C’è qualcosa di più sconcertante e triste di Donald Trump che davanti al congresso degli Stati Uniti si definisce il più grande presidente della storia americana e colloca al secondo posto, bontà […]

(di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it) – C’è qualcosa di più sconcertante e triste di Donald Trump che davanti al congresso degli Stati Uniti si definisce il più grande presidente della storia americana e colloca al secondo posto, bontà sua, George Washington? Sì che c’è: davanti all’orgia del potere la reazione dell’opposizione democratica, non soltanto debole e inadeguata ma soprattutto patetica. A cominciare dalle parlamentari dem che come atto di sfida contro il tycoon si sono presentate vestite di rosa acceso. Hanno spiegato che il colore simboleggia la protesta contro le politiche di Trump che hanno un impatto negativo sulle donne sulle famiglie. “Il rosa è un colore di potere di protesta”, hanno dichiarato con orgoglio. “È tempo di galvanizzare l’opposizione e di attaccare Trump forte chiaro“. Beh, considerato l’impatto della protesta sembra difficile che il presidente ne sia stato intimorito. “Se questo non funziona non so proprio cosa altro potrebbero fare” ha scritto su X il canadese Ryan Gregory, biologo evoluzionista e cattedratico. Gli ha risposto a tono, sempre su X l’attivista Krang T. Nelson: “Se pensi che Trump sia un fascista, come lo era Hitler, allora bisogna accettare che questa è una cosa ridicola da fare”. Ha ricordato che in risposta alle politiche del dittatore nazista alcuni membri del partito di sinistra tedesco avevano indossato dei capelli viola: “Lo vedete quanto suona stupido?”. Così, non presentandosi, vestendosi di rosa, fischiando o alzando delle ridicole palette su cui c’era scritto: “Proteggiamo Medicaid” e “ Musk ruba”, ma anche uscendo alla spicciolata durante il discorso, i democratici pensano di aver reagito con vigore ed efficacia alla svolta autoritaria che Trump sta imprimendo agli Stati Uniti. Destinato a non passare alla storia c’è pure il deputato democratico del Texas, Al Green (un tipo anzianotto con i capelli raccolti dietro la nuca e di un nero inquietante), quando ha iniziato a interrompere The Donald urlandogli: “Non hai alcun mandato per tagliare il Medicaid”. “No, democratici – si è lamentato su BlueSky lo scrittore Jeff Sharlet – questi piccoli cartelli d’asta non sono quello che serve. Vi comportate come personaggi di Wes Anderson che non capiscono di essere in un film di Tarantino”. Uno spettacolo desolante davanti al quale ci si deve per forza chiedere se la tremenda scoppola presa il 20 gennaio non abbia annichilito il Partito Democratico fino al punto di trasformarlo in un coacervo di figuranti inoffensivi. Passi per Joe Biden, l’ex presidente costretto dal sinedrio dem a un pensionamento anticipato e contro cui il successore continua a scagliarsi. Ma che fine ha fatto Kamala Harris? Possibile che la sconfitta l’abbia totalmente ammutolita? Dicono che voglia candidarsi alla carica di prossimo governatore della California. Un’altra che pensa a salvare solo se stessa? E che fine ha fatto Barack Obama? E la fantastica Michelle – che alla vigilia del voto i soliti osservatori che osservano senza vedere nulla avevano già incoronato nel ruolo di oppositrice senza se senza ma – è forse tornata a occuparsi di giardinaggio? Brutti tempi per la sinistra liberal. In Germania asfaltata dalla destra moderata. In America assiste impotente allo scempio dei propri valori. E in Italia combatte la Meloni con l’astuta tecnica del morto a galla.