Il paradosso del nemico a destra e il difficile tentativo di reinventarsi pontiera tra Europa e Trump. La presidente del Consiglio aveva già pronto lo slogan sulle tre leader in cima al mondo: oltre a se stessa, pensava alla dem americana e a Ursula von der Leyen

Meloni, il discorso sulle tre donne, il paradosso del nemico a destra e il difficile tentativo di reinventarsi pontiera tra Europa e Trump

(di Tommaso Ciriaco – repubblica.it) – Che paradosso: vince il leader su cui più aveva puntato nei lunghi anni vissuti da cespuglio politico, irrilevante e all’opposizione, e adesso che governa l’Italia non può neanche esultare per il trionfo di Donald Trump. Erano i tempi da trumpiana, ospite del Cpac, quando Giorgia Meloni sembrava una cosa sola con il popolo Maga, mentre Matteo Salvini a inseguire, pregando per una foto. Adesso no, stavolta segretamente, sotto voce, con discrezione la premier tifava per Kamala Harris. Rappresentava la continuità, placida, sicura, senza scosse. La presidente del Consiglio aveva già pronto lo slogan sulle tre donne in cima al mondo: oltre a se stessa, pensava alla dem americana e a Ursula von der Leyen. Si ritrova invece con un’incognita enorme, grande quanto il successo del nuovo presidente. E trema.

Trema innanzitutto per una ragione politica. E’ il “nemico a destra”, la concorrenza di chi è più puro e meno compromesso di te, un’autentica ossessione della premier, il tormento del mondo post missino. In questo caso, teme Matteo Salvini in Italia e Viktor Orban in Europa. Due alleati, più o meno. Che hanno però investito sul cappellino rosso fuoco del tycoon mentre Meloni riceveva un bacio in fronte da Joe Biden. Infatti il leghista ora ricorda: “Ero uno dei pochissimi a tifare Trump in Italia, nel centrodestra la pensavano diversamente”. Si permette il lusso di tornare anche a nominare Putin, ricordando il rapporto che lo lega al nuovo presidente americano: “La priorità è la pace”. Ma è in Europa che si gioca la vera partita, perché la premier è rimasta fuori dall’operazione “Patrioti”, non è più “sorella di Viktor” come ai tempi in cui cantava insieme a Orban “Avanti ragazzi di Buda”. E rischia di ritrovarsi schiacciata su von der Leyen . Anche in questo caso, che paradosso: Salvini e il resto dell’ultradestra già menano sulla Commissione europea appena nata e difendono addirittura la politica dei dazi del tycoon, mentre la presidente del Consiglio si tormenta su come ammortizzare quest’incubo doganale.

Vero, adesso a Palazzo Chigi calibreranno la narrazione e trasformeranno il messaggio, fino a sostenere che Meloni può diventare il vero ponte tra l’Europa e Trump. Si è fatta premiare apposta da Elon Musk, una specie di vice-Trump (o forse sarebbe meglio dire il suo primo regista). Possibile che accada davvero, che Meloni si ritagli questo ruolo di cerniera, ma la strada sembra stretta e perigliosa. Anche perché l’economia, che è poi il terreno su cui si giocherà la sfida americana contro l’Unione europea, racconta un mondo diverso. I dazi trumpiani colpiranno prima di tutto la Germania, ma anche l’Italia rischia parecchio. Si tratterà, certo, come sempre, ma prima era tutto più semplice. E poi, economia significa anche denaro da spendere per la difesa. E qui tutto si fa più fosco, complesso, fuori controllo.

Guido Crosetto attende solo l’ufficialità della vittoria del tycoon e poi scrive su X un messaggio a cui dare enorme peso: “Più di un anno e mezzo fa dissi alla Nato ed in Europa che avremmo dovuto prepararci al nuovo scenario che avrebbe aperto una possibile vittoria del repubblicano. Quale? Dovremo dimostrare intanto di volere e di essere disposti a garantire noi per primi la nostra sicurezza e non attendere che ci pensino, a loro spese, i cittadini ed il governo americani”. E dunque, “dovremo prenderci in carico la nostra parte di difesa, nazionale, in primis, e collettiva”. Ecco il nodo: l’Italia è lontana dal 2% di spese militari nel rapporto con Pil, adesso Trump reclamerà quei soldi. Significa per l’Italia destinare tra i dieci e gli undici miliardi in più all’anno solo per questo capitolo: da solo, vale una manovra di bilancio, più o meno. E questo mentre non c’è un euro in cassa. Meloni proverà a bussare a Bruxelles, chiedendo che si acceleri sulla difesa comune: forse non crede davvero nel progetto – di certo non ci crede chi si proclama sovranista – ma ne ha disperato bisogno contabile.

Infine, l’Ucraina: Meloni ci ha messo la faccia, ha tenuto la linea nonostante le critiche a destra e nonostante Salvini. Ma adesso? Non basta il millimetrico e progressivo disincanto che ha manifestato negli ultimi mesi per costruire rapidamente una giravolta del genere. Che succederà se l’Europa dovesse spingere per aiutare Kiev, nonostante Trump? Dilemmi che agitano Palazzo Chigi, in queste ore. Tormenti.

In fondo, si stava meglio quando si stava peggio.