Può rivaleggiare con Starlink? “È come paragonare una Panda a una Ferrari” – La società franco-britannica fa +350% in Borsa, ma conti, tecnologia e contratti non ne fanno una vera rivale di Musk

(Di Carlo Di Foggia – ilfattoquotidiano.it) – Succedono cose incredibili nello spazio, ma anche a terra. Due anni fa una grande banca d’affari sondò la disponibilità di Leonardo a rilevare Eutelsat, allora sul mercato. Oggi, dopo un boom in Borsa, viene presentata come un potenziale rivale della Starlink di Elon Musk nel mercato in forte ascesa dei satelliti in orbita bassa. Nell’ultimo mese le sue azioni sono salite del 350%. L’Ad Eva Berneke ha spiegato di essere in trattativa con diversi governi Ue, tra cui l’Italia (che però ha smentito), per fornire servizi di connettività in orbita bassa e di poter operare in Ucraina a supporto dell’esercito di Kiev per sostituire gli americani. Cosa c’è di vero? In realtà quasi nulla, ma è una vicenda illuminante sulle alchimie finanziarie che può produrre la corsa al riarmo. Eutelsat è una società francese che nell’azionariato ha i governi di Parigi e Londra. Il boom in Borsa è partito lunedì 3 marzo, con le indiscrezioni sul possibile ritiro del supporto di Starlink a Kiev come ritorsione americana dopo la lite Trump-Zelensky. Il giorno dopo, la società dice di star discutendo con Bruxelles per aumentare il supporto in Ucraina e sostituire Musk. Reuters parla di trattative pure con l’Italia. Berneke afferma di poter fornire 40mila terminali agli ucraini. Il titolo fa +550% in tre giorni, con volumi di acquisto che salgono del 2.000%.

Premessa. Eutelsat può giocare il suo ruolo grazie all’anglo-indiana Oneweb, con cui si è fusa nel 2023 (ma ne era già azionista da un paio d’anni). La società possiede 654 satelliti in orbita bassa (Leo) a cui si aggiungono i 35 in orbita geostazionaria (a 36mila km dalla terra) di Eutelsat. Insieme a Starlink (e Iridium, che però non ha banda larga) al momento è l’unica a vantare una congrua costellazione di satelliti operativi in orbita bassa. I cinesi di SpaceSail lo saranno a breve.

La prima stranezza è finanziaria. Prima del rialzo, le azioni Eutelsat erano in calo da anni. Il 14 febbraio erano scese del 65% dopo l’annuncio di perdite per 873 milioni nei primi sei mesi dell’anno finanziario, chiuso a dicembre 2024 (-191 milioni nel 2023-24). Sul “rosso” pesa una super svalutazione sulle attività satellitari geostazionarie su cui Eutelsat per anni ha fatto fortuna (grazie al business video delle televisioni satellitari) ma le cui condizioni, ammette la società, si sono fatte “difficili”. Nessuno dei 12 analisti che seguono il titolo ne consigliava l’acquisto (dati Bloomberg). In una presentazione agli investitori di novembre 2024, la società prevedeva per il 2025 un margine di profitto “inferiore allo scorso anno”. Il settore video, che vale il 51% del fatturato, declina inesorabilmente. Salgono invece le connessioni fisse e i servizi governativi (militari e di sicurezza), ma questi valgono rispettivamente solo 19% e il 14% dei ricavi. Nemmeno l’ingresso tra i 3 consorzi della costellazione multiorbitale Iris2 dell’Ue (impropriamente definita dai giornali come “rivale di Starlink”) ha avuto effetto: il giorno della firma dei contratti con Bruxelles e l’Agenzia spaziale europea, il 16 dicembre, le azioni sono calate (e hanno continuato a farlo). Ancora oggi sono a 5,9 euro (-17% in cinque giorni), meno della metà di quanto valevano prima della fusione con Oneweb.

La seconda stranezza è tecnologica. Eutelsat può rivaleggiare con Starlink? “È come paragonare una Panda a una Ferrari”, spiega uno dei maggiori esperti del settore. “Se voglio connettere due pc via internet, è costoso ma funzionante, se voglio pilotare un drone in prima linea è tutta un’altra faccenda”. I satelliti Leo di Oneweb sono a 1.200 km dalla terra, il doppio rispetto a quelli di Musk, quindi con latenza maggiore (che influisce su qualità e rapidità di trasmissione) e sono molti meno. Starlink ne ha 7mila, ne lancia centinaia all’anno, ne fabbrica 50 al mese, punta ad averne 40mila in pochi anni e, soprattutto, comunicano fra loro via laser, quindi i dati non devono scendere a terra se non nel punto dove devono arrivare. D’altronde la sfida di Oneweb, un’iniziativa americana lanciata nel 2013, si è già interrotta nel 2020 col fallimento societario (da dove è stata rilevata dall’indiana Bharti e dal governo inglese per ragioni politiche). I satelliti Oneweb sono progettati per specifiche utenze, chiedergli di fare altro, specie a elevata mobilità, richiederebbe ripetitori di dimensioni scomode se si confrontano con le mini antenne di Starlink. Eutelsat sta pianificando una costellazione di seconda generazione, più potente e miniaturizzata, con antenne più piccole e trasportabili ma deve raccogliere i capitali, avviare i contratti, costruire i satelliti e lanciarli, mentre la creatura di Musk fa tutto in casa e ha pure i lanciatori. I ripetitori Oneweb costano molto (10mila dollari secondo Reuters) al netto dell’abbonamento, mentre Starlink chiede agli utenti ucraini 590 dollari una tantum più un abbonamento da 90 a 400 dollari, a seconda dell’uso. Difficile sostituirlo oggi.

La terza stranezza è che non pare esserci richiesta di questo servizio. Il governo italiano, per dire, ha smentito le trattative fatte filtrare. Il tema è caldo da quando si è parlato di un possibile contratto con Starlink da 1,5 miliardi in 5 anni per fornire connettività in orbita bassa per esigenze di difesa e sicurezza (come connettere le sedi diplomatiche). Il servizio, peraltro, è stato già sperimentato in 4 ambasciate. In realtà si tratta di un’offerta inviata a Palazzo Chigi a fine 2023, quando il consigliere militare di Meloni, Franco Federici, ha chiesto ai diversi ministeri di valutare le esigenze. Il dialogo, complice l’esposizione di Musk e i dubbi del Quirinale, oggi è fermo, anche perché – confermano fonti di governo – non c’è la reale esigenza al momento. Stessa cosa vale per Eutelsat. A breve arriveranno i risultati del report commissionato al Comint, il comitato interministeriale per lo spazio, per valutare “costi e percorso per una costellazione satellitare nazionale in orbita bassa”, ma senza affittarla da operatori privati: è la linea caldeggiata dal ministro delle Imprese Adolfo Urso.

E dire che a inizio 2000 l’Italia aveva ancora il 21% di Eutelsat, tramite Telespazio, allora in Tim: nel 2001 la gestione Pirelli la vendette a Lehman Brothers insieme a tutto il capitale pubblico investito nelle comunicazioni satellitari. Gli errori delle privatizzazioni tornano sempre a perseguitarci.