Il costituzionalista: «Mi sorprende che a rifiutare le truppe in Ucraina non sia il 100% degli italiani. Dubito che Crosetto trovi 40 mila nuovi soldati. Ma non sostengo una resa con cessioni territoriali a Putin»

Zagrebelsky: “Temo chi parla di truppe. Francia e Germania non sono credibili”

(Filippo Femia – lastampa.it) – «Il riarmo della Germania mi fa paura. Stiamo vivendo un momento storico di grandissima confusione e le soluzioni immaginate dai leader politici sono poco credibili». Nel giorno in cui si chiude Biennale Democrazia, la manifestazione che ha ideato nel 2009 e in questa nona edizione è dedicata a “Guerre e paci”, il presidente emerito della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky ragiona sui conflitti in corso e i dibattiti che stanno animando e dividendo l’Europa.

In un sondaggio pubblicato su La Stampa il 94% degli italiani si dichiara contrario all’invio di truppe in Ucraina. La sorprende?

«Niente affatto. Mi stupisce che non si raggiunga il 100%. Quando da un’idea astratta, che può essere l’eroismo, la dignità di un popolo, l’orgoglio nazionale, la guerra diventa qualcosa di concreto, la fame delle trincee, la puzza dei cadaveri non seppelliti, allora soltanto un folle potrebbe desiderarla. Come scrisse Erasmo da Rotterdam, grande precursore dello spirito europeo: “Dulce Bellum Inexpertis”, bella è la guerra per chi non l’ha provata. Fortunatamente nel nostro Paese non abbiamo esperienza di conflitti da 80 anni, è vista come un’eventualità astratta».

Non dovrebbe allora essere il contrario? Non avendo consapevolezza della guerra, potrebbe prevalere uno slancio per difendere militarmente l’Ucraina e gli ideali europei. Non trova?

«Bisogna distinguere diversi tipi di conflitto. Quando la guerra si scatena perché c’è una minaccia immediata e concreta alla tua vita, alla tua cultura o alle tue tradizioni, allora si tratta di autodifesa legittima. Ma noi, in questo momento storico, quel pericolo non lo viviamo. C’è una differenza fondamentale tra la guerra e la guerra di liberazione, come accadde con la Resistenza. Si tratta comunque di azioni armate, ma si configura come legittima difesa. Diventa lotta per la libertà».

Il ministro della Difesa Crosetto avrebbe preparato un piano per arruolare 40 mila militari. Cosa ne pensa?

«Dubito fortemente che la risposta a un’eventuale chiamata alle armi possa essere così massiccia».

La Germania ha annunciato un piano di riarmo da 500 miliardi. La preoccupa questa svolta militarista?

«Di più, mi fa paura. Perché non sappiamo dove andremo a finire. La storica rivalità con la Francia potrebbe risorgere da un momento all’altro. La nascita dell’Ue si deve a molti motivi, tra cui la prevenzione dei conflitti e lo sviluppo armonico delle attività economiche. Ma anche per “diluire”, politicamente e militarmente, la Germania uscita sconfitta dalla seconda guerra mondiale. Ora stiamo andando in una direzione completamente opposta».

Qual è il suo giudizio sulla coalizione dei volenterosi?

«Ma davvero qualcuno immagina una coalizione che unisca militari francesi e tedeschi? I primi, ovviamente, vorrebbero imporre la loro egemonia. Ma non credo che gli altri eseguirebbero gli ordini da sottoposti. Stiamo vivendo un momento storico di grandissima confusione e le soluzioni immaginate dai leader politici sono poco credibili».

Vede lontano l’orizzonte di un’Europa federale?

«Non è di certo questo il momento, anche se gli ideali del Manifesto di Ventotene restano. Le premesse di quel documento prendevano le mosse da un giudizio storico: le guerre moderne le fanno gli Stati nazionali e sovrani. Per combatterne le cause bisogna deprimere parti di sovranità. Cosa che è stata realizzata con la creazione delle Nazioni Unite. Ma ora è saltato tutto. Lo stesso vale per il diritto internazionale: le grandi potenze se ne infischiano, ma anche i piccoli Stati con le politiche di riarmo. Più prevalgono atteggiamenti di questo tipo, meno ci sono condizioni favorevoli a politiche federaliste».

Crede che la cultura della pace non abbia abbastanza spazio in Italia?

«È curioso osservare le statue presenti nelle nostre città: quasi tutte celebrano trionfi in battaglia o hanno a che fare con la guerra, nessuna è dedicata a un facitore di pace. Del resto la storia che si studia sui banchi delle nostre scuole è una sequenza di guerre intervallate da periodi di pace: bisognerebbe rovesciare la prospettiva. Con mia moglie mi trovo spesso a passare in uno spiazzo dove si riversano decine di alunni di una scuola elementare. Corrono, ridono, bisticciano. Sono convinto che in quel loro modo di agire, giocoso e di sano conflitto allo stesso tempo, risieda l’humus della democrazia. E mi ripeto sempre: a quell’età i bambini sono una meraviglia, poi noi li roviniamo».

Ha sollevato polemiche una sua intervista titolata «Preferisco una pace ingiusta alla “morte giusta” di innocenti». Vuole chiarire?

«Sono stato frainteso. Il mio ragionamento era in relazione all’ipotesi della guerra totale. Non ai conflitti tradizionali, che si sono combattuti fino all’epoca atomica e si chiudevano con i trattati di pace. Mi riferivo alla guerra che distrugge l’umanità: rispetto a questo scenario credo che qualunque persona che non sia mossa da follia sceglierebbe una pace ingiusta. Per chiarire: preferirei una pace ingiusta a una guerra giusta con il rischio della distruzione totale».

Non si riferiva dunque all’Ucraina e a una resa con cessioni territoriali alla Russia di Putin?

«Assolutamente no».

A Torino si è chiusa la nona edizione di Biennale Democrazia. Qual è il suo personale bilancio?

«Quando tutto è cominciato, nel 2009, mai avremmo scommesso di sopravvivere per tutti questi anni né tanto meno di espanderci. Invece non c’è personalità di cultura politica che in questi anni non sia passata da questa manifestazione. Siamo molto soddisfatti di questa edizione: mi ha fatto molto piacere vedere molti giovani assistere a dibattiti e lectio sul tema di “Guerre e paci”. Ora è il momento di festeggiare, da domani penseremo all’edizione 2027, la decima».