La ex Simmel Difesa vicino Roma. Polveriera. A 50 chilometri dalla Capitale sono state prodotte bombe e mine dal 1912. Ora l’industria ha nuova linfa, nella Valle del Sacco devastata da decenni di inquinamento

(di Tommaso Rodano – ilfattoquotidiano.it) – A Colleferro sono arrivate prima le armi, poi la città. Nel 1912 l’Italia combatteva in Libia, sullo sfondo si allungavano le ombre della Grande Guerra. In questa conca a 50 chilometri da Roma, protetta dai monti Lepini, Simbruini ed Ernici, il governo decise che sarebbe sorta una grande fabbrica di esplosivi. La Bombrini Parodi Delfino (BPD) si insediò al posto di uno zuccherificio. La zona era ideale, ben collegata alla Capitale e irrigata dal fiume Sacco, valvola di sfogo degli scarti industriali. Colleferro quindi fu prima officina e poi paese: il Comune è arrivato oltre 20 anni dopo lo stabilimento, nel 1935. Non sono solo ricordi, ma cronaca di questi giorni: il riarmo europeo ha riacceso i riflettori sulla Valle del Sacco; arriveranno fondi per rivitalizzare una produzione che sembrava superata. L’ultimo capitolo di una storia di guerra.
Grazie alla BDP e alle industrie eredi, le armi prodotte a Colleferro hanno attraversato i conflitti del Novecento e del nuovo millennio. “Qui sono state prodotte alcune delle peggiori schifezze che hanno alimentato le guerre di mezzo mondo”. Alberto Valleriani le elenca mentre ci guida nella città: “Cluster bombs, mine antiuomo, vettori per armi chimiche”. Valleriani è il presidente di Retuvasa (Rete per la tutela della Valle del Sacco), il comitato civico che ha difeso uno dei territori più inquinati d’Italia: la fabbrica di esplosivi è stata il primo tassello di un’industria che per un secolo ha dato lavoro e tolto salute.
In principio c’era appunto la BDP. Antonio Boschi oggi è sindacalista dello Spi Cgil di Roma Castelli, ma allo stabilimento ha dedicato gli anni più intensi della sua vita. Li ricorda bene: “Sono entrato nel 1969, qui l’industria era tutto. La Bdp dava il pane a oltre 3mila operai e con l’indotto faceva lavorare decine di migliaia di persone”. La fabbrica era una polveriera: “Gli incidenti erano frequentissimi, bastava una scintilla”. Il più clamoroso fu nel 1938, quando lui ancora non c’era: uno scoppio nel reparto tritolo causò un disastro immane, 60 morti e oltre 1500 feriti. “Ancora negli anni 80 – dice Boschi – le condizioni sanitarie erano tragiche, girava una sostanza simile all’amianto, tanti compagni si ammalavano. Io ero convinto di non arrivare ai 60 anni”. Poi c’era il dilemma etico: “Io lavoravo alla produzione dei Firos, i razzi venduti a Saddam Hussein e usati contro l’Iran. Erano lunghi due o tre metri, con una testa cava. Noi sapevamo che alcuni poi venivano riempiti in cima, nell’ogiva, con esplosivi chimici. Ma non qui”. Colleferro forniva il vettore, l’involucro, le testate letali erano rifinite altrove. “Nei confronti della fabbrica avevamo un sentimento difficile. Ho cresciuto la mia famiglia con quello stipendio. Ma capivo bene cosa creavo lì dentro”.
Tra gli anni 80 e 90 la BDP passa di mano, viene assorbita prima nel gruppo Snia Viscosa, poi per una breve stagione dalla Fiat. Cambiano i modi di produzione, diminuisce ferocemente la forza lavoro impiegata, l’industria bellica di Colleferro si ridimensiona. Dopo il 2000 l’eredità viene raccolta dalla Simmel Difesa. La fabbrica sorge a circa 3 chilometri dal centro abitato, è circondata da reti invalicabili e messaggi che invitano a girare al largo. Le manifestazioni e le costanti attività di documentazione e trasparenza promosse da Valleriani e da Retuvasa hanno fatto sigillare i rapporti con l’esterno: prima la Simmel si poteva visitare una volta al mese, dal 2004 (dopo le proteste contro le bombe a grappolo) l’accesso al pubblico è chiuso. Dopo una serie di altri passaggi di proprietà, l’ex Simmel oggi è controllata dal gruppo franco-tedesco KNDS. Gli impiegati sono meno di 160, ma a Colleferro si fabbricano ancora – ufficialmente – spolette, munizioni, granate, teste per missili e razzi. E i nuovi venti bellici hanno riacceso l’interesse sulla città: la KNDS Ammo Italy Spa è la capofila di un progetto che attinge ai fondi della difesa europea per circa 41 milioni di euro. L’acronimo del piano è ROLLO, per esteso “PROduction of ModuLar charges with TripLe and Double base PrOpellant”: si produrranno cariche propellenti modulari per sistemi di artiglieria. Un piano che riguarda anche Anagni: la fabbrica “ex Winchester” (oggi KNDS) è deputata alla “demilitarizzazione”, lo smantellamento e il recupero di materiali bellici, ma con i nuovi fondi tornerà a produrre nitrogelatina, un esplosivo a base di nitroglicerina (da trasportare proprio a Colleferro). “La riconversione delle industrie belliche – commenta amaro Valleriani – da noi si fa al contrario: anche la fabbrica demilitarizzata ritorna a fare armi”.
Il destino di questa città è scritto nella toponomastica: le strade si chiamano ancora via degli Esplosivi, via della Polveriera, via della Chimica. I nomi, come certi rifiuti tossici, resistono ai cambi d’epoca. Chi vuole conoscere Colleferro deve infilarsi in un “horror tour” attraverso l’area industriale parzialmente dismessa, il cementificio, due inceneritori di rifiuti (ora chiusi), altrettante discariche, la KNDS e l’Avio (che produce soprattutto motori per razzi e propulsioni per satelliti). Il prezzo pagato dal territorio è devastante: il Sacco è stato avvelenato per decenni da scarichi chimici, reflui industriali, fusti tossici, residui bellici. Nel 2005 Colleferro e altri otto comuni (tra cui Segni, Gavignano, Paliano, Anagni) sono stati dichiarati Sito di Interesse Nazionale per bonifica ambientale a causa delle contaminazioni dei composti tossici persistenti nel suolo, nelle falde e nel fiume. Le priorità di questi luoghi, in guerra secolare contro il disastro ambientale, non sono le armi.