Intervista al leader M5S: “Nessuno vuol farsi fagocitare dal Pd ma la denuncia del rischio non può costituire di per sé un programma politico”

(di Carmelo Lopapa – repubblica.it) – «Da oggi a domenica i nostri iscritti potranno votare online e decidere quel che saremo. Abbiamo un obiettivo ambizioso, che culminerà con l’assemblea costituente di sabato e domenica: rigenerarci, scuoterci, dare nuove idee al Movimento, riaccendendo l’entusiasmo e facendo sentire tutti protagonisti del nuovo percorso. Nessuno lo ha fatto con coraggio e umiltà, come stiamo facendo noi».
Presidente Giuseppe Conte, prima lei deve fare chiarezza: cosa intende dire quando sostiene che “se sarà messo in discussione il percorso fatto finora” ne trarrà le conseguenze?
«Mi sembra evidente che se dalla costituente dovesse emergere una traiettoria politica opposta a quella portata avanti finora dalla mia leadership, mi farei da parte. Si chiama coerenza».
E qual è la traiettoria?
«Sia chiaro. Ci teniamo strette le radici, dalle quali discende la radicalità delle nostre battaglie. Ma nel 2021, raccogliendo centinaia di suggerimenti, ho elaborato e messo ai voti una carta dei principi e dei valori approvata a larghissima maggioranza dalla comunità degli iscritti. È un manifesto progressista che marca una distanza netta da questa destra che persegue la frammentazione dell’Italia, la mordacchia ai giudici, l’abbattimento degli equilibri costituzionali con una chiara deriva autocratica».
Lo rimetterà ai voti, insomma?
«Se questa scelta di campo progressista venisse messa in discussione, il Movimento dovrà trovarsi un altro leader».
L’indicazione porta a un’alleanza col Partito democratico.
«Su questo, la mia linea è stata molto chiara. Non ho mai parlato di alleanza organica o strutturata col Pd, non sarebbe compatibile con il dna del M5S. Ho sempre ragionato di un dialogo da coltivare con le forze del campo progressista per valutare intese, stando sempre attento a difendere la nostra identità e le nostre battaglie».
Chiara Appendino sostiene che rischiate di essere “fagocitati” da Schlein e dai suoi.
«Non possiamo avere paura di confrontarci anche con il Pd. Nessun iscritto al M5S aspira a lasciarsi fagocitare, ma la denuncia di questo rischio non può costituire di per sé un programma politico. Dobbiamo avere piuttosto l’orgoglio di rivendicare le nostre battaglie. Su alcune ci siamo battuti con tale tenacia da convincere altri partiti prima scettici: è successo anche con il Pd, che ha cambiato idea su salario minimo e jobs act. Poi, il nostro programma passa dal no alla guerra e alle armi in Ucraina, dalla denuncia della condotta criminale che il governo Netanyahu sta realizzando a Gaza, dalle battaglie dalla parte dei più poveri e indifesi contro il caro vita, dal bisogno di sicurezza anche per quelli che non vivono in quartieri non residenziali: su questo, il governo sta fallendo».

Con la leadership, in assemblea saranno messi in discussione anche il simbolo e il nome?
«Gli iscritti sono chiamati a decidere e hanno la possibilità di cambiare tante cose. Sì, ci sono quesiti dedicati al nome, al simbolo, alla figura e ai poteri del presidente».
E al garante.
«Anche i quesiti sul garante sono stati decisi dalla base. Io non ho mai inteso alimentare questo scontro. Sono sinceramente dispiaciuto che in questi mesi abbia attaccato il Movimento utilizzando toni e argomenti simili a quelli del sistema mediatico e politico dei nostri avversari. Non posso accettare che qualcuno, fosse pure il fondatore, ponendosi su una posizione sopraelevata, provi a zittire la comunità degli iscritti schiacciandola, subordinandola».
Spera o teme che Grillo venga al palacongressi di Roma?
«Non lo temo. Se dovesse venire, potrà partecipare liberamente all’assemblea».
Si sente l’ultimo giapponese, come ironizzava ieri il garante con un post dei suoi?
«Non mi sento isolato. Perché io ci metto sì la faccia, ma combatto le nostre giuste battaglie accanto a tanti appassionati attivisti. Forse la sensazione di isolamento l’avverte chi pontifica dal divano vagheggiando un illusorio ritorno alle origini mentre ha rinunciato da tempo a votare e portare avanti il progetto del Movimento. L’ultimo giapponese rischia di essere lui, ponendosi in contrasto con la comunità».
I suoi avversari interni possono far leva, ammetterà, sui numeri. Dal 15 per cento delle politiche 2022 siete passati al 9,9 delle Europee di quest’anno, fino alle soglie sotto il 5 delle tre regioni al voto questo mese. Come pensa di fermare l’emorragia?
«Un dato politico non va minimizzato: in Emilia-Romagna e Umbria le coalizioni di cui abbiamo fatto parte hanno vinto, fermando l’avanzata di Meloni. È innegabile che il M5S stia facendo molta fatica sui territori e dobbiamo capire perché questo accade da troppi anni. Per altro senza differenza se andiamo da soli o in coalizione, come comprovato dalle ultime elezioni».
Ecco, che spiegazione si è data?
«In un contesto di forte astensionismo, sicuramente è il voto di opinione sui territori, non collegato a strutture di potere e logiche clientelari, ad essere maggiormente penalizzato».
Non c’è via di scampo, insomma?
«Al contrario. Abbiamo costituito dei gruppi territoriali che hanno bisogno di tempo e dedizione per dispiegare la loro azione. Dobbiamo tornare ad ascoltare i bisogni delle comunità locali. E poi c’è la formazione delle liste, sulla quale dobbiamo essere più attenti: dobbiamo sperimentare nuove modalità di reclutamento, senza cadere nelle logiche clientelari che aborriamo».
A Roma invece battaglia comune con le opposizioni sulla manovra?
«È una manovra condizionata dal taglio di tredici miliardi l’anno firmato da Meloni in Europa, che si abbatte soprattutto su sanità e scuola, fondo per le disabilità, investimenti per il Sud e per l’industria dell’auto. Noi proponiamo uno scudo contro il caro vita e di recuperare risorse dal riarmo e dagli extraprofitti di banche e industrie delle armi».
Voterete Fitto e la commissione von der Leyen?
«È buio fitto in Europa, verrebbe da dire. Noi ci siamo già espressi rifiutando mercanteggiamenti e votando in modo coerente ai nostri principi».
Tanto si è detto sul suo rapporto con Trump. Cosa si attende dalla seconda presidenza del repubblicano?
«Troppo presto per fare previsioni. Ma sono preoccupato per la plutocrazia che sta prendendo forma nella democrazia americana. Aggravata dallo strapotere dei padroni del web che suscitano facili entusiasmi anche a casa nostra, ma esercitano una influenza nascosta sulle nostre esistenze».
dal mio modesto punto di vista la collocazione del M5S è ininfluente! Sono i valori e i principi, le idee e l’etica, le cose fondamentali… Il posizionamento è relativo, gli ideali non hanno un colore o un posto di qua o di là, gli ideali sono in alto che è tutt’altra cosa da dx o sx…per me..
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che cosa dice? l’idea di sfruttare come schiavi i lavoratori oppure lottare per difendere i diritti per lei sono uguali???penso che lei abbia le idee un po confuse oppure sono l’espressione di poco cervello.
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Ma ha letto bene il commento? E si trattenga dall’offendere le persone che non le hanno mancato di rispetto!! Come si permette gran maleducato!!
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Ciao Mokj! Casaleggio diceva, più o meno, che non esistono idee di destra o di sinistra ma idee buone o cattive… buone o cattive per chi? Dalla risposta a questa domanda si può capire se sono di destra o di sinistra, che sono categorie sempre valide in quanto arbitrarie, sono create per analizzare la realtà ma sono del tutto teoriche, la realtà è molto più complessa. Né di destra né di sinistra va bene per prendere i voti, poi vai a governare e ti arriva il conto da pagare, in termini di consensi che perdi. In pratica il movimento delle origini andava bene per l’opposizione, Conte sta cercando di crearne uno per il governo. Ci riuscirà? Questo non te lo so dire, per me la strada che ha preso è quella giusta, anche se quella più lunga e difficile.
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Ho scritto qualcosa di più astratto kayo.. forse più alto e non si è capito.. non importa.. non pretendo di essere capita, anche se sinceramente ho scritto con l’anima.. i valori, i principi, l’etica, la morale, il rispetto, l’impegno sociale vero (so che significa, ho fatto volontariato e lo sto facendo ancora con il M5S e non smetterò mai senza avere nessun tipo di velleità perché conosco i miei limiti, ma anima e testa sono fondamentali!) sono parte di me e qui scrivo da tempo e voi oramai mi conoscete bene.. le ingiustizie le odio fortemente anche quelle ingiustificate nei miei confronti però!! Grazie per la risposta.. con stima.. Mokj
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kayo ti avevo risposto ma non hanno pubblicato.. amen!
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aggiungo per precisare: buone e cattive non sono idee opinabili.. Buono è aiutare il prossimo, buono è fare crescere gli alberi, buono è rispettare l’ambiente, buono è non rubare, né uccidere, né stuprare, buono è far crescere i bambini in un ambiente sano, pulito, amorevole, buono è uno stipendio adeguato a ciò che si sa fare, buono è non sfruttare il prossimo, buono è avere rispetto di tutti gli esseri umani, buono è avere molto e contribuire a fare star bene meglio tutti, buono è tutto quello che porta bene per la comunità buono e rifiutate la guerra le armi! E molto altro… Cattivo è il contrario di ciò che ho scritto! Sono idee di sx o di destra o di alta morale? Di alto sentimento? Di nobile etica?
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Ho scritto qualcosa di più astratto kayo.. forse più alto e non si è capito.. non importa.. non pretendo di essere capita, anche se sinceramente ho scritto con l’anima.. i valori, i principi, l’etica, la morale, il rispetto, l’impegno sociale vero (so che significa, ho fatto volontariato e lo sto facendo ancora con il M5S e non smetterò mai senza avere nessun tipo di velleità perché conosco i miei limiti, ma anima e testa sono fondamentali!) sono parte di me e qui scrivo da tempo e voi oramai mi conoscete bene.. le ingiustizie le odio fortemente anche quelle ingiustificate nei miei confronti però!! Grazie per la risposta.. con grande stima.. Mokj
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ha tutta la mia solidarietà….. in effetti la maleducazione è diretta “espressione di poco cervello” specie se non si riesce a capire ciò che si legge
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grazie Antonio 🥰
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Conte: “Il Movimento resti progressista oppure per coerenza non sarò io il leader”
Quali sono le differenze sostanziali tra il partito di Conte (sedicente progressista) e il moVimento né dx né sx?
Quali battaglie totalmente nuove sono state introdotte che possano giustificare la collocazione in un campo politico?
Linguaggio moderato e abolizione del vaffa? E poi? Risultati?
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L’unico cambiamento che vedo è la introduzione della alleanza certa col pd.
E i risultati sono ampiamente visibili.
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Vedi come sei scorretto?
Conte ha mai parlato di “alleanza certa”?
Per carità…voler adattare la realtà, la verità, alle proprie opinioni preconcette è di una tristezza infinita.
Se poi vogliamo dire che, dovendoci alleare in modo non strutturale (l’avrà ripetuto mille volte) certo non lo facciamo con Meloni o Renzi…è ovvio che lo facciamo con chi è dalla stessa parte, nelle stesse battaglie!
Un po’ di onestà, Gianse’… altrimenti il primo a contravvenire ai nostri principi (sono ancora “nostri”…o dove diavolo ti sei accucciato, questa volta?), che dovrebbero valere anche nel privato, sei proprio tu.
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mo chi ti kuki Secondo lei un proprietario terriero che ha un alto ideale di continuare a fare arricchire la sua famiglia magari facendo lavorare senza diritti e quindi lottando perché vengano aboliti i diritti sindacali non è di destra ne di sinistra ma conta solo il suo alto e ideale (per lui) di far arricchire la sua famiglia.Siamo ridotti male, malissimo.
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Ma cosa stai scrivendo? Hai voglia di fare discussione sul nulla? Vabbè dai lasciamo perdere che mi sembra che qua il corto di materia grigia non sono io di certo! Aggiungo solo che il mio commento non l’hai proprio capito.. mi spiace molto per te..
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Infatti NON c’è alcun cambiamento! Quei principi e valori erano progressisti anche prima!
Sei tu che continui a parlare di m5s che non è più quello di una volta, quando, per prendere per qlo gli elettori, si definiva “né dx né sx”, mentre era solo di sx…
“Linguaggio moderato e abolizione del vaffa?”
Ecco, l’hai detta TU l’unica differenza.
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Aaaah, ecco: Il moVimento è sempre stato progressista, solo che non ne era a conoscenza!
Adesso è sufficiente cercare i giusti compagni di viaggio, e il gioco è fatto 👇
Asse destra-Pd grazia sala ma rovina L’italia. Abusi edilizi: il decreto “Salva-Milano”
Un cammino lungo e accidentato, quello del salva-Milano. Da mesi annunciato, promesso, invocato, discusso, tentato, ritirato, modificato, riproposto, oggi sarà approvato alla Camera, prevedibilmente con i voti della destra, del Pd e di Azione..
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2024/11/21/asse-destra-pd-abusi-edilizi-grazia-sala-il-decreto-ma-rovina-salva-milano-litalia/7775389/
Rimane progressista un partito che fa comunella con un altro partito che è sempre in grande sintonia con le dx, perché spesso e volentieri vota con le dx?
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Ah, quindi ora scrivi che NOI abbiamo cambiato principi e valori? Eravamo progressisti prima, quando ci dichiaravano né di dx né di sx e ora lo siamo addirittura MENO, per gli accordi elettorali col PD (Csx: CENTROsx)?
E AVS? AVS è di “estrema” sx… votiamo sempre assieme, no? Quindi, NOI siamo ancora più progressisti di chi DICHIARA di esserlo.
In ogni caso ti contraddici, ad ogni parola.
Quando non c’è un’opinione, ma solo un pregiudizio e tanto rancore…
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Perche l’ alternativa è una soltanto: i milioni di (ex) elettori che rimangono sul divano sono all’ oscuro del valore della realpolitik.
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Quindi? Rimaniamo nel limbo, nel mondo dei sogni, perchè quelli sul divano non vogliono mettere i piedi in terra?
E tu?
Tu lo conosci il VALORE della realpolitik?
Il suo DISVALORE lo conosciamo tutti…e per quello sì che ci sono elettori a frotte!
Che facciamo, vogliamo nuovamente richiamare QUEGLI elettori a colpi di vaffa e urla al cielo?
Io non ci tengo a riacchiappare quelli che sono corsi da Salvini e ora dalla cialtrona e sopportano qualsiasi connivenza col malaffare.
Meglio pochi, ma buoni.
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In pratica: il pd quante decine di volte deve votare (in sedi diverse) assieme alle destre per arrivare a dire che, forse (forse!!) c’è qualcosina che non quadra rispetto a possibili accordi elettorali (nazionali, perché dopo l’esito delle recentissime regionali il capo politico aveva una espressione veramente distesa e gaia)??
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Ma com’è che la Lega, invece, ti stava bene?
Dico: SALVINI!!! 🤔
Fossi, sotto sotto ma neanche più di tanto, di dx?
No, perché il tuo unico problema sembra l’alleanza col Pd, non i nostri valori, le nostre proposte, di cui non parli MAI.
Mi sa che sei uno dei “plagi” di Grillo (di dx!), che odiava il Pd solo perché ne era stato respinto, ma che era stato la sua PRIMA scelta…la volpe e l’uva, in pratica.
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Cosa significa che Salvini mi andava bene? Da dove estrai questa affermazione? È stata una collaborazione 👉post-voto👈 che ha prodotto dei frutti, così come col riottoso pd (che in primissima battuta rifiutò un governo col moVimento).
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RENZI rifiutò il governo…lui che non era nulla, perché capo politico, per quanto reggente, era Martina, che era favorevole. Ma ovviamente Giggino diede retta al bomba. Fra Giuda ci si intende…
Quindi cambia tutto se l’accordo avviene DOPO il voto. Mah. 🤔
Dimenticata la collocazione politica? Anche Hitler va bene?
Occhio, non sto dicendo che è stato un errore… ma che cosa cambia se l’accordo si fa prima, tra “vicini di casa”, per battere le dx? Perché mai, ETICAMENTE, dovrebbe essere peggio che accordarsi con l’avversario e governare assieme? Proprio tu, che tieni TANTO ai risultati elettorali, sicuramente più di quanto ti preoccupi dei provvedimenti politici, dovresti aver notato quanto è stato deleterio, per noi, quel governo, da QUEL punto di vista.
Noi facevamo e Salvini incassava, con la sua becera propaganda e la sua visibilità.
Per fortuna ci ha pensato Conte a sm3rdarlo in Parlamento, mister papeete, che voleva i pieni poteri, e a fargli abbassare le piume!
Quegli elettori così boccaloni e ignoranti (ora passati a Meloni) meglio perderli che trovarli.
E comunque, visto che non abbiamo più (per ora) quei numeri, gli accordi, AMMAROLLA (per forza) s’hanno da fare PRIMA.
O vuoi Meloni forever?
Poi, se mai volessimo fare le figurine, SOLI, ci penserebbero i sondaggi a metterci nel gruppo “altri partiti”… grazie a Dio non siamo a quel livello.
Siamo ancora il terzo partito, mica bruscolini.
Si scende e si SALE… 💪🏻💪🏻💪🏻
🌟🌟🌟🌟🌟
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E cmq il governo con la lega era presieduto da un illustre sconosciuto che accettò l’ incarico nonostante diffondesse progressismo da ogni poro: il prof, dott. presid. Giuseppe Conte.
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Il governo (ottimo), non il m5s, che ha dimezzato i voti… e PER TE è una colpa. Poi glieli ha strappati di nuovo proprio Conte, al Salvini, stracciandolo in Parlamento.
Ps è inutile che ripeti tutte le qualifiche in tono dispregiativo, tipicamente populista(in senso negativo), come quelli che denigrano le persone colte (più di loro) dandogli dei “professoroni”.
Lui non si è mai atteggiato, ma QUELLE sono effettivamente le sue vere qualifiche, strameritate e portate con onore e dignità.
Brucia, eh?
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il progressismo si contrappone al conservatorismo.
Mi pare ovvio che il movimento sia progressista.
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Negli USA come in Italia e altrove nel mondo: Progressismo = Partito Democratico.
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non è sufficiente dichiararsi progressista per esserlo.
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Ma per favore!
Mo’adottiamo in toto, anche le storture USA?
Quelli sarebbero neoliberisti pure se si chiamassero comunisti.
È da lì che è crollata l’eredità di sinistra in Italia, dall’adozione del nome PD, scopiazzando gli USA…e copiandolo poi anche nella sostanza, dato che già era una corruzione della sinistra con la Margherita, DC.
Quanto siamo servi… nella testa, proprio!
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Premessa: rispetto l’onestà di Conte non ho motivo di contraddire i molti – maggior parte? – frequentatori di questo forum, che sembrerebbero avere fiducia incondizionata nei confronti di Giuseppe, alcuni sfiorando l’idolatria (alcuni giorni fa, testualmente qualcuno scrisse “Starò con Conte ovunque andrà”, nella speranza non sia in camera da letto…!!😂). Però il sottoscritto, per natura, diffida di tutti, persino di me stesso (ironico ma non troppo), in quanto l’animo umano, già ipocrita di per se, amplifica i difetti quando si parla di politica e lo so per esperienze personali (familiari). Comunque, fra le tante affermazioni che potrei condividere ce n’è una che trovo tanto veritiera quanto ironica, ovvero, “Su alcune ci siamo battuti con tale tenacia da convincere altri partiti prima scettici: è successo anche con il Pd, che ha cambiato idea su salario minimo e jobs act.” Umorismo involontario in quanto, appunto, cambiare idea è nel DNA del partito della Schlein. Potrei fare mille esempi di giravolte piddine; una su tutte, nemici giurati del cavalier rampante (remember girotondi?) divennero – ovviamente dietro le quinte – suoi migliori “alleati”. Dunque siamo sicuri che, dovessero i 5s andare al governo, il Pd legifererebbe per un salario minimo equilibrato e una riforma del jobs act sfavorevole ai grandi gruppi di potere economico? Onestamente, questo io non creTo. E, anche ammesso e non concesso il Pd, attirato da “brame di potere” si piegasse a… politiche contrarie alla sua storia (incredibile scriverlo) , davvero qualcuno crede sia possibile portare avanti altri punti fondamentali rispetto quella che era l’anima del movimento? Proposta, per “vedere” le carte della Schlein che – mio parere – sono un grandissimo BLUFF: chiedano alla “sinistra”, nel caso di alleanza di governo, la priorità, quindi immediatamente, di risolvere un cancro che attanaglia questo Paese da sempre, ovvero il famigerato conflitto d’interessi. Una legge SERIA che risolva l’annoso problema. Sbaglierò ma un “futuro governo” imploderebbe ancor prima di nascere.
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Se tu ti dichiari “progressista”, al di là del nulla che evoca questo vocabolo, fai una scelta precisa. Ossia di collocarti da una parte (la sinistra) e di fare i conti con altri soggetti che stanno là e che a loro volta si dichiarano progressisti. L’alleanza con PD e AVS è assodata. Un piccolo salto indietro: elezioni 1994. Lo schieramento unito sotto lo stesso simbolo, I Progressisti, comprendeva: PDS, Rifondazione, Verdi, Rete di Orlando, Alleanza democratica, Cristiano sociali, PSI e Rinascita socialista. M5S e PD si possono fare concorrenza quanto gli pare, ma se ti posizioni a priori là, l’alleanza è già nei fatti. Io sinceramente non capisco perché Conte si è amminchiato con ‘sta roba. Limita lo spazio di manovra e non entusiasma neanche nessuno. Bastava dire: le nostre idee sono queste. Chi ci sta?
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lo ha detto mille volte. Il programma, le persone, l orientamento politico. Con chi ci sta. E lo ribadisce nell intervista, in maniera chiara, mi sembra.
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Ma non ti accorgi dell’ambiguità? O progressisti o morte! E poi che fai, non ti allei con quelli che progressisti erano prima di te? Quella è la strada. Poi certo, si discuterà animatamente con la Schlein o con Fratoianni, su temi, programmi e persone. Ma la strada sempre quella è.
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La strada è quella, soprattutto verso gli elettori pd. Niente Renzi. Se il.pd imbarchera renzi il campo di gioco cambia. I programmi di governo hanno un passato nobile. Sono serviti a mettere in campo le cose più progressiste nei fatte.
Intanto, Bonelli ha votato per Fitto. A proposito di alleanze. Vedremo. Io sarò dove sarà Giuseppe Conte.
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“Io sarò dove sarà Giuseppe Conte”.
Su questo non avevo dubbi. Come i repubblichini a Salò.
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non c è bisogno che si scusi. Lei a Salò c è cresciuto, evidentemente.
paragonare Conte a Mussolini è certamente cosa che le farà guadagnare qualche like. Ma rimane una cosa indegna anche di lei.
Non credo di poter votare un alleanza dove ci siano persone come lei.
so che se ne farà una ragione. E anche a me la cosa non dispiace
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Lei non ha capito niente di quello che ho scritto. Si ferma alla superficie. Buona serata.
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L’Italiano è la più bella lingua del mondo …bisogna conoscerla:
progrèsso
progresso progrèsso s. m. [dal lat. progressus -us, der. di progrĕdi «andare avanti, avanzare»; il significato della parola nel suo uso assoluto. è derivato da quello che i termini corrispondenti in francese […] , o pochi, lenti, minimi progressi.; da un secolo in qua in questo campo si sono fatti pochi progressi.; il malato(,nel caso il M5s), continua a fare progressi, ad avanzare nella via della guarigione. 3. Usato in assoluto., il progresso., lo sviluppo verso forme di vita più elevate e più complesse
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Per me – valido come concetto e anche per un eventuale cambio di nome – va bene PROGRESSO SOCIALE. C’è pure l’aggettivo adatto (grillini è da evitare assolutamente), SOCIALPROGRESSISTI.
L’ideale sarebbe Sinistra, ma la confusione sarebbe troppo grande, visto che il PD, indebitamente, se n’è appropriato pur non essendo più ormai da decenni di sinistra. Come spiegazione basterebbe il titolo che Sahra Wagenknecht ha dato al suo libro “Contro la Sinistra Neoliberale” che tutti dovrebbero leggere (in fondo ne incollerò la prefazione).
Il termine progressismo è storicamente ambiguo in quanto è stato riferito quasi esclusivamente al progresso tecnico di stampo liberal-liberista. Intendiamoci, il progresso della scienza e della tecnica ha portato a risultati apprezzabili nei vari campi di loro competenza, ma con lo sviluppo sociale e con l’emancipazione dell’uomo in senso lato hanno avuto poco a che fare. Anzi, c’è stato un arretramento.
E non vale la sottolineatura di essere vera sinistra vs cattiva sinistra. Da non dimenticare, infatti, che la dicotomia sinistra/destra è esistita con effetti positivi solo nel corso di gran parte del ‘900. Non più dopo la caduta del muro e con l’avanzare del capitalismo iperfinanziario che ha in gran parte sostituito quello industriale quando agiva il proletariato di fabbrica contro il padrone del vapore. Semmai, oggi si dovrebbe insistere sulla contrapposizione verticale alto/basso, le èlite in alto e i ceti mediobassi sotto.
L’unico progresso avvenuto riguarda esclusivamente i diritti civili, concessi (bontà loro) per allontanare il “pericolo” di un rivolgimento totale che mettesse in forse il SISTEMA di potere complessivo. Sui diritti sociali, per fare un esempio, siamo all’ultimo posto in Europa per i salari percepiti.
Ci sarebbe dell’altro per spiegare più compiutamente la questione ma lo spazio non lo consente. Per ora ci si accontenti di questa sintesi.
E ora la prefazione di Giacché al libro di Sahra Wagenknecht “Contro la sinistra neoliberale”
PREFAZIONE
di Vladimiro Giacché
«“Sinistra” era un tempo sinonimo di ricerca della giustizia e della sicurezza sociale, di resistenza, di rivolta contro la classe medio-alta e di impegno a favore di coloro che non erano nati in una famiglia agiata e dovevano mantenersi con lavori duri e spesso poco stimolanti. Essere di sinistra voleva dire perseguire l’obiettivo di proteggere queste persone dalla povertà, dall’umiliazione e dallo sfruttamento, dischiudere loro possibilità di formazione e di ascesa sociale, rendere loro la vita più facile, più organizzata e pianificabile. Chi era di sinistra credeva nella capacità della politica di plasmare la società all’interno di uno Stato nazionale democratico e che questo Stato potesse e dovesse correggere gli esiti del mercato. […] Naturalmente ci sono sempre state grandi differenze anche tra i sostenitori della sinistra. […] Ma nel complesso una cosa era chiara: i partiti di sinistra, che fossero socialdemocratici, socialisti o, in molti paesi dell’Europa occidentale, comunisti, non rappresentavano le élite, ma i più svantaggiati».
Credo che i lettori non faranno fatica a condividere questa descrizione proposta da Sahra Wagenknecht nel primo capitolo del suo libro. Questa descrizione è anche il miglior punto di partenza per introdurre quelle che ritengo siano le tesi principali di questo testo, quelle che lo rendono un libro importante e opportunamente scandaloso.
Un tempo la sinistra era questo, in effetti. E oggi? Oggi le cose sono parecchio cambiate. Se un tempo al centro degli interessi di chi si definiva di sinistra vi erano problemi sociali ed economici, oggi non è più così. Adesso, osserva l’autrice, «l’immaginario pubblico della sinistra sociale è dominato da una tipologia che definiremo da qui in avanti sinistra alla moda [l’originale tedesco è Lifestyle-Linke, letteralmente ‘sinistra dello stile di vita’], in quanto chi la sostiene non pone più al centro della politica di sinistra problemi sociali e politico-economici, bensì questioni riguardanti lo stile di vita, le abitudini di consumo e i giudizi morali sul comportamento. [… ] Il rappresentante della sinistra alla moda [… ] è cosmopolita e ovviamente a favore dell’Europa […]. Si preoccupa per il clima e si impegna in favore dell’emancipazione, dell’immigrazione e delle minoranze sessuali. È convinto che lo Stato nazionale sia un modello in via di estinzione e si considera cittadino del mondo senza troppi legami con il proprio paese». Il rappresentante della sinistra alla moda non può – né desidera – essere definito un “socialista”, neppure nell’accezione socialdemocratica del termine: semmai un liberale di sinistra.
La concezione stessa del fare politica e delle sue finalità appaiono profondamente mutate: «Non si tratta più di cambiare la società, ma di trovare conferma di sé, tanto che anche la partecipazione alle manifestazioni diviene un atto di realizzazione personale: ci si sente a posto con la propria coscienza a manifestare per il bene insieme a persone che la vedono nello stesso modo». In effetti, credo che chiunque di noi abbia fatto esperienza di manifestazioni che avevano più l’aspetto di giocose performance teatrali che di dimostrazioni della volontà di lotta su temi specifici.
Beninteso, non si può dire che questa nuova sinistra alla moda rifugga dal conflitto in quanto tale. Il problema è che non di rado esso è rivolto verso l’obiettivo sbagliato. Come osserva Wagenknecht, in effetti «la sinistra alla moda risulta poco simpatica anche perché, pur sostenendo una società aperta e tollerante, mostra di solito nei confronti di opinioni diverse dalle proprie un’incredibile intolleranza, che non ha nulla da invidiare a quella dell’estrema destra. Questa scarsa apertura deriva dal fatto che il liberalismo di sinistra, secondo la concezione dei suoi sostenitori, non è un’opinione, bensì una questione di decoro. Chi si discosta dal canone dei loro precetti, appare agli occhi dei liberali di sinistra non semplicemente come un individuo che la pensa in modo diverso, ma come una persona cattiva, forse persino un nemico dell’umanità o addirittura un nazi».
Di questo atteggiamento intollerante e presuntuoso (non per caso il titolo originale del libro è Die Selbstgerechten, ossia ‘I presuntuosi’) la stessa Wagenknecht offre diversi esempi. Ne ripropongo uno che reputo significativo. Nel 2019 i giovani di Fridays for Future che si erano radunati in corteo a Lausitz (nell’Est della Germania) per richiedere l’uscita dal carbone si videro marciare contro i circa mille abitanti del paese, che intonavano i canti dei minatori. E non trovarono nulla di meglio da fare che insultare queste persone – i cui mezzi di sussistenza dipendevano dalla miniera di carbone – con l’appellativo di “nazi del carbone”. Le etichette dispregiative che la sinistra liberale e alla moda ama applicare ai propri avversari coprono del resto un ampio ventaglio di posizioni: «Chi si aspetta che il proprio governo si occupi prima di tutto del benessere della popolazione interna e la protegga dal dumping internazionale e da altre conseguenze negative della globalizzazione – un principio, questo, che per la sinistra tradizionale sarebbe stato ovvio – viene oggi etichettato come nazionalsociale, a volte persino con il suffisso -ista» (quindi “nazionalsocialista”, cioè nazista). E ovviamente «chi non trova giusto trasferire sempre più competenze dai parlamenti e dai governi prescelti a un’imperscrutabile lobbycrazia a Bruxelles è di certo un antieuropeo». Anche in Italia, come sappiamo, chi desidera che l’immigrazione sia regolamentata è un razzista, chi ritiene che il Trattato di Maastricht e la moneta unica abbiano molto nuociuto ai lavoratori e alla nostra economia è un “nostalgico della liretta” e probabilmente un “rossobruno”, chi dubita della sensatezza della conversione forzata dai motori a scoppio all’elettrico è un “negazionista del clima”, chi ritiene che lo Stato debba recuperare alcune sue fondamentali prerogative è una persona fuori dal tempo quando non direttamente un fascista.
Verso questo approccio ai problemi convergono in verità due distinte metamorfosi avvenute all’interno dei partiti di sinistra in Europa: da una parte, la defocalizzazione dal tema dei diritti sociali a quello dei diritti civili (e, più di recente, della salvaguardia ambientale); dall’altro – almeno per quanto riguarda i partiti socialdemocratici –, la sostanziale adesione alla visione neoliberale della “modernizzazione” economica.
Correttamente l’autrice individua il punto di svolta, a quest’ultimo riguardo, nella cosiddetta “terza via” di Clinton, Blair e Schröder, che diede inizio alla seconda ondata di riforme economiche neoliberali dopo quella di Reagan e di Thatcher, trovando illustri emuli anche nella sinistra italiana. Questa combinazione di liberalismo di sinistra e liberismo economico ha generato il modello politico che la filosofa americana Nancy Fraser ha definito “neoliberismo progressista”.
Precisamente l’affermarsi a sinistra di questo modello secondo Wagenknecht ha spianato la strada alle vittorie della destra, che negli ultimi anni hanno cominciato a connotare le elezioni in numerosi paesi occidentali. Ovviamente, la risposta del liberale di sinistra alla domanda perché alle elezioni vinca la destra sarà che «a votare le destre sono persone che rifiutano la società liberale, che preferiscono le soluzioni autoritarie» e che sono caratterizzate da atteggiamenti ostili nei confronti di immigrati, minoranze e omosessuali.
Ma c’è una seconda risposta a questo interrogativo. Questa risposta – osserva l’autrice – «ci dirà che il liberismo economico, la globalizzazione e lo smantellamento dello Stato sociale hanno peggiorato la vita di molti, o quantomeno hanno costretto molti a fare i conti con incertezze maggiori e con la paura del futuro. E ci dirà che l’orientamento liberale di sinistra, quello che domina la stampa, ha dato loro anche la sensazione che i loro valori e il loro modo di vivere non fossero più rispettati, ma moralmente condannabili». La seconda risposta parte insomma dal presupposto «che gli elettori votano a destra perché sono stati abbandonati da tutte le altre forze politiche e non si sentono più apprezzati dal punto di vista culturale». Questi elettori vedono nel liberalismo di sinistra un duplice attacco nei propri confronti: «un attacco ai loro diritti sociali, in quanto descrive come modernizzazioni progressiste proprio quei cambiamenti che hanno sottratto loro il benessere e la sicurezza»; ma al tempo stesso «un attacco ai loro valori e al modo in cui vivono, che nella narrazione liberale di sinistra viene svalutato moralmente e squalificato come retrogrado».
Qui in verità si intersecano due ordini di problemi: il primo riguarda l’effettiva rappresentanza di classe dell’attuale liberalismo di sinistra, il secondo i suoi valori. Riguardo a entrambi Wagenknecht è tranchant.
Sulla rappresentanza di classe: «Oggi, quando parliamo di sinistra, ci riferiamo a una politica che si occupa degli interessi del ceto medio laureato, organizzata e diretta da chi ne fa parte. Però è questo ceto sociale, insieme a quello superiore, a risultare vincente dopo tutti i cambiamenti degli ultimi decenni: ha tratto vantaggi dalla globalizzazione e dall’integrazione europea», nonché, «almeno in parte, anche dallo status quo dell’economia liberista». In realtà, «sono proprio gli sviluppi che hanno reso più ardua la vita dei vecchi elettori dei partiti di sinistra ad avere creato le condizioni per l’ascesa e la posizione privilegiata del ceto sociale che ha una formazione universitaria e che vive in città». E in effetti anche nelle nostre grandi città a votare a sinistra sono soprattutto gli abitanti del centro storico e dei quartieri bene (la cosiddetta “sinistra della ZTL”).
Quanto ai valori: ciò che oggi va sotto il nome di liberalismo di sinistra è la “grande narrazione” del ceto medio dei laureati e degli accademici, di cui rispecchia valori e interessi. In definitiva, «il liberalismo di sinistra vede la storia degli ultimi decenni dall’ottica dei vincitori: una storia di progresso e di emancipazione», al cui centro ci sono «i valori individualistici e cosmopolitici».
Tra gli aspetti importanti di questo libro vi è per l’appunto il coraggio di mettere direttamente in questione valori quali l’individualismo e il cosmopolitismo. Wagenknecht osserva infatti che «con questi valori si può sottrarre legittimità tanto a una concezione dello Stato sociale elaborata entro i confini dello Stato nazionale, quanto a una concezione repubblicana della democrazia. Ricorrendo a questo canone di valori, è possibile inserire il liberismo economico, la globalizzazione e lo smantellamento delle infrastrutture sociali in una narrazione che li fa apparire alla stregua di cambiamenti progressisti: una narrazione che parla di superamento dell’isolamento nazionalista, dell’ottusità provinciale e di un opprimente senso della comunità, una narrazione a favore dell’apertura al mondo, dell’emancipazione individuale e della realizzazione di sé». Conseguentemente, nella seconda parte del libro, dedicata a un programma politico alternativo alle idee del liberalismo di sinistra, ha un ruolo chiave la rivendicazione dell’importanza dei vincoli comunitari, unita all’osservazione che questi vincoli conservano il loro valore di collante sociale soltanto all’interno di contesti circoscritti e delimitati.
«Senza i vincoli di comunità», osserva l’autrice, «non esiste alcuna res publica». Comunità, politica e democrazia sono concetti tra loro saldamente connessi. «Non è un caso, quindi, che il concetto moderno di nazione come comunità dei cittadini di un paese sia stato formulato per la prima volta in modo consapevole durante la Rivoluzione francese e messo in rapporto diretto con la pretesa di una configurazione democratica degli affari comuni. Con il dissolvimento di questo senso di comunità [… ] scompare, dunque, anche il presupposto essenziale per una politica che possa quantomeno mettere un freno al capitalismo e, in prospettiva, persino superarlo». L’opposto di “comunità” non è, quindi, la libertà individuale, ma la libertà del potere economico di delocalizzare imprese, di fare arbitraggio tra sistemi fiscali, di aggirare – a vantaggio di pochi – le protezioni sociali costruite in decenni per la maggioranza delle persone.
Ma il vero obiettivo dell’attacco alla comunità è in realtà un altro: è lo Stato. Ed è precisamente su questo terreno che la continuità tra la narrazione neoliberista e la sua variante di sinistra emerge con particolare evidenza.
«Lo Stato», osserva Wagenknecht, «ha sempre avuto un posto come nemico nella narrazione neoliberista. È avido e inefficiente, troppo invasivo con le proprie regole e presuntuoso nel modo di organizzarsi. È abbastanza chiaro dove vuole andare a parare questa narrazione: occorre dissolvere lo Stato sociale, che è diventato troppo costoso per le élite economiche, privatizzare il più possibile i servizi pubblici e tagliare i costi dell’amministrazione, fino a quando essa, disperata, non si sottometterà all’economia privata e si affiderà in sempre più ambiti alla sua (ovviamente mai disinteressata!) consulenza e professionalità».
Ora, la variante di sinistra di questo attacco allo Stato consiste nel rappresentare lo Stato nazionale «non solo come obsoleto, ma addirittura come pericoloso, ovvero potenzialmente aggressivo e guerrafondaio. Per questo i contributi del liberalismo di sinistra sul tema culminano quasi sempre con l’avvertimento che non ci deve essere un ritorno allo Stato nazionale, come se esso facesse parte del passato e noi vivessimo già in un mondo transnazionale». In Italia, come è noto, sono molto in voga a sinistra anche le varianti dello “Stato incapace/corrotto/sprecone” (evidentemente per limiti ontologici dei nostri connazionali), che quindi deve cedere quanti più poteri e prerogative possibili a un’Unione Europea certamente benevolente e comunque più “seria” di quanto siano i cittadini di questo paese e coloro che li rappresentano.
Per quanto caratteristica del nostro paese, questa posizione ha qualcosa in comune col liberalismo di sinistra in quanto tale descritto da Wagenknecht nel suo libro. Quest’ultimo infatti si distingue dal neoliberismo anche perché «non è a favore di un passaggio del potere governativo dagli Stati direttamente alle multinazionali. La sua idea è semmai lo slittamento delle strutture democratiche su un piano transnazionale. Per questo, riguardo all’Unione Europea, propone un’integrazione più profonda che si spera possa sfociare in uno Stato federale europeo con un Parlamento perfettamente funzionante e un governo europeo. Spesso, in relazione a questo tema, si sente dire che gli Stati nazionali nel mondo globalizzato di oggi non sono comunque già più in grado di portare avanti una politica sociale ed economica sovrana. La necessità delle strutture decisionali transnazionali auspicate viene così giustificata col fatto che solo in questo modo la politica potrà tornare a essere veramente democratica».
L’autrice contesta questo punto di vista sotto un duplice profilo. Intanto, non ha alcun senso parlare di una “incapacità di agire” degli Stati nazionali. In ogni grande crisi degli ultimi decenni, «che sia il collasso delle banche o il coronavirus che ha messo in ginocchio l’economia, gli Stati nazionali ormai dichiarati morti hanno dimostrato di essere gli unici attori realmente in grado di agire». In effetti sono stati gli Stati a salvare il sistema finanziario «con enormi pacchetti finanziari di salvataggio» (non a caso definiti “aiuti di Stato”) o, «nella crisi legata al COVID-19, a mobilitare centinaia di miliardi in aiuti per la loro economia». Non solo: «Gli Stati nazionali sono anche l’unica istanza che al momento corregge in modo significativo gli esiti del mercato, distribuisce i redditi e garantisce la sicurezza a livello sociale».
Ma è soprattutto l’idea che l’UE possa essere il motore di una rivitalizzazione della democrazia a rappresentare una pericolosa illusione. È vero il contrario: «Il progressivo scivolamento delle competenze decisionali dal piano nazionale, più controllabile ed esposto alla sorveglianza pubblica, a quello internazionale, poco trasparente e facilmente manovrabile da banche e grandi imprese, significa allora soprattutto una cosa: la politica perde il suo fondamento democratico». Da questo punto di vista, gli stessi diritti attribuiti al Parlamento europeo sono non soltanto ben poco rilevanti, ma rappresentano in ultima analisi la foglia di fico che copre malamente una deterritorializzazione delle decisioni politiche a vantaggio di poteri sovranazionali opachi e sostanzialmente privi di legittimazione democratica.
A quella pericolosa illusione “europeista” Wagenknecht contrappone un solido realismo: «il livello più alto in cui potranno esistere istituzioni, che si occupino del commercio e della soluzione di problemi condivisi e siano controllate in modo democratico, non sarà in tempi brevi né l’Europa né il mondo. Sarà, invece, il tanto vituperato e troppo precocemente dato per morto Stato nazionale. Esso rappresenta al momento l’unico strumento a disposizione per tenere sotto controllo i mercati, garantire l’uguaglianza sociale e liberare determinati ambiti dalla logica commerciale. È quindi possibile ottenere maggiore democrazia e sicurezza sociale non limitando, bensì accrescendo la sovranità degli Stati nazionali».
Pertanto non solo non bisogna cedere altri poteri a Bruxelles, ma occorre rinazionalizzare una parte di quelli che sono stati già ceduti: l’autrice si dichiara in effetti a favore di «un’Europa di Stati democratici sovrani». Sono questi Stati gli unici possibili attori di quel rafforzamento del settore pubblico dell’economia, di quella «deglobalizzazione sensata della nostra economia» e di quella «deglobalizzazione radicale dei mercati finanziari» che rappresentano aspetti essenziali del programma politico che Wagenknecht propone nella seconda parte del suo libro.
Non mi è possibile entrare nel merito di tale programma, in buona parte condivisibile. Desidero invece riproporre un passo delle conclusioni del libro di Sahra Wagenknecht: «Negli ultimi decenni, nelle società occidentali, il modo di vivere e di lavorare degli uomini è cambiato considerevolmente e anche quello di ripartire i frutti del loro lavoro. Questi mutamenti non sono l’esito peculiare di innovazioni tecnologiche, ma il risultato di scelte strategiche prese a livello politico. In molti campi ne è venuto fuori il contrario di quello che ci era stato promesso. Il credo neoliberale della competitività, con cui erano stati fondati la globalizzazione, il liberismo economico e le privatizzazioni, ha scacciato la concorrenza equa. La fede cieca nella saggezza dei mercati ha portato alla nascita di imprese enormi che dominano il mercato e a monopolisti digitali potentissimi, che oggi impongono il loro tributo a tutti gli altri operatori e distruggono la democrazia. Al posto di un’economia dinamica, ne è sorta una scarsamente innovativa, che profonde un sacco di soldi in modelli di business dannosi per la collettività e che ci rendono quasi impossibile risolvere i problemi davvero importanti».
Credo che queste righe consentano di porre in luce conclusivamente il principale pregio di questo libro: che consiste nel mettere a nudo le promesse non mantenute del mondo neoliberale e nell’indicare con coraggio una strada diversa. Senza paura di andare controcorrente e di opporsi ai dogmi della sinistra liberale e alla moda. Ogni possibile ripresa di un pensiero critico e di una politica che intenda cambiare in meglio la nostra società non potrà che passare per un confronto serio con i problemi sollevati in questo testo.
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“Intanto, non ha alcun senso parlare di una “incapacità di agire” degli Stati nazionali. In ogni grande crisi degli ultimi decenni, «che sia il collasso delle banche o il coronavirus che ha messo in ginocchio l’economia, gli Stati nazionali ormai dichiarati morti hanno dimostrato di essere gli unici attori realmente in grado di agire». In effetti sono stati gli Stati a salvare il sistema finanziario «con enormi pacchetti finanziari di salvataggio» (non a caso definiti “aiuti di Stato”) o, «nella crisi legata al COVID-19, a mobilitare centinaia di miliardi in aiuti per la loro economia». Non solo: «Gli Stati nazionali sono anche l’unica istanza che al momento corregge in modo significativo gli esiti del mercato, distribuisce i redditi e garantisce la sicurezza a livello sociale»”
Che cosa mi ricorda…?
CHI… ? 🤔💡🌟😃🤩🤗
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G.C.
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👍🏻☺️👍🏻
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Te li suggerisco io un paio di nomi, ma niente progressismo nel nome.
Esercito Sankara (E.S.)
Schieramento Eretico (S.E.)
Patria, Sovranità, Popolo (P.S.P)
Nuovi Padri Costituenti (N.P.C)
Sinistra Socialista Sovranista (S.S.S.)
Popolo Sovrano (P.S.)
Italia Sovrana (I.S)
Sovranità e Popolo (S.P.)
Movimento Patriottico (M.P.)
Movimento Rivoluzionario (M.R.)
Movimento Nazione Sociale (M.N.S,)
Il progressismo lasciatelo a Schlein e a Harris.
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E tu lascia gli eserciti e i movimenti nazional/sociali (😳!!!) a Meloni, Orban e… Hitler.
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Il Popolo Italiano non si merita un uomo come Conte , chi non lo percepisce è perchè non vuole…. allora è contro di noi che lottiamo contro la corruzione e la criminalità politica che mai come oggi domina in Italia
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“Il Movimento resti progressista oppure per coerenza non sarò io il leader”.
Questi avvertimenti suonano come un ricatto. Non è corretto cercare di influenzare gli iscritti a pochi giorni dalla Costituente. Bisogna saper accettare l’esito del voto, anche quando non ci piace. E’ così che funziona in Democrazia. Altrimenti, perché indire un’assemblea Costituente?
“È un manifesto progressista che marca una distanza netta da questa destra che persegue la frammentazione dell’Italia, la mordacchia ai giudici, l’abbattimento degli equilibri costituzionali con una chiara deriva autocratica”.
“Non possiamo avere paura di confrontarci anche con il Pd”.
Il PD era favorevole all’Autonomia differenziata e all’abolizione del reato di abuso d’ufficio. Ha votato con la maggioranza misure anti-giudici e voleva stravolgere la Costituzione con la riforma “Renzi-Boschi”. Sulla guerra e sul Patto di Stabilità la pensa come la destra e ora si accinge a votare Fitto in Ue. Il M5S vuole confrontarsi con l’altra destra?
La vicinanza al PD nell’area progressista è stata deleteria per il M5S. Se si vuole invertire la china, bisogna smarcarsi dal PD e tornare alle origini, lo capiscono anche i sassi oramai.
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Evidentemente non siamo tutti sassi.
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