Meloni diserterà il vertice di Starmer, il governo è contrario all’invio di truppe

Giorgia Meloni durante l’incontro con Keir Starmer al Blenheim Palace (Oxfordshire) nel luglio 2024

(FRANCESCO MALFETANO – lastampa.it) – Lo strappo si consumerà sabato. Giorgia Meloni non parteciperà alla videocall convocata dal primo ministro britannico Keir Starmer. La premier ha infatti chiarito ai suoi fedelissimi di non aver intenzione di mettere la faccia su un’iniziativa che «non convince». E cioè su una riunione che, a seguito del vertice di Parigi di ieri tra i vertici della Difesa dei Paesi coinvolti nella “coalizione dei volenterosi”, avrebbe discusso apertamente dell’invio di truppe in Ucraina. Dopo aver più volte mostrato le proprie perplessità sul formato e sulle modalità di questi tentativi, Meloni ha sciolto ieri sera la riserva, decidendosi a spaccare il fronte che il britannico ed Emmanuel Macron stavano costruendo a fatica. In questo modo, l’Italia pare spostare al di là di ogni ragionevole dubbio il proprio asse verso Donald Trump, assumendosi l’onere di porre un pietra potenzialmente tombale sull’iniziativa che non avrebbe avuto né l’egida Onu, né tanto meno quella della Nato. La diserzione italiana è arrivata dopo una lunga serie di riflessioni e di contatti con le cancellerie, compresa quella di Washington.

Dopo giorni di indugi, a far decidere Meloni pare sia stato il buon esito dei colloqui tenutisi a Gedda tra Usa e Ucraina. In Arabia Saudita ha preso corpo l’opzione di un cessate il fuoco di 30 giorni e la ripresa dell’assistenza americana a Kiev. In particolare mentre Washington e Kiev, almeno sulla carta si sono riavvicinate, a colpire Palazzo Chigi sono state le parole lasciate trapelare da Macron ieri: dobbiamo «assumerci le nostre responsabilità» perché «è il momento in cui l’Europa deve fare il possibile, per l’Ucraina e per se stessa». Fattori che, valutano ai vertici dell’esecutivo, non solo non motivano un’iniziativa alternativa a quella a stelle e strisce, ma impongono di tirare il freno.

La scelta italiana potrebbe però ora deflagrare nel cuore dell’Europa, aprendo una crepa che sarà difficilissimo risanare. Anche perché è forte il sospetto che il vero nodo della contesa sia stato il protagonismo di Macron e Starmer, determinati a sedersi al tavolo a cui Trump sta facendo il bello e il cattivo tempo.

D’altro canto, ieri sono arrivati molteplici segnali di disallineamento rispetto all’Europa da parte del centrodestra italiano. A Strasburgo, infatti, Fratelli d’Italia sta valutando di non sostenere la risoluzione di maggioranza «sull’incrollabile sostegno Ue» da destinare all’Ucraina. Il gruppo dei conservatori Ue di cui il partito di Meloni fa parte ha presentato un emendamento che sottolinea come «la sicurezza Ucraina sarebbe più forte sotto la rinnovata cooperazione transatlantica».

Un testo su cui i meloniani, capeggiati da Carlo Fidanza e Nicola Procaccini, hanno chiesto anche il sostegno del Partito popolare europeo. Se non dovessero riuscire in quello che valutano come «un colpaccio», i Conservatori potrebbero appunto astenersi. O, in alternativa, votare a sostegno esprimendo «forti critiche». La riserva, spiegano da via della Scrofa, sarà sciolta solo all’ultimo minuto, lasciando intendere come abbiano tutta l’intenzione di inviare per l’ennesima volta lo stesso messaggio a Ursula von der Leyen: bisogna dialogare con gli Stati Uniti di Trump.

Quella di domani, insomma, si annuncia come una giornata complessa. Se l’europeismo di FI e del Ppe non dovrebbe causare increspature e sia «supportare il piano a cinque punti» di Ursula von der Leyen per il riarmo europeo sia il rinnovo del sostegno a Kiev, per la Lega potrebbe andare diversamente. Il Carroccio, infatti, non voterà a favore di ReArm Eu. I dubbi riguardano anche gli stessi Conservatori europei che ieri hanno messo nel mirino il nome del piano. Fidanza ha proposto di modificarlo in “Defend Europe” con un emendamento al paragrafo 66, perché «rischia di essere fuorviante e troppo restrittivo». Allo stesso modo, pur votando a favore del piano, dovrebbero non sostenere la clausola «buy european» che, giudicano in FdI, avvantaggerebbe troppo l’industria francese a discapito delle filiere italiane spesso alimentate da catene extra-europee.

I soliti distinguo che potrebbero riproporsi la prossima settimana sulle comunicazioni che la premier farà in Parlamento prima del Consiglio europeo del 20 marzo. Al momento il testo della risoluzione non è stato definito però già ieri i capigruppo di centrodestra hanno cominciato ad incontrarsi per arrivare ad un punto comune. Non solo, se n’è parlato sia al vertice di via della Scrofa di lunedì pomeriggio con Arianna Meloni e i capigruppo FdI, sia nel corso della telefonata con cui domenica la premier ha fatto gli auguri di compleanno a Matteo Salvini.