(Di Giandomenico Crapis – ilfattoquotidiano.it) – Un nuovo Vespa si aggira per la Rai, il suo nome è Francesco Giorgino. Nel 2023 la destra l’ha nominato direttore (dell’Ufficio Studi), sottraendolo alla qualifica di conduttore che tanto lo infastidiva. Ma anche l’ufficio studi gli sta stretto e così teleMeloni dalla fine del 2023 gli ha affidato un programma tutto suo, lunedì in seconda serata su Rai1. Un vero house organ dell’esecutivo, tanto che un bollettino dell’ufficio stampa di Palazzo Chigi non potrebbe fare meglio. Qui l’ex conduttore ospita tra i politici solo ministri del governo. Non esiste spazio per altri, tranne qualche raro esponente della maggioranza e un’ospitata a Giuseppe Conte a dicembre scorso. XXI secolo è un festival filogovernativo, al cui confronto Porta a Porta sembra la culla del pluralismo e dell’obiettività.

Quel che suona davvero strano è che finora nessuno abbia protestato per questa indecenza. Anni fa al senatore Emanuele Fiano che lo accusava di parzialità Giorgino rispose che la politica doveva restare fuori dall’informazione: lui analizzava solo i fatti per “esprimere valutazioni fondate su evidenze empiriche nel rispetto dei valori supremi della libertà di pensiero e del pluralismo”. Nientemeno. Appena è stato messo alla prova abbiamo capito che invece è l’informazione, la sua, che non lascia in pace la politica, soprattutto quella governativa. Le ‘evidenze empiriche’ dicono che l’ex conduttore ha ospitato oltre alla Meloni, 20 ministri, 2 sottosegretari e 7 esponenti di maggioranza: in tutto sono 30, a fronte di 6 esponenti dell’opposizione di cui nessun leader, tranne Conte.

Giorgino non fa domande, fa assist. Invece di inchiodarlo sull’assenza di qualsiasi progetto esecutivo o della mancanza di parere dell’Istituto Nazionale di geofisica, a Salvini chiede: “Del ponte sullo Stretto si parla da anni, ma questa è la volta buona?”. Al ministro Nordio domanda “perché i suoi ex colleghi sono preoccupati della separazione delle carriere?”; quando invece avrebbe dovuto chiedere: “Ministro, che urgenza c’è, poiché di fatto la separazione delle carriere già esiste, stante la quasi impossibilità di passare con le leggi vigenti da un ruolo a un altro?”. Quando invita Urso è tutto un peana alla manovra di Bilancio, ospite la Calderone annuncia “che la crescita stenta in Europa ma nonostante ciò in Italia i dati sono molto buoni”: nemmeno un accenno alle decine di tavoli di crisi, alle aziende che licenziano, chiudono. Alla Bernini riconosce “che il diritto allo studio è una delle priorità del governo” (come se ci fossero governi che hanno detto il contrario) “e va dato atto al ministro di essere molto concentrata sul tema”.

Naturalmente ogni ospitata ministeriale è corredata di schede di accompagnamento che sono solo spot filo-governativi. Giorgino è la spalla ideale per ministri e sottosegretari, è un facilitatore, mette la palla sul dischetto affinché il ministro di turno calci il rigore, a porta vuota. Ma è con Meloni che dà il meglio: “Lei ci ha dato una piccola lezione di economia”, “grazie per aver scelto XXI secolo in un momento molto importante che richiede chiarezza”. Quando le ricorda che c’è chi sostiene che il passo successivo alla separazione delle carriere sarà la dipendenza del pm dal governo, accompagna la frase con una smorfia, come a dire della implausibilità della critica. Poi un “lei che ha girato il mondo e parla inglese fluently, se dovesse scegliere una meta dove andare quale sceglierebbe?” Ma sì, quella di Giorgino è una interlocuzione latte e miele, asseconda, fluidifica, incoraggia, benedice: con i politici di maggioranza mai un’impertinenza. Sempre che si tratti del governo perché se c’è Conte che parla di “politica codarda e irresponsabile”, lui salta sulla sedia: “Non dica così della presidente del Consiglio, però!”. È il giornalismo, bellezza.