Con la bonifica dell’amianto nel palazzo di Viale Mazzini, quartier generale della Rai a Roma, sarebbe auspicabile che il servizio pubblico fosse bonificato anche dal suo virus più antico e […]

(di Giovanni Valentini – ilfattoquotidiano.it) – Sappiamo tutti le cose sporche, sporchissime, anche trattando con i torturatori, che ogni Stato fa per la sicurezza nazionale (Bruno Vespa in “Cinque minuti”, Rai1 – 30 gennaio 2025)

Con la bonifica dell’amianto nel palazzo di Viale Mazzini, quartier generale della Rai a Roma, sarebbe auspicabile che il servizio pubblico fosse bonificato anche dal suo virus più antico e resistente: la partitocrazia, di cui Bruno Vespa è l’incarnazione vivente. Ovvero, l’influenza della politica sull’informazione radiotelevisiva. Dall’epoca del monopolio democristiano fino ai giorni nostri, questo è avvenuto attraverso le gerarchie dell’azienda: il direttore generale o l’amministratore delegato, i direttori e i vicedirettori di rete o di testata, insediati dai rispettivi partiti di riferimento. Da qui i richiami, le contestazioni e le polemiche, diciamo le censure a consuntivo. O i diktat, come “l’editto bulgaro” di Silvio Berlusconi che nel 2002 provocò l’estromissione di Enzo Biagi, di Michele Santoro e del comico Daniele Luttazzi.

Ma adesso la decisione di assegnare tutti i programmi a una “struttura editoriale”, come fosse un supervisore incaricato di controllare i contenuti informativi, equivale a introdurre una prassi di censura preventiva: l’obiettivo, malgrado le mezze smentite dell’Ad Giampaolo Rossi, è chiaramente quello di mettere il bavaglio a una trasmissione di successo come Report e a un conduttore come Sigfrido Ranucci che fa giornalismo d’inchiesta. E così si rischia di destabilizzare l’organizzazione interna, con i suoi ruoli e le sue funzioni. Se qualcuno va censurato, è proprio il vertice della Rai: a cominciare da chi ha emanato una tale “circolare”, senza neppure informare il Consiglio di amministrazione. Un atto d’imperio da “democratura televisiva”, come l’ha definito Stefano Graziano, capogruppo del Pd nella Commissione di Vigilanza.

Non ci sono già abbastanza “responsabili editoriali” nell’organigramma del servizio pubblico? Non si delegittima la funzione di Monica Maggioni, responsabile della “Direzione per l’offerta informativa”, ex direttrice del Tg1 ed ex presidente della Rai? O quella di Paolo Corsini, direttore degli “Approfondimenti informativi”? E chi potrebbe mai supervisionare le mistificazioni e le intemperanze di un “artista” della partigianeria come Vespa, un caso rimesso ora alla Vigilanza dal M5S?

Tutto ciò accade in una scandalosa situazione di vacatio legis, in attesa di una riforma che modifichi la governance della Rai. Nel frattempo, non si riesce ancora a eleggere il nuovo presidente perché la destra pretende d’imporre la candidata di Forza Italia, il partito-azienda che interpreta gli interessi di Mediaset, principale concorrente della Rai. E perciò blocca i lavori della Vigilanza, facendo mancare ripetutamente il numero legale laddove occorrerebbe per legge una maggioranza dei due terzi. I vari progetti di riforma, “incardinati” in Commissione al Senato, sono rimasti insabbiati nei cassetti. E intanto il Cda “acefalo” è sotto il controllo di Palazzo Chigi, con due consiglieri indicati dal governo, due eletti dal centrodestra e due dal M5S e Avs, più un evanescente rappresentante dei dipendenti interni.

Per completare il quadro, fra sette mesi – esattamente l’8 agosto prossimo – scadranno i termini fissati dall’Ue per applicare il Media Freedom Act che impegna i partner a garantire la libertà e il pluralismo dei mezzi di comunicazione. E se i tempi non saranno rispettati, scatterà una multa a carico dell’Italia che minaccia di tramutarsi in una specie di super-canone a carico dei cittadini. Un sovrapprezzo, insomma, per la “tele-democratura”.