Timori – +13% in 3 giorni per il possibile contrattacco di tel aviv a impianti iraniani

(Di Nicola Borzi – ilfattoquotidiano.it) – Un rialzo del 12,8% per il prezzo del petrolio in appena tre giorni. È quanto avvenuto tra i minimi di seduta del primo ottobre e la chiusura di venerdì 4 sul Brent, il greggio di riferimento europeo. Dietro lo shock ci sono i nuovi scontri tra Iran e Israele, con i timori di allargamento del conflitto mediorientale, ma anche improvvide dichiarazioni del presidente uscente Usa, Joe Biden.

L’impennata del greggio è scattata dopo l’attacco di Teheran contro Tel Aviv, lanciato il primo ottobre con centinaia di missili scagliati su Israele come rappresaglia per il bombardamento di Beirut con il quale il 27 settembre l’aeronautica di Gerusalemme ha ucciso Hassan Nasrallah, leader del partito sciita Hezbollah e responsabile delle sue attività terroristiche, insieme a un numero imprecisato di altri uomini di Hezbollah e di civili.

Nel giro di tre sedute, il greggio ha messo a segno rialzi superiori al 10% sulle principali piazze mondiali: il Brent, petrolio del Mare del Nord, venerdì ha chiuso a 78,05 dollari al barile rispetto ai minimi di poco superiori a 69 segnati il primo ottobre. L’impennata non è correlata tanto alla domanda mondiale – bassa per la recessione o la stagnazione di importanti mercati in Europa e in Asia – e nemmeno con nuovi tagli alla produzione dell’Opec, il cartello dei principali Paesi produttori. I rialzi sono derivati di timori di rappresaglie israeliane contro l’Iran che possano mettere fuori uso le reti di esportazione del greggio persiano, prima fonte di ricavi per l’economia degli ayatollah. Un eventuale attacco al terminale petrolifero iraniano dell’isola di Kharg, nel Golfo Persico, potrebbe fermare gran parte dell’export iraniano pari a 1,7 milioni di barili al giorno.

Come risposta, l’Iran potrebbe colpire le petroliere e le gasiere che trasporto greggio e metano sauditi e degli Emirati attraverso lo stretto di Hormuz, da dove passa un quinto del consumo globale di energia. Attualmente l’Opec dispone di una capacità produttiva inutilizzata di oltre 5 milioni di barili al giorno, principalmente in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi, che potrebbe essere ripristinata in caso di interruzione delle forniture iraniane, ma che sarebbe sotto tiro nel Golfo Persico. Se ciò accadesse, il petrolio potrebbe schizzare a 150 dollari al barile o anche più. Un simile shock metterebbe in ginocchio l’economia mondiale, dopo la botta già subita dall’Europa nel 2022 con i rialzi del metano causati dalla guerra della Russia contro l’Ucraina, e si trasferirebbe a molti altri prodotti, tra i quali gli agroalimentari.

Ai timori del mercato non hanno giovato i balbettii del presidente uscente Usa, Joe Biden, che a una domanda su questi rischi giovedì 3 in una conferenza stampa alla Casa Bianca non ha smentito che gli Usa stiano discutendo con Israele un possibile attacco a impianti petroliferi iraniani. Uno scivolone che in un solo giorno ha causato un rialzo del 5% dei prezzi del greggio.