La torta – Il contributo straordinario

(Di Marco Franchi – ilfattoquotidiano.it) – Undici milioni e 383mila euro al gruppo Rizzoli-Corriere della Sera, 6,7 milioni a Gedi (Repubblica e Stampa) e 5,25 milioni a Cairo Editore (tra cui Dipiù, Diva e Donna e Nuovo). E così via fino ad arrivare a 60 milioni di euro. Il pluralismo dell’informazione è compiuto, ancora una volta e pazienza se si trasforma in un possibile strumento di ingerenza della politica e non nella garanzia d’indipendenza decantata dagli editori. Negli scorsi giorni il Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria di Palazzo Chigi ha pubblicato l’elenco degli editori di giornali quotidiani e periodici che hanno ricevuto l’ennesimo aiuto pubblico. Questa volta si tratta dei contributi del Fondo straordinario per gli interventi di sostegno per l’anno 2023. È un nuovo stanziamento riconosciuto nella misura di 10 centesimi di euro per copia cartacea venduta in abbonamento e in edicola nel 2022.
Così, oltre ai tre editori già citati – riporta Prima Comunicazione – tra i maggiori beneficiari ci sono il gruppo Editoriale Nazionale (a cui fanno capo QN, Il Giorno, Il Resto del Carlino e La Nazione) che ottiene un contributo di 3,7 milioni, Mondadori Media (2,9 milioni), Nord Est Multimedia (che pubblica tra gli altri Il Mattino di Padova e Il Piccolo di Trieste) con 2 milioni. Poi ci sono il Messaggero (1,45 milioni), Il Sole 24 Ore (1,44 milioni), il Corriere dello Sport (1,27 milioni) e il gruppo Hearst, editore di vari settimanali e mensili periodici, con 1,05 milioni. L’elenco è lungo e corposo. Figurano in tutto 80 editori che hanno presentato richiesta, per un importo complessivo richiesto di 67 milioni 867 mila euro, anche se il fondo si ferma a 60 milioni euro.
Tra le altre testate ci sono: Il Giornale (915 mila euro), La Verità (827 mila euro), Il Secolo XIX (791 mila euro), L’Unione Sarda (740 mila euro) e La Gazzetta di Parma (605 mila euro), l’Espresso (529 mila euro) e Il Mattino (489 mila euro). Via via fino ai contributi più bassi (tutto in relazione alle copie vendute) ottenuti da Il Tempo (201 mila euro), Domani e Panorama (169 mila euro ciascuno) e Milano Finanza (141 mila euro).
Alla lista mancano un po’ di editori. Oltre a Seif (editore del Fatto), che volontariamente non ha richiesto il contributo, non figurano neanche le testate pubblicate da cooperative di giornalisti, quelle rivolte a minoranze linguistiche o edite da enti senza fini di lucro, come quelli religiosi che, secondo quanto previsto dal decreto del Dipartimento per l’Editoria, non hanno potuto partecipare. Parliamo, per capirci, tra gli altri, di Dolomiten (il quotidiano in lingua tedesca più letto dell’Alto Adige), Famiglia Cristiana, Avvenire , Libero, ItaliaOggi o Il Foglio che ogni anno si spartiscono l’altra fetta principale dei fondi da 50 milioni messi a disposizione del governo attraverso gli aiuti diretti all’editoria.
Il fondo straordinario del 2023, il cui scopo è sostenere un settore profondamente in crisi, rappresenta infatti solo una parte degli aiuti complessivi stanziati da Meloni &C. che ha deciso di dare più di un sostegno, con un progressivo aumento delle misure e dei soldi a disposizione. Basti pensare che se per il 2023 sono stati stanziati 140 milioni in totale, suddivisi in diversi interventi tra cui questo fondo da 60 milioni, lo scorso anno il governo ha messo 196 milioni nel Fondo unico per il pluralismo e l’innovazione digitale dell’informazione e dell’editoria. Della somma per il 2024, 55 milioni vanno alle Poste sotto forma di agevolazione tariffaria per le spedizioni e gli abbonamenti postali (l’unico a cui attinge Seif). Tutti aiuti di Stato, diretti e indiretti, alla filiera dell’editoria in un continuo scambio con la politica chiamato pluralismo.
l’importante che lecchino e che non disturbino il manovratore
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Ecco, adesso bisognerebbe andare a sentire chi, per campare, apre la porta o alza la serranda della propria azienda col magone giornaliero provocato dalla lotta per la sopravvivenza sul mercato. E notti insonni causate dalla preoccupazione per la sorte dei collaboratori.
Niente di tutto ciò per chi invece pubblica m&rd@ ma se ne fotte del mercato perché prima o poi arriva il vero *metadone di stato . Ne sanno qualcosa anche gli edicolanti, categoria direttamente interessata dalla crisi della stampa igienica.
*Mi pare fu proprio la caciottara a definire metadone di stato il RDC.
Maa.. è mica arrivato il momento di mandarli tutti a casa?
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La vendita dei giornali scende vertiginosamente. Ma più cala, più aumentano le sovvenzioni statali. Il mio augurio è di riuscire a vendere zero copie. Diventeranno ricchissimi gli editori. Si dirà che a forza di leccare, i giornalisti raggiungeranno l’ideale: portare a casa lo stipendio senza nemmeno scrivere un rigo.
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Chiaramente non so dove abiti, e viceversa, ma se abiti in un centro urbano e non in un piccolo paese o in campagna, avrai sicuramente ricevuto nella cassetta della tua posta quei giornali indesiderati e indesiderabili che vengono sponsorizzati dalle amministrazioni locali e/o con i fondi Ue.
In qualche maniera, i mestieranti troveranno comunque la maniera di fare da megafono al Padrone, fosse anche su Metro o simil…..e inoltre imperverseranno comunque in tv.
Anche Travaglio, a mio modesto avviso, sbaglia a pasturare soggetti alla Bocchino, ad esempio a “Accordi o disaccordi”, gente del genere non va proprio considerata.
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Sai cos’è? Lo piazza in uno scenario in cui può risaltare in tutta la sua proterva insipienza.
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I giornali sono tutti leggibili e acquistabili, se non riescono a sostenere i costi possono anche chiudere tutti. I vari cani da guardia della democrazia che si trovassero senza una comoda ciotola, potrebbero procurarsi l’osso quotidiano aprendo un blog, un sito o un qualunque canale social, per cercare di vendere le loro opinioni in totale libertà. Se non dovessero riuscire a campare con tale attività, potrebbero anche loro cambiare mestiere e continuare a scrivere nei ritagli di tempo. Assange ha dimostrato che non servono milioni per fare giornalismo, ma solo informazioni.
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Tutto vero, in un mondo ideale, ma in questo nostro mondo di Padroni e lacchè, come possiamo paragonare Assange con Bocchino? In Italia a fare Informazione è rimasto Report, poi in diversa gradazione e prospettiva Il Fatto, Internazionale, qualche inchiesta de’ L’Espresso idem Fanpage, qualche inchiesta de Le Iene, qualcosa a seconda degli interessi del momento anche su Il Giornale d’Italia. Per tutto il resto possiamo dire si tratti più che altro di cronaca, interpretazione degli eventi, e parecchio “bla bla bla” mestierante.
Ci possiamo rifugiare su blog e tv online di nicchia, o meglio ancora su testate giornalistiche e video internazionali, cercando di fare la tara tra notizie e propaganda, quanto da noi.
Non demonizzo il finanziamento pubblico all’informazione ma ormai siamo a livelli dì corruttele smaccatamente palesate, e questo fa schifo, schifo, schifo da morire.
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Giusto per dire, ma Libero è rimasto … libero dai contributi? Strano, con tutto il lecchinaggio di Fiki Seki.
Il Foglio non mi stupisce più di tanto, con tutte le cannonate che hanno tirato alla Meloni veramente hanno fatto molto più di quel che fa il Manifesto.
In generale, ma se questi giornali non stanno sul mercato non potrebbero chiudere e basta? O almeno, il FQ non potrebbe accedere pariteticamente a questi fondi? Perché così è concorrenza sleale al 100%.
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