Il sì di Zelensky a una tregua con Mosca: una mossa per riorganizzare le truppe spossate. Mosca in questo momento sul campo di battaglia è in vantaggio: il suo nemico invece potrebbe far riposare le truppe, addestrare le nuove leve e riarmarsi

Il sì di Zelensky a una tregua con Mosca: una mossa per riorganizzare le truppe spossate

(di Gianluca Di Feo – repubblica.it) – Si apre una fase nuova del conflitto, in cui Vladimir Putin dovrà dimostrare l’abilità di giocatore di scacchi in una partita in cui gli toccherà bilanciare calcoli diplomatici e militari. Una tregua incondizionata va contro gli interessi immediati della Russia, che non l’ha mai cercata: in questo momento il suo esercito è in vantaggio su tutta la linea del fronte.

La superiorità del numero di soldati cresce ogni giorno grazie agli abbondanti arruolamenti di volontari, incentivati da paghe straordinarie rispetto agli standard russi: il reclutamento sta superando le previsioni. In più le intelligence occidentali hanno raccolto segnali allarmanti sull’arrivo di un’altra ondata di fanti nordcoreani, questa volta accompagnati da mezzi corazzati e artiglieria. Non solo. La produzione bellica ha toccato livelli mai visti prima per quantità e qualità: lo dimostrano gli sciami di droni filoguidati, immuni dalle contromisure elettroniche, con cui Mosca sta soffocando la testa di ponte nemica nella regione di Kursk. È una posizione di forza che si irrobustisce in continuazione: si traduce in altri territori occupati e nel logoramento della resistenza ucraina, impegnata con reparti poveri di uomini a difendere oltre mille chilometri di trincee.

Un mese di pausa nei combattimenti invece permetterebbe a Kiev di riprendere fiato, soprattutto se accompagnata già da ora dal ritorno degli aiuti statunitensi. Gli arsenali ucraini potrebbero contare su un altro flusso di armi e munizioni dagli Usa, preziosi per irrobustire una riserva che già ora avrebbe garantito la prosecuzione delle ostilità almeno fino a settembre. Senza più bombardamenti, le cinquecento fabbriche nazionali avrebbero l’occasione di riempire i magazzini e installare altre catene di montaggio. Come si è visto nel raid lanciato ieri contro Mosca con cinquecento droni a lungo raggio, l’industria è già autonoma nella costruzione di questi ordigni invisibili ai radar che sono in grado di portare la guerra nel cuore della Russia. Infine, senza più dovere nascondere gli aerei su piste improvvisate, l’aviazione ucraina avrebbe l’opportunità di perfezionare l’utilizzo dei caccia F16, ormai presenti in decine di esemplari, che non solo contribuiscono alla protezione dei cieli ma stanno cominciando a colpire con bombe di precisione le postazioni russe.

L’aspetto più importante riguarda però il fattore umano: molti soldati sono al fronte da tre anni e non hanno mai goduto di una vera licenza. Oggi le diserzioni e la fuga dalla leva obbligatoria testimoniano una crisi di motivazioni e un preoccupante calo del morale, intensificato dal “tradimento” statunitense e dallo scenario di una “pace ingiusta”. Trenta giorni senza rischiare di morire sono una manna per chi ha i nervi a pezzi e convive anche a decine di chilometri dalla prima linea con l’incubo dei droni, onnipresenti macchine di morte che causano oltre il sessanta percento delle vittime. Kiev avrebbe anche l’opportunità di addestrare meglio i volontari di 18-20 anni che iniziano a raggiungere i reparti: i “Ragazzi del 2006” sono più motivati e fisicamente robusti dei loro padri forzatamente mobilitati nello scorso anno, ma hanno bisogno di una formazione qualificata prima di affrontare la prova del fuoco. Il comando guidato dal generale Syrsky avrebbe infine l’opportunità di portare avanti la riforma annunciata due settimane fa: assemblare le brigate in unità più grandi per evitare i “buchi” tra singoli reparti che sono stati sfruttati dai russi per ottenere le vittorie più significative nel Donbass. Una trasformazione difficilmente realizzabile sotto le cannonate.

In questa prospettiva, insomma, i generali del Cremlino hanno tutto da perdere. Certo, anche a loro piacerebbe riorganizzare i battaglioni ma il materiale umano arruolato attualmente non ha margini di miglioramento: sono fanti anziani con una preparazione sommaria, destinati a fare da canne da cannone. Quella russa è una lenta guerra d’attrito: contano la massa e la pressione ininterrotta su tutto lo schieramento nemico, cercando di infilarsi in ogni punto debole per aprire brecce.
Putin però non può correre il rischio di mettersi contro la Casa Bianca: Trump gli ha prospettato un bottino superiore a ogni aspettativa. Il mantenimento di tutti i territori occupati, la fine delle sanzioni, una ritirata statunitense dall’Europa e – l’aspetto più strategico – il riconoscimento della Russia come grande potenza, in grado di trattare alla pari con gli Stati Uniti. Un risultato più grande di qualsiasi successo che i suoi soldati potrebbero ottenere sul campo di battaglia.