(Tommaso Ciriaco – repubblica.it) – Washington – Alle 14.36 il volo 9002 dell’aeronautica militare atterra a Camp Spring. Sorvolando l’Atlantico, Giorgia Meloni ha avuto modo di rileggere i report sconvolgenti arrivati da Bruxelles. In uno, si dà conto dell’incontro tra il commissario al commercio Maros Sefcovic e il suo omologo dell’amministrazione americana. Mentre l’europeo parlava, l’altro si limitava a prendere appunti. L’unica frase pronunciata, al termine del colloquio: «Devo riferire al presidente, vi faremo sapere».

Ecco, proprio di questo la premier ha discusso con Ursula von der Leyen, prima di imbarcarsi per Washington Dc. E questo nodo porterà oggi nello Studio ovale, parlando con Donald Trump: «Dobbiamo aprire un tavolo tra Stati Uniti ed Europa – dirà – e l’unico modo per farlo è favorire un formato di massimo livello». Significa: devi trattare con Ursula.

Trump, si sa, neanche rivolge la parola alla presidente della Commissione. Semplicemente, non la considera un’interlocutrice. Non la riconosce per indebolire l’Europa. Del problema, Meloni ha ragionato due sere fa con i due vicepremier a Palazzo Chigi. Riconoscendo lo stallo del momento, in questi termini: Washington sostiene che tratta solo con Bruxelles, Bruxelles che vuole mediare con Washington, ma questo dialogo non decolla. Ecco perché la presidente del Consiglio ha assicurato a von der Leyen che con Trump fisserà un paletto chiarissimo: non vengo qui con un mandato europeo a chiudere accordi, ma sono impegnata a favorire un tavolo di massimo livello tra Commissione e Casa Bianca sulle barriere doganali.

È una rassicurazione fondamentale che la presidente del Consiglio ha offerto alla politica tedesca, allarmata dalla volontà del presidente Usa di escluderla dalle negoziazioni. Non sarà facile. Ne è consapevole la premier, lo sa benissimo anche Ursula, scettica sulla probabilità di un patto con Trump. È la ragione per la quale Bruxelles ha praticamente pronto un secondo pacchetto di dazi. E perché sta limando un terzo blocco di misure contro gli Stati Uniti. Tra questi, misure durissime contro le big tech. Di più: von der Leyen sta preparando un viaggio in Cina per il prossimo luglio. E volerà anche a Singapore e in altri Paesi asiatici, in modo da aprire un canale con i mercati alternativi. Su Pechino, invece, Meloni si mostrerà cauta. Ritiene pericoloso lo scenario in cui i cinesi – a causa dei dazi americani – riversano molte delle merci destinate agli Stati Uniti verso l’Europa. L’Italia vuole dunque capire cosa chiede l’amministrazione Usa. E se ha in mente di arruolare Bruxelles nella battaglia doganale contro Xi Jinping. Si farà portavoce di un’area di libero scambio transatlantico, ma potrebbe invece non andare oltre l’opzione di fissare un prezzo minimo sui prodotti che arrivano dal Dragone.

Che i dazi allarmino lo si intuisce anche dalla strategia mediatica adottata nelle ultime ore dalla premier. Quando è già in volo per gli Stati Uniti, l’ufficio stampa diffonde due video-messaggi. Il primo è rivolto al consorzio per la tutela del Grana Padano. «La nostra priorità è sempre stata quella di facilitare l’accesso dei produttori ai mercati, riducendo le barriere». E ancora: «In questa fase tanto complessa è necessario ragionare con lucidità, lavorare con concretezza e pragmatismo. Tra le tante incertezze di questo tempo posso offrirvi questa certezza: l’unica cosa che abbiamo a cuore è fare l’interesse dell’Italia» e «siamo determinati a proteggere i nostri prodotti». Concetti simili a quelli consegnati a Federturismo.

Naturalmente, non solo di dazi vivrà il colloquio di Washington. Meloni intende ottenere da Trump l’impegno a partecipare alla conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina che si terrà in estate in Italia. E porterà al tycoon un piano abbastanza dettagliato per offrire garanzie di sicurezza a Kiev. Il principio è quello già annunciato: una specie di articolo cinque, sul modello della Nato. Come? I paesi “volenterosi” che decidono di accettare il principio sigleranno patti bilaterali con l’Ucraina (per evitare una duplicazione dell’alleanza atlantica). Difesa reciproca, ovviamente, visto che l’esercito di Zelensky è tra i più forti d’Europa. La proposta spinge anche per includere gli Usa, almeno come garanzia ultima in caso di aggressione. In questo schema di gioco si inserisce anche la rassicurazione che fornirà su un immediato raggiungimento del 2% di spese militari per la Nato (quanto al 3,5%, potrà limitarsi a promettere progressività).

Infine, gli eventuali accordi bilaterali. L’Italia potrebbe incrementare gli acquisti di gas liquido dagli Stati Uniti ed è disponibile a favorire gli investimenti di Leonardo e Fincantieri negli Usa. Disponibile pure a valutare le forniture di F-35, da anni al centro di un lungo braccio di ferro politico.