Militare, commerciale, culturale, contro l’ambiente, contro il genere: i conflitti in corso sono tanti. E il nemico, secondo il costituzionalista, è il modello di pace e di dialogo democratico

(di Annalisa Cuzzocrea – repubblica.it) – Con la guerra è così. Più indietro vai, più risali all’origine, meno la causa del conflitto apparirà chiara. Si confonderanno i torti e le ragioni. Si sommeranno senza riuscire a districarli. Quindi, dice Gustavo Zagrebelsky, l’unico invito che possiamo fare «è quello alla comprensione tra i popoli». Biennale Democrazia inaugura a Torino e il titolo di quest’anno è Guerre e Paci. Il presidente emerito della Consulta, che da vent’anni anima e presiede l’iniziativa nata nel segno di Norberto Bobbio, dice che mai come quest’anno il tema è arrivato da solo. Di cos’altro si poteva parlare, in un tempo come questo?

Guerre e paci perché?
«È un titolo naturale per il tempo che viviamo, ma è anche, se guardiamo a cinque o dieci anni fa, sorprendente. Dopo la grande paura delle due bombe atomiche di Nagasaki e Hiroshima, in Europa abbiamo vissuto sostanzialmente con l’idea che la guerra non ci riguardasse più».

Nonostante la ex Jugoslavia, Belgrado, Sarajevo, il Kosovo?
«Diciamo la verità, abbiamo sempre avvertito quel mondo post-comunista come non veramente europeo. Non appartenente, per usare un termine che non mi piace perché viene dagli anni ’20 e ’30 del ’900, alla stessa comunità di destino».
È un termine molto bello, se pensiamo che quel destino era un orizzonte di pace.
«Non lo è, perché è come se ci fosse una forza che ci trascina verso chissà dove senza che sappiamo o che vogliamo. E invece, quel che siamo e che saremo non dipende da alcuna forza oscura, ma da noi».
Come è tornato lo spirito di guerra?
«Le cause delle guerre che “fioriscono” in mezzo a noi sono state a lungo sottovalutate. Ma nulla di quel che accade è privo di ragioni. Io non credo si possa dire che la guerra in Ucraina sia il prodotto della follia di un uomo: Putin. Ci sono ragioni storiche, oggettive perché, se non ci fossero, nessun pazzo, nessuna cricca militare o di guerrafondai troverebbe l’humus su cui lavorare per far scoppiare i conflitti».
Non stiamo parlando solo di eserciti, giusto?
«C’è la guerra militare, poi quella commerciale, culturale, dell’Occidente contro il resto del mondo. Ci sono la guerra ecologica e perfino quella di genere cui è dedicato un certo numero di incontri. Si può considerare una questione limitata, il problema della divisione del mondo in due sessi o più generi, ma dietro c’è un conflitto più profondo tra il mondo così come si evolve e si sviluppa spontaneamente e il tradizionalismo. Tra il nuovo e il vecchio».
Il vecchio pare stia prendendo il sopravvento.
«Perché è in corso un conflitto tra queste due visioni della società, e quindi della storia. Temo però che nel programma manchi una cosa che mi sta a cuore e su cui ho scritto un libretto per le Vele di Einaudi. Si intitola Simboli al potere: politica, fiducia, speranza, e ha molto a che fare con quello di cui stiamo parlando. I simboli, lo dice l’etimologia, tengono insieme individui e persone che nemmeno si conoscono. Basta guardare una partita di calcio per capirlo. Non esiste comunità senza simbolo. Ma quel che unisce alcune persone le divide dalle altre. Quindi i simboli hanno anche un valore diabolico, che viene da diavolo: il divisore per eccellenza».

Le guerre e la propaganda si nutrono di simboli.
«È così da sempre. Ma prendiamo un esempio che a me sta a cuore perché ho una posizione pro pace, non pro guerra. Mi si dice che sono un illuso, un’anima bella, perfino pericoloso. Che in questo momento bisogna schierarsi, invece che cercare una terza via: la diplomazia, il confronto, l’esplorazione di strade alternative per risolvere le ragioni di conflitto. Chi pensa questo è trattato da traditore della patria».
Da chi?
«Dai bellicisti che dominano la pubblica comunicazione».
Le sembra davvero così?
«Quelli che noi chiamiamo stati moderni hanno tutti o quasi un monumento al milite ignoto. Un eroe di guerra, un corpo senza nome che è il simbolo di coloro che la guerra la fanno fare agli altri. L’Italia nel primo conflitto mondiale ha fatto la guerra all’Austria, ma i suoi dirigenti hanno mandato in guerra i soldati. Sono loro quelli obbligati a mettere in gioco la vita. La propaganda serve a coprire il sacrificio che compiono, a eccitare gli spiriti con l’amor di patria e l’odio verso il nemico. Bisognerebbe intitolare quelle statue al milite inconsapevole, e chiederci se siamo davvero tutti per la pace».
Non è così?
«Vedo trasparire una certa nostalgia di guerra, che ha una tradizione illustrissima nella storia del pensiero politico. Hegel la paragonava al vento che passava su un’acqua paludosa mettendola in movimento. Marinetti parlava di guerra igiene del mondo».
Non siamo più nel ’900 futurista.
«No, ma c’è una nostalgia che si traduce nel dileggio di coloro che pensano si possa fare opera di pace. Da parte di chi considera la guerra inevitabile, parte essenziale dell’essere umano».
Quel che dice vale anche per le guerre di resistenza?
«La resistenza non è una guerra. Quella italiana è stata fatta con azioni anche militari, ma difendersi quando sei attaccato con la forza è un diritto naturale. Nel codice penale la legittima difesa è causa di non punibilità e questo vale anche per i popoli. Quella della Russia nei confronti dell’Ucraina è una guerra, quella degli ucraini è resistenza. Di ogni conflitto andrebbero studiate le ragioni che spesso si perdono nella notte dei tempi. In Russia come in Palestina».
E tornando a quella notte, cosa scopriremmo?
«Che i russi pensano che l’Ucraina sia la loro terra, che si sentivano minacciati militarmente o dalla possibile insorgenza di una democrazia occidentale. E che i palestinesi ritengono che non fosse giusto togliere agli arabi la terra come risarcimento per la Shoah, un crimine occidentale. Nella nostra storia non ci sono solo i diritti umani, le cattedrali e la poesia, ci sono Hitler, i campi di sterminio, l’imperialismo. Ma probabilmente più si risale indietro e meno le cause di quel che accade oggi sono chiare. Per questo l’invito è quello alla comprensione tra i popoli».
Perché siamo tornati a ragionare solo in termini di conflitto?
«Nella seconda metà del ’900 eri o di qua o di là, c’erano il mondo comunista e quello capitalista e questi due mondi, si dice ora, hanno garantito la pace. Ma l’equilibrio del terrore non è pace. È, come diceva Spinoza, solo una guerra rinviata. Lo spirito di guerra era in attesa, pronto a scoppiare per ragioni soprattutto economiche. Sono convinto che a portare 50 mila persone, tra cui il sottoscritto, a piazza del Popolo sia stata una visione dell’Europa come strumento di pace. Tutti noi che abbiamo letto e cercato di capire, a differenza di qualcuno, il manifesto di Ventotene, sappiamo che proprio a questo può servire l’Europa. Chi ci garantisce che la guerra non parta per errore? Che queste tecnologie controllate dall’intelligenza artificiale siano affidabili?».
O che lo siano Trump e Musk?
«Siamo in mano a una tecnologia che spesso controlla gli esseri umani, ma anche a potenziali folli che possono pensare di usare strumenti come le bombe atomiche o per impadronirsi del mondo intero o per distruggerlo. Da qui questo appello a temere la guerra e promuovere tutti gli strumenti di convivenza, economici, culturali, di scambio. Chi ha pensato, quando la Russia ha attaccato l’Ucraina, di chiudere le frontiere agli artisti russi è stato folle. I confini andavano spalancati. Nei tornei di tennis gli atleti bielorussi e russi non hanno il diritto alla bandiera. Per dirla con Dostoevskij, è una cosa da idioti».
Biennale Democrazia
Dedicata a “Guerra e paci” torna a Torino in varie sedi, dal 25 al 30 marzo, la IX edizione di Biennale Democrazia, presieduta da Gustavo Zagrebelsky. Oltre 100 incontri ed eventi, con più di 220 ospiti sia italiani che internazionali. E Zagrebelsky terrà la sua lectio, dal titolo “Su tre cose si regge il mondo”, il 27 marzo (ore 10) al Teatro Carignano
Zagrebelski ci dice un sacco di belle cose in buona parte condivisibili ma poi è andato a una manifestazione di gente che lotta ( o vuole fare lottare altri al posto loro) per armarci e fare la guerra alla Russia ma non può dichiararlo in modo chiaro per non suscitare sgomento e ribellione negli stessi loro sostenitori a chiacchiere . Caro Gustavo gli ucraini non fanno la resistenza contro gli invasori russi ma sono strumento nostro per raggiungere una meta agognata da tempo da noi occidentali : occupare la Russia . In Ucraina la maggioranza non era nemica ed ostile verso la Russia ma parlava la sua lingua da secoli e in parte consistente di sentiva e si sente russa. Per questo il concetto di resistenza contro l’ oppressore nemico invasore non regge alla prova dei fatti . E poi ci sarebbe da ricordare Bandera ma quella è un’ altra storia volutamente rimossa .
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Stupenda intervista. Grazie Infosannio.
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Ma io me lo tatuo il nome di Zagrebelsky! Ecco cosa vuol dire essere veri pacifisti. Ecco la differenza abissale tra essere pacifisti ed essere pacifinti. Ecco che vuol dire spernacchiare con profondità di pensiero la finta “complessità” con cui ci hanno ammorbato per anni: “ma probabilmente più si risale indietro e meno le cause di quel che accade oggi sono chiare”. Che goduria per le mie orecchie!
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… quando hai detto che parti per il DonBass?
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“Che i russi pensano che l’Ucraina sia la loro terra, che si sentivano minacciati militarmente o dalla possibile insorgenza di una democrazia occidentale. E che i palestinesi ritengono che non fosse giusto togliere agli arabi la terra come risarcimento per la Shoah, un crimine occidentale. Nella nostra storia non ci sono solo i diritti umani, le cattedrali e la poesia, ci sono Hitler, i campi di sterminio, l’imperialismo. Ma probabilmente più si risale indietro e meno le cause di quel che accade oggi sono chiare. Per questo l’invito è quello alla comprensione tra i popoli». Che poi è quello che qualcuno sostiene da 3 anni, cioè che la dicotomia Bene/Male non esiste, ed ognuno ha le sue ragioni, e che valutare PRIMA queste ragioni permette di evitare una guerra o fermarla subito e non dopo 3 anni e migliaia di morti, milioni di feriti e sfollati…..Applicare l’ articolo della Costituzione “ l’ Italia ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali “ significa applicare gli strumenti come la diplomazia, il confronto, le strade alternative che sono stati invece VOLUTAMENTE esclusi, ed ora a guerra quasi finita, ancora VOLUTAMENTE riesclusi e sostituiti dalla prospettiva del riarmo e del prepararsi ad una nuova guerra, che quando viene annunciata, quando ogni parola ed espressione linguistica si sedimenta fino a diventare comune, pensiero ed accettazione comune, fatalistica senza alcuna alternativa, della parola che pensa per te, la GUERRA ARRIVA! Io che condivido l’ articolo, non so cosa ci facesse in quella piazza Zegrebelski insieme a Calenda, Boschi o chi ha votato al parlamento europeo per il riarmo, che non può essere la prospettiva di pace secondo quanto scritto dall’ autore, e non so nemmeno come certi commentatori possano apprezzare Zegrebelsky quando nello scrivere “coloro che la guerra la fanno fare agli altri. “ a fomentare seduti comodamente sul divano , sembra riferirsi proprio a loro, che hanno dato il loro contributo nell’ ignorare appunto le ragioni dell’ altro, la Russia, considerata da subito ed ancora adesso il NEMICO, non degli ucraini che nel rischiare la propria pelle meritano rispetto, esattamente come qualunque milite inconsapevole, ucraino , russo, italiano, sacrificato in una guerra non sua, ma proprio personale ed esistenziale, in una sorta di odio immotivato , che per dirla con Dostoevskij, è una cosa da idioti…..Magari il presupposto per essere pacifisti, e’ proprio quello di non essere IDIOTI e pare mancare a chi da 3 anni offende ripetutamente con la denigrazione di pacifinti coloro che chiedevano ed ora chiedono di fermarsi per far valere ed usare gli strumenti della pace! Una scelta che richiede consapevolezza e capacità di comprensione di parole, opinioni, dichiarazioni e ragioni!
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