A noi uomini di poca fede (nei metodi dell’opposizione al governo Meloni) l’arma della sfiducia contro i ministri più che spuntata appare controproducente. Prendiamo la titolare del Turismo […]

(di Antonio Padellaro – ilfattoquotidiano.it) – A noi uomini di poca fede (nei metodi dell’opposizione al governo Meloni) l’arma della sfiducia contro i ministri più che spuntata appare controproducente. Prendiamo la titolare del Turismo Daniela Santanchè, ormai bollitissima per effetto della pessima gestione dei propri affari, giunta all’ultimo giro in attesa dell’udienza del 26 marzo per la presunta truffa all’Inps, presa a borsettate (contraffatte), abbandonata dai suoi. Non resterebbe che lasciarla bollire nel suo brodo per poi accollarne le prossime dimissioni alla destra degli impresentabili. Invece le si concede una passerella a Montecitorio della quale approfitta per incarnare il nuovo modello anti-woke teorizzato dal vice Trump, J.D. Vance. Quello della ricchezza odiata dalla sinistra ciabattona e sfigata, della donna libera, attraente, tacco 12. Ovviamente alla fine la sfiducia non passa come negli altri 82 tentativi nella storia repubblicana (unica eccezione, nel 1995, il Guardasigilli del governo Dini, Filippo Mancuso, che se l’era proprio cercata attaccando il presidente Scalfaro e i magistrati di Mani Pulite).

Si dirà che nel caso della Pitonessa, di Delmastro e di Nordio (prossimamente “fiduciato” da un’altra sfiducia kamikaze) “è tutto fieno in cascina per le elezioni politiche, che prima o poi arriveranno” (Corriere della Sera). In effetti, gli ultimi sondaggi registrano un brusco calo nel giudizio sul governo (positivo solo per il 36%) e una impennata fino al 67% di coloro molto preoccupati per la situazione economica. Se non fosse che, malgrado tutto, il partito della premier si mantiene saldamente in testa alle previsioni elettorali con il 30%. Mentre l’opposizione, dal Pd al M5S ai Calenda e Renzi, resta dov’era, minoritaria e divisa.

Non ci azzardiamo a suggerire strategie più efficaci a chi è pagato per studiarle. Riteniamo, tuttavia, dati alla mano, che continuare a chiedere pigramente le dimissioni di questo o quella lasci il tempo che trova. Anche un’occhiatina ai testi di Elly Schlein non guasterebbe: dopo la “presidente del coniglio”, il calembour tra “borsette” e “bollette”, non si può sentire.