
(Fabio Marcelli – ilfattoquotidiano.it) – Nei capitoli finali di uno dei suoi capolavori, La montagna incantata, Thomas Mann descrive come il precipitare verso la Prima Guerra mondiale sia punteggiato dall’esplodere di una microconflittualità che si estende in modo inquietante anche ad episodi apparentemente banali. Impossibile non cogliere angosciose analogie vuol momento attuale. La disgregazione politica e sociale avanza a passi di gigante in Italia. Ogni forza politica, nessuna esclusa, è in preda a lotte intestine condotte esclusivamente all’insegna della competizione tra piccoli gruppi autoreferenziali quanto avidi del potere centrale e locale.
Parallelamente le istituzioni, spronate dal governo Meloni si avviano verso una torsione autoritaria senza precedenti, escogitata in buona misura proprio per impedire alla società di ribellarsi di fronte alla prospettiva di una guerra permanente e che ogni giorno di più minaccia di slittare nell’abisso della catastrofe globale.
La manifestazione di sabato 5 ottobre costituisce un esempio lampante di questa logica. L’improvvida decisione, imposta dal ministri degli interni Piantedosi alla Questura di Roma e alla DIGOS, di vietare ad ogni costo l’effettuazione del corteo, ha preparato il terreno di coltura per lo scontro scelto da una ristretta minoranza dei manifestanti. Evidentemente al governo faceva comodo che una manifestazione pacifica si trasformasse in uno scontro insensato. Irresponsabilmente i media più diffusi, colla solita lodevole eccezione del Fatto, continuano a ciurlare nel manico, continuando fra l’altro a propalare l’inammissibile confusione tra antisionismo e antisemitismo, tanto più inammissibile nel momento in cui importanti settori del mondo ebraico esprimono crescente dissenso dalla politica genocida di Netanyahu e dei suoi accoliti.
Una campagna velenosa che produce frutti pericolosi come le inaccettabili diffamazioni e minacce di cui è vittima un lottatore per la libertà dei popoli, costante interlocutore di Papa Francesco, come Luciano Vasapollo, per aver giustamente definito Israele uno Stato terrorista. Il terrorismo di Stato, da Israele all’Ucraina, costituisce d’altronde sempre più un carattere innegabile della reazione inconsulta dell’imperialismo occidentale in crisi.
Nel frattempo il mondo somiglia sempre più a un aereo, con alla guida un pilota impazzito, il premier israeliano in questione, destinato a schiantarsi nei prossimi giorni si di un conflitto dagli esiti imprevedibili tra Israele e Iran.
La guerra sta diventando del resto il pane quotidiano dell’Occidente. Lo vediamo anche in Italia, colla martellante campagna propagandistica dei media che tende a normalizzare nel senso comune di massa la necessità delle crescenti spese militari, a scapito di quelle sociali, e anche della leva militare strutturale e obbligatoria, nella prospettiva del sacrificio collettivo, necessario per salvaguardare le assolutamente non magnifiche e tantomeno progressive sorti dell’ accumulazione capitalistica che straccia democrazia, diritti e la stessa civiltà umana.
Per tentare di ricondurre queste vaste e angosciose problematiche alla banalità del dibattito politico corrente, direi che più che di un inservibile e anzi nocivo campo largo abbiamo bisogno di un campo alternativo che ponga al suo centro la questione della pace, base ineludibile della sopravvivenza dell’Italia e del necessario sviluppo indirizzato alla soddisfazione dei bisogni sociali.
Qualche spunto utile in questo senso mi pare sia offerto dal documento La grande identità: il manifesto del Movimento, redatto da Alfonso Colucci ed altri, che sottolinea giustamente elementi come la lotta alle oligarchie, il rifiuto delle privatizzazioni e la centralità della Costituzione repubblicana, come base programmatica di perdurante attualità. Occorre ad ogni modo spingere per la costruzione di un fronte democratico ampio ed articolato che sappia promuovere un’alternativa netta e complessiva all’attuale fallimentare ceto politico.
La situazione internazionale, più che mai determinante è prioritaria, è caratterizzata come accennato da immensi pericoli ma anche notevoli potenzialità. È bene tuttavia ribadire che tali pericoli potranno essere contrastati e sventati, e tali potenzialità potranno essere sfruttate, solo a condizione di ottenere il disallineamento del nostro Paese dai circoli dominanti dell’Occidente mediante l’uscita dalla Nato e la rifondazione su basi totalmente nuove della dimensione europea.
Si tratta di un obiettivo certamente difficile da conseguire nel breve periodo, ma che deve essere messo all’ordine del giorno per dare un futuro alle giovani generazioni e trasformare in un fattore positivo il ruolo e la posizione geografica di frontiera dell’Italia, che assumendo tale prospettiva potrebbe farsi battistrada di un diverso modo di essere dell’Europa, oggi totalmente soggiogata da Stati Uniti e Nato e le cui sciagurate classi politiche dominanti, Pd compreso, sono demenzialmente pronte a sacrificare i popoli che indegnamente rappresentano sull’altare dell’atlantismo distruttivo e della criminale complicità col sionismo guerrafondaio e genocida. Facendone a pezzi oggi la dignità e domani la stessa esistenza.
Poniamo fine a questa micidiale spirale, riscoprendo la gentilezza e la solidarietà nei rapporti interpersonali ma anche e soprattutto la lotta per un esito diverso.
Un buon articolo qui (dal corriere):
L’antropologo Emmanuel Todd: «Se l’Ucraina perde la guerra a vincere è l’Europa»
di Daniele Labanti
Esce la traduzione italiana del controverso libro dello studioso francese accusato di posizioni vicine a Putin: «Non sono filo-russo ma la Nato è uno strumento per controllarci». Martedì sarà a Bologna
Esce per Fazi l’edizione italiana del volume La sconfitta dell’Occidente di Emmanuel Todd, pubblicato in Francia da Gallimard. Il libro ha scatenato un vespaio di critiche verso l’antropologo francese, accusato da un decennio di tenere posizioni filo-putiniane. Todd sarà alle Librerie.coop Ambasciatori martedì, per presentare il volume in dialogo con Carlo Galli.
Professor Todd, in Francia è stato scritto che lei vuole «far passare i suoi sogni per realtà» e che ciò che afferma non ha basi scientifiche. Che cosa risponde?
«La questione non è sapere cosa scrive di me la stampa francese, ma conoscere i fatti che la storia attuale rivela. Il fatto è che gli Stati Uniti non sono stati in grado di produrre l’equipaggiamento militare di cui gli ucraini hanno bisogno, perché è un dato di fatto che il potere della loro industria è stato prosciugato dalla finanziarizzazione. È un dato di fatto che l’esercito ucraino è in ritirata ed è un dato di fatto che fatica a reclutare soldati. È un dato di fatto che le sanzioni economiche occidentali hanno fatto più danni all’economia europea che a quella russa ed è anche un fatto che la stabilità politica della Francia è oggi più minacciata di quella della Russia. La ristrutturazione dell’economia russa è stata resa possibile dal fatto che questo paese produce più ingegneri degli Stati Uniti e dal fatto che i paesi che non sono alleati o sudditi degli Stati Uniti hanno continuato a commerciare con la Russia. I commenti di buona parte della stampa francese sui miei sogni — “Le Monde”, “Libération”, “L’Express” etc. — suggeriscono che è lei che vive in un sogno. Il successo del mio libro in Francia suggerisce anche il fatto che questa stampa non è sempre presa sul serio dai francesi».
Tuttavia, il volume si basa sulle sue teorie sul nichilismo e la decadenza religiosa in Europa. Ci può presentare il loro significato?
«Sono scomparse le ultime tracce dell’impianto sociale e morale di origine religiosa. È stato raggiunto lo stato zero della religione. L’assenza di credenze, norme e abitudini di carattere o origine religiosa, lascia però l’angoscia di essere un uomo, mortale, e che non sa cosa fa sulla terra. La reazione più banale a questo vuoto è la divinizzazione del vuoto: il nichilismo, che porta all’impulso di distruggere le cose, le persone e la realtà. Un sintomo centrale di ciò per me è l’ideologia transgender che porta le nostre classi medio-alte a voler credere che un uomo possa diventare una donna e una donna un uomo. Questa è un’affermazione del falso. La biologia del codice genetico ci dice che questo è impossibile. Parlo qui da antropologo, da studioso, e non da moralista. Dobbiamo proteggere gli individui che pensano di appartenere a un genere diverso dal proprio. Per quanto riguarda la parte LGB dell’ideologia LGBT (lesbismo, omosessualità maschile e bisessualità), queste sono preferenze sessuali che hanno la mia benedizione. È anche sorprendente ma significativo che, accettando l’inflessibilità del codice genetico, la scienza e la Chiesa siano oggi dalla stessa parte. Contro l’affermazione nichilistica del falso».
Lei sostiene che l’Europa abbia delegato la rappresentanza dell’Occidente agli Stati Uniti e ora ne paga le conseguenze. Come pensa che si possa cambiare questa tendenza?
«Allo stato attuale non possiamo fare altro. È iniziata una guerra. È l’esito di questa guerra che deciderà il destino dell’Europa. Se la Russia venisse sconfitta in Ucraina, la sottomissione europea agli americani si prolungherebbe per un secolo. Se, come credo, gli Stati Uniti verranno sconfitti, la Nato si disintegrerà e l’Europa sarà lasciata libera. Ancora più importante di una vittoria russa sarà l’arresto dell’esercito russo sul Dnepr e la mancanza di volontà del regime di Putin di attaccare militarmente l’Europa occidentale. Con 144 milioni di abitanti, una popolazione in calo e 17 milioni di kmq, lo Stato russo fa già fatica ad occupare il suo territorio. La Russia non avrà né i mezzi né il desiderio di espandersi, una volta ricostituiti i confini della Russia pre-comunista. L’isteria russofobica occidentale, che fantastica sul desiderio di espansione russa in Europa, è semplicemente ridicola per uno storico serio. Lo choc psicologico che attende gli europei sarà quello di comprendere che la Nato non esiste per proteggerci ma per controllarci».
Pensa che l’Europa abbia fatto l’ultimo passo verso questa subordinazione durante i conflitti nei Balcani, e soprattutto con la questione del Kosovo?
«No, è partito tutto in Ucraina. Durante la guerra in Iraq, dopo il Kosovo, Putin, Schröder e Chirac hanno tenuto conferenze stampa congiunte. Questo terrorizzava Washington. Sembrava che l’America potesse essere espulsa dal continente europeo. La separazione della Russia dalla Germania divenne quindi una priorità per gli strateghi americani. Peggiorare la situazione in Ucraina è servito a questo scopo. Costringere i russi ad entrare in guerra per impedire l’integrazione di fatto dell’Ucraina nella Nato è stato, inizialmente, un grande successo diplomatico per Washington. Lo choc della guerra paralizzò la Germania e permise agli americani, nella generale confusione, di far saltare in aria il gasdotto Nordstream, simbolo dell’intesa economica tra Germania e Russia. Ovviamente, in una seconda fase, quella della sconfitta americana, il controllo americano sull’Europa sarà polverizzato. Germania e Russia si incontreranno di nuovo. Questo conflitto è in un certo senso artificiale. La cosa naturale, in un’Europa a bassa fertilità, con la sua popolazione che invecchia, è la complementarità tra l’industria tedesca e le risorse energetiche e minerarie russe».
Perché assume una posizione filo-russa riguardo alla guerra in Ucraina e vede questo conflitto come un esempio della fine dell’Occidente?
«Sono uno storico obiettivo. Voglio capire perché noi occidentali abbiamo provocato questa guerra e l’abbiamo persa, e con questa sconfitta abbiamo anche perso la presa sul mondo. Non sono filo-russo. Ma leggo i testi di Putin e Lavrov e penso di comprendere i loro obiettivi e la loro logica. Se i nostri leader avessero preso più sul serio i ricercatori come me e alcuni altri, non ci avrebbero portato a un simile disastro. Un Putinofobo intelligente potrebbe usare il mio libro per combattere la Russia. D’altra parte, quando un giornale come “Le Monde” nasconde ai suoi lettori – le élite francesi – la ripresa economica e sociale della Russia, come ha fatto, disinforma i nostri leader sulla stabilità e il potere russo e serve Putin».
Lei introduce i concetti di «oligarchia liberale» per molti stati europei e di «democrazia autoritaria» per la Russia. In quale sistema preferirebbe vivere?
«L’oligarchia liberale non rappresenta per me un problema pratico. Non dimenticare che sono nato nell’establishment intellettuale francese. Mio nonno Paul Nizan pubblicava con Gallimard prima della guerra e aveva Raymond Aron come testimone di nozze. Sua moglie, mia nonna Henriette, era cugina di Claude Lévi-Strauss. Mio padre Olivier Todd era un grande giornalista del “Nouvel Observateur”. Fondamentalmente sono solo un membro dissidente dell’oligarchia intellettuale. Inoltre, amo appassion
atamente il mio paese, la Francia, e vivrò lì finché il regime non sarà fascista o razzista, e non dovrò diventare un rifugiato politico. Se diventassi un rifugiato politico, non andrei negli Stati Uniti come era tradizione nella mia famiglia, perché stanno precipitando in qualcosa di peggio dell’oligarchia liberale, del nichilismo. Non ho gusto per la barbarie, sono troppo culturalmente conformista, troppo educato come dicono in francese. Penso che andrei in Italia, perché lì è tutto bello, o in Svizzera perché parte del paese parla francese. Cosa farei in Russia?».
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